Come scegliere i futuri dirigenti scolastici?

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Pubblichiamo questo interessante documento che nasce da una riflessione collettiva promossa e stimolata da Giancarlo Cerini tramite il Forum reclutamento dirigenti [1]

Una premessa doverosa: come nasce la proposta?

Dalle risposte pervenute ai quindici quesiti proposti inizialmente ad un gruppo di una ventina di “testimonial” emerge un’idea sostanzialmente condivisa di come si dovrebbero rinnovare le procedure per il reclutamento dei dirigenti scolastici. Questo, a maggior ragione, anche alla luce della situazione che si è venuta a determinare con gli interventi della Magistratura (in particolare con la Sentenza del TAR del Lazio del 2-7-2019 e la successiva sospensiva del Consiglio di Stato) che mettono a rischio la possibilità di concludere l’iter concorsuale con la nomina dei neo-dirigenti all’inizio dell’anno scolastico 2019-2020 e che, comunque, lasciano dietro di sé una scia infinita di polemiche e di incertezze.

Tuttavia, l’idea di studiare forme più efficaci di reclutamento dei dirigenti, non nasce direttamente dalle attuali difficoltà (né interviene nel merito del contenzioso in atto), semmai scaturisce dalle evidenti criticità che si sono manifestate lungo tutto il percorso concorsuale (ma anche nei precedenti), segnalate sia da chi ha superato positivamente le prove, sia da chi non vi è riuscito. Nel gruppo dei soggetti interpellati abbiamo infatti dato voce agli uni e agli altri affinché elaborassero proposte fattibili, con toni pacati e al netto di tutte le distorsioni emotive che si sono manifestate in rete. Potremmo ben dire che si è trattato del primo concorso pubblico per dirigenti nell’era di Facebook, all’inizio in forma di pacati gruppi di preparazione, studio, mutuo aiuto, poi (inevitabilmente?) di tifoserie contrapposte.

La presenza nel gruppo di discussione di studiosi, capi di istituto, dirigenti tecnici, tutte persone che si sono misurate con il problema della formazione dei futuri dirigenti, rende il confronto delle opinioni una preziosa base per intervenire, si spera in tempi brevi, a ripristinare quella fiducia tra insegnanti, potenziali candidati, pubblica amministrazione, opinione pubblica, che sembra essere venuta meno anche a seguito di questa vicenda. Vorremmo, cioè, che l’accesso alla qualifica dirigenziale avvenisse attraverso procedure credibili, trasparenti e condivise, efficaci e tempestive, come si chiede in un paese civile.

E’ (ancora) tempo di concorsi?

L’accesso alla qualifica di dirigente scolastico viene, quasi all’unanimità, ascritto a procedure concorsuali pubbliche (come richiede la Costituzione), riservate a chi abbia svolto in precedenza la funzione di insegnante (quindi riconoscendo una comune radice/ragione culturale allo svolgimento di questo ruolo). Si chiede però in maniera netta di assicurare la tempestività dei concorsi (la scadenza preferita è quella biennale, ma qualcuno la vorrebbe annuale, altri triennale), ben sapendo che negli ultimi vent’anni tutte le prescrizioni legislative sulla tempistica dei concorsi sono state largamente disattese. Si segnala anche che l’accesso per pubblico concorso dovrebbe tenere sgombro il campo (tra un concorso e l’altro) da aspettative, interessi, contenziosi, graduatorie, collegati alle alterne vicende legislative e amministrative tipiche della nostra politica scolastica, troppo spesso avvezza a dar ascolto ai cosiddetti diritti acquisiti (chissà, poi!), piuttosto che al merito.

Un buon concorso richiede tempestività e continuità di azione (ad esempio, le regole e le modalità non dovrebbero cambiare ad ogni tornata concorsuale), ma anche la riduzione del sovraccarico di partecipanti (ultimamente dell’ordine delle decine di migliaia). Questo si può ottenere solo aprendo prospettive diverse nello sviluppo professionale dei docenti (cioè opportunità sostanziose di carriera e di riconoscimenti economici), anche per lo svolgimento di funzioni di sistema diverse da quelle di insegnamento.

