Archivio mensile:Novembre 2019

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T come tentativo sperimentale

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abcIl tậtonnement sperimentale
di Giancarlo Cavinato

La via normale dell’acquisizione non è affatto l’osservazione, la spiegazione e la dimostrazione, processo essenziale della scuola, ma il tậtonnement sperimentale, approccio naturale ed universale’.[1]
C’è un possibile punto di incontro fra la pedagogia e la realtà dei ragazzi, della scuola, dei contesti di vita? Tante sono le domande e i problemi che ci poniamo quotidianamente nel delicato approccio alla scritto-lettura così come al ragionamento matematico.
Si può lasciare scrivere liberamente e calcolare intuitivamente accompagnando i processi nella convinzione che ci si impadronisca del segreto della scrittura e si impari a ragionare?
Partire, come fa la tradizione scolastica, con la conoscenza iniziale di segni e numeri e delle loro combinazioni porterà a una espressione rigida ed esecutiva e all’uso meccanico del calcolo. E’ un terreno sicuro. La pratica del metodo naturale comporta viceversa l’accettare di correre dei rischi e di assumerci la responsabilità delle imprevedibilità degli esiti.
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Integrazione tra i contenuti disciplinari e innovazione didattica

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di matitaAnnalisa Filipponi[1]

Il cambiamento non è mai stato così veloce
e non sarà mai più così lento
(Graeme Wood, 2019)

Il paradigma della complessità, caratteristico della società contemporanea, richiede mutamenti ed adattamenti sempre più frequenti e repentini ed ha necessariamente imposto un ripensamento tuttora in corso, sia dal punto di vista organizzativo, sia dal punto di vista didattico.
Come descrive bene Giovanni Lo Storto[2] due saranno i modelli educativi prevalenti: l’ormai tradizionale lifelong learning (imparare nuovi saperi lungo tutto il corso della vita) e quello che possiamo chiamare life largelearning, che, usando le parole di Lo Storto in un passaggio del suo libro “Ero Studente”, possiamo definire in questo modo: “Life largelearning è altro. Non è più la sola determinazione temporale che conta, perché è oramai un dato di fatto che la formazione debba durare tutta la vita. (…) E’ un processo di istruzione e allo stesso modo di vita – ecco perché life – e conta al suo interno opportunità e abilità, conoscenza e umanità

Infatti, posto che si dovrà imparare sempre, è necessario “allargare la formazione, abbracciando ogni occasione di apprendimento che si presenta davanti a noi”. Sempre secondo Lo Storto nessuno è più “studente” in senso tradizionale, non si riceve più la conoscenza in forma diretta e trasmissiva dall’alto, siamo tutti “apprenditori permanenti”. Il life largelearning si realizza quando gli studenti imparano che, oltre allo studio, c’è tutto un mondo da conoscere, quando appare chiaro che continuare a formarsi “all’antica”, anche se in un’ottica multidisciplinare, escluderà da molte opportunità.

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Aumenti scuola, possibili solo con fuoriuscita dal comparto pubblico

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abc
di Gianfranco Scialpi

Aumenti scuola, nuova fumata nera!
Saranno irrisori! Come da ventisei anni!
Le dichiarazioni e le interviste non fanno mai riferimento al quadro normativo vigente.

Eppure la soluzione è semplice: far uscire la scuola dal comparto pubblico.

Aumenti scuola, l’ultima illusione

Aumenti scuola, resta il sogno, confermando il buio prospettico. Tutto confermato! Ci sarà semplicemente un adeguamento al tasso d’inflazione programmata. Si legge su Italia Oggi “I 3 miliardi a regime, previsti nel disegno di legge di bilancio per il rinnovo dei contratti collettivi del personale non dirigenziale del pubblico impiego, nel quale sono compresi docenti e Ata, copriranno solo il tasso di inflazione programmata.
È quanto si evince dalla relazione sul bilancio di previsione dello stato per l’anno finanziario 2020 e sul bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022 (a.s. 1586), depositata in audizione davanti alle commissioni riunite di camera e senato, dal presidente della Corte dei conti, Angelo Buscema.

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I dati preoccupanti delle rilevazioni sulla scuola: chi interessano?

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anno_super
di Antonio Valentino

0. Un’Italia sempre in fondo
Poche settimane fa (intorno al 15 ottobre) sono stati pubblicati i dati INVALSI sulla dispersione scolastica. La media nazionale: 22%. Che significa che più di un giovane su cinque lascia la scuola prima di concluderne i cicli previsti con un bagaglio culturale assolutamente insufficiente per affrontare la complessità del mondo in cui dovrà inserirsi. Con conseguenze probabili in termini di disagi e marginalità sociale.

Quest’estate, al termine degli Esami di stato – più o meno a metà luglio – giornali, televisione e social network, per un paio di giorni, hanno dato un discreto rilievo ad una notizia che non raccontava niente di nuovo, ma che metteva il dito su una piaga antica e non proprio indolore. Si trattava della rilevazione dell’INVALSI sui risultati delle prove degli Esami , nella quale si evidenziava che il 34% dei nostri studenti non capisce quello che legge (’’analfabetismo funzionale’) e che la maggior parte di questo 34% si concentra al Sud.
Mettendo così sotto i riflettori, se ce ne fosse ancora bisogno, la persistenza di una questione meridionale anche per la scuola (evidenziata ancora dai dati INVALSI sulla dispersione, che in provincia di Trento si attesta sul 9.6%; mentre in Calabria, Sicilia e Sardegna oscilla tra il 34 e il 37%!).
I commentatori più attenti di tali risultati hanno ripreso dati di altre fonti e periodi, comunque recenti, che raccontavano cose analoghe. Tra questi, i numeri dell’ultima ricerca TREELLLE (marzo scorso) che, evidenziavano come nell’UE gli “analfabeti funzionali” non superano il 15% della popolazione scolastica. 15% contro il nostro 34!

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Reclusi e divisi

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bambini_scuoladi Giancarlo Cavinato
(Movimento di Cooperazione Educativa)

La scuola fa male?
E’ la domanda che pone il prof. Roberto Farné, docente all’Università di Bologna , Coordinatore del Corso di Laurea Magistrale in Wellness culture, a seguito delle problematiche sollevate dalle reazioni di dirigenti scolastici, insegnanti, genitori alla disgrazia del bambino deceduto dopo una caduta a Milano.
La scuola fa male se dà segnali di pericolosità dell’esperienza che è possibile condurre al suo interno e all’esterno.
La scuola fa male se separa, divide, mantiene ogni gruppo classe chiuso nella propria aula impedendo lo sviluppo di una sana prosocialità che si espleta anche nella positiva mescolanza che avviene nei momenti soglia (accessi, uscite, intervalli, dopomense,…) e nell’organizzazione di gruppi laboratorio per classi aperte, attività laboratoriali e di ricerca. Continua a leggere