La formazione dei docenti: un CCNI che fa riflettere

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matitadi STEFANO STEFANEL

            Reginaldo Palermo, direttore storico di Pavone Risorse ora diventato Nuovo Pavone Risorse – Gessetti Colorati, mi chiede di intervenire sulla questione della formazione dei docenti alla luce del Contratto integrativo di metà novembre soprattutto in rapporto all’ottimo intervento di Antonio Valentino pubblicato su questo sito  (Il nodo della formazione: obbligo o diritto? A proposito del recente Contratto Integrativo, 6 dicembre).
Mentre penso a cosa scrivere vado a rileggere l’intervento di Giancarlo Cerini (Le nuove responsabilità dal Collegio dei docenti nel piano di formazione dell’istituto, su La scuola 7 n° 162 del 2 dicembre 2019) ma, prima ancora di iniziare a scrivere, ecco comparire la pesantissima e pienamente condivisibile invettiva di Cinzia Mion prima su Faceboook e poi sempre su questo sito (Formazione docenti: lettera aperta ai sindacati della scuola, 9 dicembre).

Alla luce di quanto scritto da Valentino, Cerini e Mion mi pare che il problema sia stato pienamente analizzato e compreso: quanto scrivono mi trova concorde e quindi se rispondo positivamente alla richiesta di Reginaldo Palermo lo faccio anche perché ho un punto di vista che loro non hanno: dal 2015 dirigo il Polo della Formazione dei docenti neo assunti della Provincia di Udine (negli ultimi tre anni i tre ambiti della provincia sono stati gestiti grazie ad un accordo di rete da un’unica scuola, quella che dirigo), sono stato mentore di 9 colleghi dirigenti neo assunti, faccio parte del Nucleo di valutazione di dirigenti scolastici, dirigo l’Ambito 8 nel FVG (circa 240.000 euro in tre anni per la formazione), ho gestito la formazione degli Snodi territoriali PN (120.000 euro per circa 25 corsi), attualmente ho avviato corsi del Piano Nazionale Scuola Digitala su base provinciale per 20.000 euro, ho appena terminato la formazione provinciale per il CLIL e regionale su SNV sempre con fondi ministeriali. Prima che tutto questo nascesse per sette anni ho gestito la rete “Udine e non solo” che faceva formazione per istituti di tutti e due i cicli. Ho enumerato tutti queste esperienze perché, non avendo l’autorevolezza di Valentino, Cerini e Mion, intervengo forte di un’esperienza sviluppata dal basso.

Il Contratto integrativo rientra in una logica ferrea, nel complesso condivisa dal mondo della scuola, secondo cui vanno smantellati tutti i principi (attivi) della legge 107/2015 partendo dalle azioni che hanno prodotto. Gli Ambiti territoriali in alcuni casi hanno funzionato e in alcuni casi no, ma la questione non ha mai riguardato il loro funzionamento, ma proprio la loro origine. Molti dirigenti scolastici si sono sentiti “espropriati di autonomia” dagli Ambiti e preferiscono le piccole reti di scopo, attivate spesso per necessità o progettualità anche minime, o le reti imposte dagli Uffici periferici del Miur.
Inoltre ci sono state effettive difficoltà nell’organizzazione della formazione di ambito soprattutto per tre motivi:
–       complessità nel trovare posizioni comuni dentro una logica progettuale nuova e con un’idea di formazione di area;
–       “virulenza immotivata” da parte del MIur nel chiedere una rendicontazione entro il 31 ottobre diminuendo il tempo progettuale di ambito a pochi mesi e quindi non permettendo a molti di riuscire a terminare le attività formative;
–       preferenza di docenti e sindacati per reti imposte dagli organi territoriali del Miur (vedi nomina dei supplenti annuali) e diffidenza per le reti di Ambito, apertamente pensate nella legge 107/2015 “contro” gli organi territoriali del Miur.

Ho visto per mia esperienza personale Ambiti territoriali organizzare una formazione vasta e di altissimo livello (cito esperienze lontane e veramente eccellenti sviluppate, ad esempio, nel Lazio dagli Ambiti 5 dirigente Alessandra Silvestri, 17 dirigente Annamaria Greco e 19 dirigente Orietta Palombo) e Ambiti che non hanno progettato nulla. Una cosa però certamente rimane: dopo l’esperienza degli ambiti pensare che le scuole possano progettare da sole un Piano di Formazione con 3-4.000 euro l’anno pare una cosa ben bizzarra.