E’ minoritaria, tra i partecipanti al forum, l’idea di una selezione diretta (una sorta di chiamata o di incarico) attribuita al Direttore Scolastico Regionale, mentre generalizzata è la richiesta che il profilo di professionalità acquisito all’interno della scuola conti di più nella selezione del personale dirigente, con idee però ancora diverse.

L’elettività del dirigente: ipotesi tramontata?

Lo sviluppo del sistema scolastico avvenuto negli ultimi vent’anni (attribuzione alla scuola dell’autonomia e della personalità giuridica, processi di dimensionamento, qualifica dirigenziale riconosciuta ai capi di istituto) sembra non offrire più spazio a procedure di nomina “dal basso” e per periodi limitati di docenti eletti dai loro colleghi, come pure avviene in alcuni (pochi) paesi europei. L’ordinamento scolastico e la presenza di istituzioni ad alta complessità gestionale fanno preferire una soluzione giuridico-amministrativa imperniata sulla figura di un dirigente pubblico cui attribuire significative prerogative in materia gestionale ed organizzativa. Si è tuttavia consapevoli che questa scelta potrebbe ridurre il raggio di azione del dirigente, spostandolo verso la dimensione puramente amministrativa. Occorre prendere atto del pesante ruolo pervasivo e performante che il diritto amministrativo ha assunto nella gestione di taluni servizi pubblici, come la scuola, a scapito di una maggiore attenzione alla specificità tecnica del servizio reso.

D’altra parte, una cooptazione dal basso non è detto che porti alla scelta dei colleghi migliori e più adatti alla funzione (forse ai più graditi). Comunque, l’idea di affidare a personale anche eletto dai colleghi alcune delle funzioni intermedie e di collaborazione è gradita, magari con riferimento al presidio di funzioni fortemente connesse alla sostanza pedagogica del fare scuola, agli snodi culturali, organizzativi ed operativi da presidiare. L’aver svolto questo tipo di funzioni, precisando le modalità di reclutamento, le competenze e le responsabilità di tali figure, può diventare elemento qualificante di un curriculum professionale dell’aspirante dirigente scolastico (un prerequisito per essere ammesso al percorso). Questa ipotesi, secondo alcuni, potrebbe rappresentare una valida alternativa all’istituto della reggenza (fortemente criticato a tutti i livelli).

L’ipotesi del sorteggio viene evocata solo da alcuni per mettere in evidenza i paradossi e gli aspetti di aleatorietà insite anche nelle attuali procedure concorsuali.

Preparazione culturale, esperienza o attitudine?

Nella selezione a qualifiche di pregio l’accertamento delle caratteristiche culturali di un soggetto (da affidarsi anche a step della procedura concorsuale) dovrebbe essere affiancata dall’apprezzamento delle potenziali competenze operative e professionali (il saper fare del dirigente) da acquisire attraverso l’esperienza sul campo o, meglio, il tirocinio guidato e assistito. Qualche perplessità viene manifestata verso l’idea di valorizzare l’esperienza svolta a scuola, anche perché non sempre oggetto di verifica e di valutazione. Ci si riferisce ai ruoli di collaboratore e simili, che sembrano appannaggio di pochi eletti.

Viene richiesta, da molti, anche una valutazione delle qualità psico-attitudinali allo svolgimento di una funzione che si traduce in larga parte in una azione di relazione e di dialogo professionale. Si è però consapevoli della fragilità di tali strumentazioni psico-diagnostiche e della difficoltà ad inserirle in procedure pubbliche di reclutamento (perché dovrebbero essere affidate ad agenzie specializzate).

L’esperienza di carattere professionale dovrebbe assumere un maggiore peso, attraverso un adeguato riconoscimento in termini di punteggio complessivo che si affianca a quello delle prove d’esame, piuttosto che come soglia di sbarramento iniziale. In questo caso affiorano divergenze tra i partecipanti al forum: qualcuno propone una salomonica quota di accesso (ad esempio, un terzo dei posti) destinata, senza prove preselettive, a coloro che hanno svolto documentate attività di supporto organizzativo e professionale all’interno delle scuole di provenienza. I più giovani, in questo modo, non sarebbero penalizzati.

Come ridurre la platea dei partecipanti e rendere gestibile il concorso

Al di là della tempestività e regolarità dei concorsi, e alla presenza di altre modalità (carriera) di riconoscimento di professionalità è assai probabile che ai concorsi pe dirigenti scolastici si presentino platee sempre assai ampie (contram, la difficoltà a reclutare dirigenti scolastici che sta emergendo in molti paesi europei). Questo dislivello richiede comunque una qualche forma di vaglio selettivo iniziale, che potrebbe basarsi su un mix di curriculum strutturato (e rigorosamente certificato) e di prove preselettive di tipo culturale. Secondo alcuni, l’ammissione dovrebbe basarsi su una graduatoria nazionale per titoli ove apprezzare sia esperienze di tipo professionale ed organizzativo svolte a scuola, sia di carattere culturale e formativo. Viene portato come esempio “sostenibile” il modello trentino, con una prima scrematura centrata sulla documentazione di titoli valutabili, seguita da una procedura preselettiva basata su testing, elaborazione di un portfolio professionale, colloquio-intervista.

Occorre assolutamente evitare che l’accesso al concorso vero e proprio sia affidato a test preselettivi di carattere meramente mnemonico.

E prova preselettiva sia….

Di fronte allo “stato di necessità” dell’alto numero di candidati in partenza (da ridurre con varie modalità) si prospetta l’esigenza di organizzare prove di carattere preselettivo, una volta trovato il dosaggio tra esperienze sul campo e preparazione culturale. In genere si chiede di restringere il campo dei contenuti culturali (giuridici, organizzativi, professionali) eliminando la pretesa enciclopedica che caratterizza l’attuale programma del concorso. Andrebbero evitati dettagli relativi alle diverse branche del diritto, precisazioni sulle teorie dell’organizzazione, minuziose ricostruzioni dei sistemi scolastici europei, per concentrarsi invece sugli elementi portanti dell’ordinamento scolastico, della funzione del dirigente scolastico, sui riferimenti significativi di diritto e di legislazione.

Alcuni richiederebbero anche la presenza di item relativi a conoscenze di carattere logico, o di tipo attitudinale-proiettivo.

Prevale l’idea che il rendere pubblico con un congruo anticipo l’intera batteria di test (banca-dati) aumenti gli aspetti di studio mnemonico sui dettagli, a scapito della comprensione approfondita dei quesiti. La pubblicazione di tutti i test utilizzabili trova però anche qualche estimatore.

Qual è il profilo di dirigente scolastico necessario alla scuola di oggi?

Tutti gli interventi chiedono di prestare una attenzione specifica alle caratteristiche del lavoro di un dirigente, che non può essere assimilato tout court alla dirigenza amministrativa “pura” (che ha come modello la dirigenza ministeriale). Semmai esiste il problema del riconoscimento giuridico ed economico delle accresciute responsabilità dei dirigenti scolastici. Il dirigente è garante della efficacia dell’azione della scuola e della correttezza dei comportamenti di tutti i soggetti che vi operano, ma questo richiede di estendere il raggio di azione ad aspetti squisitamente relazionali, pedagogici, organizzativi, gestionali che mettano al centro i compiti istituzionali affidati al sistema formativo. Questo significa che non è sufficiente la conoscenza puntuale delle leggi, ma che occorre coglierne il senso evolutivo, lo spirito, il valore culturale ed educativo.

Occorre tenere in equilibrio l’esercizio della leadership educativa (che è fatta prevalentemente di relazioni con le persone) con lo svolgimento di funzioni di indirizzo organizzativo e gestionale, anche attraverso la presenza di una rete di figure di collaborazione.

Sotto il profilo strettamente giuridico il quadro delineato nel D.lgs. 165/2001 è considerato esauriente (anche con talune precisazioni apportate dalla Legge 107/2015, come quelle contenute nei commi 78 e 93), anche se alcuni vorrebbero comunque rafforzare la dimensione educativa. Il dirigente dovrebbe presidiare i luoghi della didattica e non solo la correttezza delle procedure amministrative. Il questionario, però, non chiedeva di esprimersi direttamente sugli eventuali effetti distorsivi della qualifica dirigenziale all’interno di una organizzazione culturale, ispirata a valori comunitari e con ampi margini di discrezionalità professionale negli addetti (la c.d. libertà di insegnamento).