La logica che sta alla base del contratto è però stringente: qualunque azione che valuti il personale in forma qualitativa è stata azzerata dalla contrattazione, indipendentemente dagli esiti, spesso affinché non producesse alcun esito.

Oltre ai “cavalli di battaglia” della legge 107 (trasferimento nell’Ambito per curricolo e non per anzianità nominata con raro autolesionismo “chiamata diretta” anche se di diretto aveva poco o niente; bonus premiante il merito che presto sparirà e che viene criticato anche dai dirigenti che spesso si lamentano della qualità dei propri docenti), che non sono più “cavalli” a battaglia conclusa e persa, esiste un sottile filo che lega l’idea di qualità con quella di valutazione e che è stata azzerata.
Parlo di tre elementi cardine del sistema pensato dalla legge 107/2015 e che non ci sono più:

–       valutazione dei dirigenti scolastici (diventata da obbligatoria e con incidenza sull’indennità di risultato a facoltativa senza alcuna incidenza economica)

–       formazione in servizio dei docenti immessi in ruolo di durata triennale azzerata dall’idea di concorsi riservati diffusi per sanare l’esperienza anche se fatta senza alcuna formazione

–       periodo formativo dei dirigenti scolastici prima dell’immissione in ruolo: è vero che in questo caso l’emergenza reggenze imponeva un’immediata immissione in ruolo, ma perché quasi quattro mesi dopo i 2.000 neo dirigenti scolastici sono lasciati operare senza alcuna formazione con la licenza di auto-formarsi opinioni che purtroppo spesso saranno definitive sulla loro professione.

Quindi la logica di derubricare a diritto la formazione fa il paio con l’idea coerente di scuola che agisce per esperienza e non per formazione. L’esperienza senza ragionamento sull’esperienza è spesso foriera di cattivi comportamenti e di vizi inestirpabili, ma il mondo della scuola preferisce la “formazione sul campo” (qualunque cosa questo voglia dire) piuttosto che la formazione specifica e verificata dentro un’area più vasta (quella dell’Ambito).

Personalmente sono contrario alla formazione obbligatoria. Il Piano di Formazione del Liceo che dirigo ha approvato uno schema molto semplice in cui ogni attività formativa da inserire nel Piano doveva essere preceduta da una scheda che illustrasse quale parte di PTOF, RAV e PDM andasse a intercettare. Chi non intercettava nulla di tutto questo è stato autorizzato alla formazione, ma non a inserire questa formazione nel Piano organico dell’Istituto. Nessun obbligo e tutta la progettualità del Liceo spostata nell’Ambito. In tre anni i docenti hanno esercitato il loro diritto per 11.292 ore (4210 nell’a.s. 2016/17, 3222 nell’a.s 2017/18, 3760 nell’a.s. 2018/19) con una media di 34 ore annue per docente (102 nel triennio).
Poiché ci sono docenti che hanno fatto zero ore di formazione vuol dire che molti hanno superato le 200 ore. Ritengo molto positivo questo esito perché il sistema cresce e l’organizzazione migliora se c’è spinta e motivazioni e non obbligo. Però una media di 102 ore di formazione/triennio mi pare un risultato ottimo a seguito di una deregolamentazione controllata con ampie possibilità formative date dall’Ambito, dagli Snodi, dai Piani formativi proposti dal Miur.

Dentro una logica esperienziale l’anzianità vale più di tutto e questa è la cifra su cui si è firmato quel contratto. Molte scuole si organizzeranno in reti di scopo (che piacciono più di quelle di Ambito perché le si costituiscono con gli “amici” e non col territorio qualunque esso sia) e faranno formazione come si è imparato in questi anni, altre faranno micro-corsi obbligatori (con quelli delle ultime file costretti a stare lì ad ammazzare il tempo chattando e navigando e quindi migliorando comunque le proprie competenze digitali), alcuni non si occuperanno della questione.
Esiste una evidente tendenza dei dirigenti scolastici a stare in ufficio e a confrontarsi meno possibile (anche se i controlli biometrici della Ministra Bongiorno sono saltati) con l’idea che un dialogo di area faccia perdere tempo ed è meglio presidiare il proprio “orto”.
Credo che Cinzia Mion non se la dovrebbe prendere troppo coi sindacati e Valentino e Cerini avere qualche dubbio sulla reale capacità dei Collegi dei docenti di oggi di progettare come collegio (ormai la progettazione delle scuole sta altrove e in collegio si tende a votare o a esercitare un diritto di tribuna spesso difficile anche da verbalizzare).