Quale profilo emerge dalla procedura concorsuale?

Si è alla ricerca di un equilibrio tra la dimensione educativa e culturale del profilo del dirigente e quella gestionale e manageriale, perché considerate entrambe necessarie, ma da dedurre non da un profilo astratto, ma da una effettiva ricerca sul campo del lavoro quotidiano del dirigente. Qualcuno si spinge fino a quantificare il rapporto tra dimensione educativa (60%) e amministrativa (40%): ma i confini tra le due aree non sono così netti. Occorre comunque rafforzare la dimensione educativa-organizzativa (contenendo quella giuridico-astratta) attraverso la formazione iniziale ed in servizio e con un diverso bilanciamento della procedura concorsuale.

Nella composizione delle commissioni bisognerebbe evitare di inserire professionalità avulse dal contesto scolastico (come ad esempio, presenze accademiche di discipline lontanissime dal mondo della scuola), privilegiando l’appartenenza al campo educativo, come ad esempio le figure di dirigenti tecnici (quasi assenti) o di dirigenti scolastici di comprovata esperienza o autorevolezza.

Anche la composizione del paniere dei quesiti dovrebbe rispecchiare una diversa idea della dirigenza scolastica, mentre si ha l’impressione che l’apparato ministeriale (responsabile del concorso) sia piuttosto preoccupato delle incombenze di minuta gestione che i dirigenti devono spesso disbrigare a fronte delle carenze delle segreterie o dei numerosi compiti ad esse delegate.

Prove scritte short o narrative?

La struttura dei quesiti brevi a molti non appare soddisfacente per mettere alla prova competenze operative. Alcuni, tuttavia, la ritengono una soluzione efficace, che però dovrebbe disporre di un maggior tempo a disposizione (ad esempio, il doppio di quello attualmente previsto), per consentire approfondimenti più mirati. Si fa strada l’idea di ricorrere ad analisi più narrative di dossier che comportano la comprensione e la ponderazione di situazioni complesse, come quelle che in genere deve affrontare un dirigente (dispersione, inclusione, valutazione, organizzazione). Non mancano i suggerimenti mediati: la prova scritta potrebbe comprendere una serie di quesiti puntuali in cui testare la padronanza di strumenti giuridici e amministrativi, ma anche un caso più articolato, con il quale mettere alla prova il “senso pratico” del futuro dirigente nell’affrontare i problemi che si incontrano a scuola.

Il peso delle lingue straniere appare eccessivo (magari da sostituire con la presentazione di certificazioni adeguate), da potenziare invece le tematiche dell’e-leadership.

Orale a quiz o colloquio approfondito?

Anche le prove orali dovrebbero evitare la strada stretta dei quesiti puntuali a sorteggio (che tra l’altro non rappresentano l’intero spettro dei contenuti del bando di concorso) e soffermarsi su una più distesa analisi di questioni professionali, ove mettere alla prova le intuizioni e la visione prospettica e progettuale dei futuri dirigenti con la padronanza di strumentazioni operative, gestionali ed amministrative.

Esiste la consapevolezza che non basta una sola domanda (o una sola tipologia di prova) per verificare le competenze potenziali di un futuro dirigente scolastico. Nel reclutamento di “alte” professionalità si combinano diverse metodologie, che vanno dia colloqui attitudinali alle simulazioni, dalle interviste ai giochi di ruolo, ma è evidente che una procedura pubblica pone numerosi vincoli, oltre alla questione tempo e numerosità dei partecipanti. Inoltre, occorre disporre di un “corpo” professionale di valutatori o selezionatori del personale.

Nell’attuale contesto, comunque le domande della prova orale dovrebbero essere più aperte, rappresentare le diverse aree di competenza del dirigente, essere minimamente contestualizzate alle effettive condizioni di operatività di un dirigente. Una soluzione potrebbe prevedere di raggruppare i quesiti in tre grandi aree (aspetti organizzativi, aspetti amministrativi, aspetti pedagogici), da sondare con tre diverse domande in sede d’esame. Qualcuno propone di rendere pubblica l’intera banca-dati dei quesiti potenziali. L’elaborazione delle domande andrebbe affidata ad un livello nazionale, o comunque con una validazione nazionale.

In prospettiva, la prova orale si dovrebbe presentare come conclusiva di un percorso di tirocinio e di stage formativo, perché allora si potrebbe evitare il sorteggio dei quesiti, per collegare invece il colloquio a quanto avvenuto nella fase di tirocinio e nella discussione di un portfolio professionale.

Le regole del gioco dovrebbero essere conosciute con largo anticipo dai partecipanti e non essere soggette a cambiamenti durante lo svolgimento del concorso, ma diventare stabili nel tempo.

Quale credibilità per i membri delle commissioni?

E’ giudizio condiviso che la mancanza di un tempo equo per il lavoro delle commissioni (che ha portato alla frettolosità e approssimazione che spesso si leggono in alcune verbalizzazioni), l’assenza di esonero dal servizio per gli stessi membri, la mancanza di un dignitoso riconoscimento economico, sono tutti fattori che rendono fragile la composizione delle commissioni d’esame e la loro piena funzionalità. Già si è segnalato l’esigenza di un riequilibrio nella composizione delle stesse, con la presenza di effettive competenze pedagogiche, amministrative e professionali.

Emerge l’idea di affidare ad una struttura dedicata (una sorta di board permanente per il reclutamento del personale) le procedure concorsuali, nella duplice opzione di:

  1. Un comitato scientifico permanente di elevata levatura professionale e di inattaccabile autorevolezza, che svolga funzioni di preparazione di quadri di riferimento, griglie, tracce dei quesiti e delle prove (una sorta di gruppo di regia nazionale);
  2. L’istituzione di un albo cui attingere le diverse professionalità necessarie per l’espletamento delle operazioni concorsuali.

Emergono, tuttavia, diversità di opinioni sul tema della discrezionalità delle commissioni: secondo alcune va radicalmente contrastata attraverso la esplicita “proceduralizzazione” di tutti i passaggi, la formulazione nazionale di quesiti, al limite la correzione sulla base di algoritmi inoppugnabili (di qui la preferenza per saggi brevi); altri rivendicano una maggiore discrezionalità da parte dei diversi soggetti implicati nella gestione del concorso, controbilanciata tuttavia dalla rendicontazione dei risultati ottenuti e dal principio di responsabilità (che è cosa diversa dagli esiti di un contenzioso giurisdizionale).

L’esperienza della “randomizzazione” nella correzione delle prove e nello svolgimento dei colloqui sembra aver dato qualche esito significativo, in termini di maggiore equità. Tuttavia la sede di lavoro delle commissioni dovrebbe essere unica.

Un solo concorso (nazionale) o tanti concorsi (regionali)?

La procedura nazionale è largamente preferita, anche se alcuni preferirebbero un significativo decentramento a livello regionale. Occorre però professionalizzare le commissioni attraverso un reclutamento mirato, una attività formativa preventiva ed efficaci forme di coordinamento tra le diverse commissioni. Le commissioni dovrebbero disporre di strumenti di lavoro comuni e introiettare comuni criteri di valutazione. Al di là delle criticità formali dell’attuale concorso (su cui si dovrà esprimere la magistratura amministrativa) ciò che ha fatto scalpore è la notevole difformità nei comportamenti valutativi delle commissioni, sia nelle prove scritte, sia nelle prove orali, nonostante il possibile effetto “calmieramento” della randomizzazione delle assegnazioni di correzioni e colloqui. Ma si tratta di valutazioni di merito non sindacabili in un contenzioso giurisdizionale.

Ogni quanti anni bandire il concorso?

Il ritmo torrentizio nell’indizione dei concorsi per dirigenti (con lunghi periodi di silenzio alternati ad improvvise tornate concorsuali per decine di migliaia di partecipanti) è una delle cause della gestione faticosa degli attuali concorsi. La norma prevede l’indizione triennale dei concorsi, ma negli ultimi vent’anni è sempre stata disattesa anche se rilanciata con scadenzari precisi all’interno di leggi più recenti. Esiste la positiva esperienza dei concorsi a direttore didattico, biennali, che hanno egregiamente funzionato per decenni. L’esperienza trentina insegna che è possibile gestire in toto una procedura di reclutamento in un anno solo, ed alcuni discussant si sono appellati a questo precedente.

E’ evidente che una rigorosa scansione programmata pluriennale (ad esempio, ogni due anni) sarebbe un elemento di regolazione della procedura concorsuale evitando molte delle attuali distorsioni. A maggior ragione se, come chiedono alcuni, la partecipazione non potesse essere “reiterata” per più di tre volte, oppure dopo periodi “sabatici” tra un insuccesso e l’altro. Alcuni ritengono che l’amministrazione dovrebbe provvedere ad organizzare momenti formativi per aspiranti alle nuove posizioni, oltre che incentivare la documentazione e la certificazione delle competenze acquisite da docenti sul posto di lavoro e spendibili per la nuova carriera.

Ma, allora, chi dovrebbe far parte delle commissioni?

Occorre evitare la presenza di giuristi puri, non in grado di contestualizzare le conoscenze giuridiche con il loro uso effettivo. Si fa preferire, per il coordinamento delle commissioni la figura del dirigente tecnico (meglio se anche in possesso di esperienza di conduzione di istituzioni scolastiche). Da evitare la presenza della componente accademica o da circoscrivere a settori educativi o di ricerca attinenti alla dimensione scolastica. Minoritaria la posizione di chi vorrebbe solo dirigenti scolastici. Inoltre, sarebbe utile la presenza di valutatori nel campo delle dinamiche relazionali e comunicative.

Come garantire una efficace formazione sul campo, durante il concorso?

Il periodo dedicato alla formazione ed al tirocinio pratico nella scuola, inizialmente previsto dal Bando, è stato “cassato” dal legislatore, a giochi in corso, nella convinzione di accelerare le procedure concorsuali e assicurare con tempestività la nomina dei dirigenti sulle numerose sedi vacanti. Tuttavia, la scomparsa di questo segmento dell’iter concorsuale (che forse era eccessivamente macchinoso, dovendo poi pensare ad una successiva prova orale e scritta, con una diversa commissione) è quasi unanimemente considerata un vulnus ad un modello di reclutamento professionalizzante-

Quasi tutti i partecipanti ritengono che il tirocinio dovrebbe essere oggetto di specifica valutazione all’interno del percorso concorsuale ed avere un suo peso rilevante. Secondo alcuni potrebbe anche sostituire la prova orale, diventando un tutt’uno, come riflessione sulla pratica.

La durata di un tirocinio formativo dovrebbe essere di almeno 6 mesi, fermo restando poi la prosecuzione di una forma di tutoring all’interno di un più lungo periodo di prova. Decisivo il ruolo dei mentor, cioè di colleghi dirigenti esperti che si affiancano ai neo-dirigenti in formazione (alcuni prevedono rotazioni di queste figure).

E come accompagnare i nuovi dirigenti nel loro ”ambientamento” nella dirigenza?

La richiesta è di non ripetere attività di formazione e informazione sui molteplici contenuti culturali previsti nel programma del concorso o nell’astratta disamina del profilo richiesto al dirigente. Servirà, piuttosto, una formazione personalizzata, ritagliata sugli specifici bisogni formativi dei neo-dirigenti, alla luce del loro curriculum professionale. E’ comunque importante, al di là dei seminari formativi, affiancare il neo-assunto con un dirigente “mentor” in grado di accompagnarlo e consigliarlo nei passaggi più critici della nuova professione. La costituzione di piccoli gruppi di confronto, scambio, mutuo-aiuto (con la guida di un dirigente esperto) potrebbe poi incentivare il lavoro collaborativo.

Al centro dovrebbero stare situazioni concrete, come le capacità relazionali e comunicative, il presidio della didattica, il rapporto con il territorio, le molteplici questioni della valutazione, la gestione delle innovazioni e i processi di rete.

 [1] La redazione del documento è a cura di Giancarlo Cerini, che si è avvalso dei contributi scritti di: Beatrice Aimi, Lisetta Bidoni, Franco De Anna, Vanna D’Onghia, Paolo Fasce, Antonio Giacobbi, Rosalba Marchisciana, Emanuela Marguccio, Elisabetta Nanni, Mauro Piras, Mariella Spinosi, Maria Teresa Stancarone, Stefano Stefanel, Antonio Valentino, Maria Rosaria Villani, Lorella Zauli.