Vorrei una scuola che non lascia indietro nessuno

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io_noidi Raimondo Giunta

La scuola che vorrei è quella che non lascia nessuno indietro e in cui gli insegnanti si impegnano affinché tutti gli alunni posseggano i saperi indispensabili per orientarsi nella vita e per inserirsi nel mondo del lavoro.
Una scuola che tiene fede a queste finalità non abbassa il livello delle proprie esigenze,anzi; sceglie soltanto di non essere un luogo di discriminazione; di volere il successo di tutti e non quello di una minoranza.

Gli alunni in difficoltà, come dice Meirieu, rendono un servizio immenso agli insegnanti e ai compagni, perchè li rendono consapevoli dei problemi che bisogna affrontare per crescere e andare avanti.
E molti alunni a scuola sono in difficoltà, perché spesso sono arbitrarie le mete che si dovrebbero raggiungere ,arbitrari i livelli da superare,arbitrari i criteri di valutazione, non adeguati i metodi di insegnamento.
Oggi diventa fondamentale esercitare i giovani a sapere utilizzare l’immenso capitale culturale parallelo ed esterno a quello della scuola;farli diventare capaci di discernimento e di selezione delle informazioni.
L’educazione e l’istruzione sono diventate una sfida difficile,ma sono le uniche alternative alla stupidità e alla violenza,alla seduzione dei media e dei social che non danno conoscenza.
Se si vuole il bene dei giovani, se si vuole sottrarli alla realtà virtuale, la scuola sia per loro l’incontro con le cose, le persone, le tradizioni e i valori del mondo circostante.
Sia per loro l’incontro con la realtà. Per apprendere a scuola e fuori della scuola bisogna volerlo; questo significa che bisogna motivare i giovani a volerlo, perché senza il piacere di volere imparare non si produce apprendimento.
Non ci sono in giuoco, però, solo elementi intellettuali e cognitivi. Questi sono alcuni aspetti del problema, che non è solo un problema pedagogico-scolastico.

Un modo per affrontare e vincere questa sfida è quello di sapere trasformare i contenuti e gli scopi della formazione in interessi presenti e quotidiani per i giovani. Non è un’operazione facile.
Per raggiungere i risultati sperati occorre misurarsi con la crescita esponenziale dell’insofferenza di parte non insignificante dei giovani verso la scuola;molti non sono preparati come un tempo a vivervi dentro e ad accettarne cultura, regole, organizzazione e ritmi.
Tanti giovani, abituati a casa ad un regime di vita senza tanti controlli, a volte abbandonati a se stessi, a scuola non riescono a trovarsi a proprio agio e ad accettare quelle limitazioni alla propria libertà che consentono di potere svolgere regolarmente le attività di formazione.
Occorre fare comprendere che a scuola è necessario che tutti si riconoscano vincolati, per potere stare insieme, da quei principi che consentono nelle stesso tempo di rispettare le altrui esigenze e le proprie; gli altrui convincimenti e i propri e che lo spazio comune di convivenza sia gelosamente delimitato e difeso.
Il mondo giovanile che riempie la scuola è diventato complesso e a volte indecifrabile a motivo della sua sempre più frastagliata composizione sociale, della sua diversa provenienza nazionale, della sua molteplice appartenenza religiosa.
Nella scuola che è diventata multietnica e multiculturale non si viene a capo dei problemi da affrontare, proponendo come indiscutibile un solo modello di razionalità, di cultura e di umanità; a scuola non ci dovrebbero essere mondi da civilizzare; l’etno-centrismo delle nostre tradizioni scolastiche non è un fattore di integrazione e andrebbe seriamente discusso, quando si elaborano i curricoli scolastici.
Si richiedono ai giovani capacità di iniziativa, attitudini al lavoro di gruppo e alla collaborazione, senso di responsabilità; ma come possono acquisirli se in classe si crea un clima competitivo individualistico e si lavora con una didattica autoritaria?
D’altra parte l’educazione al senso di responsabilità non compete solo alla scuola, perchè se dovesse appartenere solo alla scuola, non si andrebbe molto lontano con tanti cattivi esempi nelle istituzioni e nella società. Per fare bene il proprio mestiere e per rispondere al bisogno di educazione e di formazione delle nuove generazioni la scuola ha bisogno di tempo; a volte di molto tempo.
Nella scuola, invece, si ha sempre fretta, perché ci sono tante scadenze, tanti impegni da onorare; tanti progetti da portare a compimento.

Al posto della riflessione regna sovrana la concitazione. E’ forse questa la causa che impedisce di prestare la dovuta attenzione ad ogni alunno e ai particolari problemi che può presentare.
Ogni volta che si entra in classe ogni insegnante dovrebbe chiedersi per quale tipo di società si sta istruendo e formando i giovani e dovrebbe farlo per dare un senso al proprio lavoro.
Certo, il primo dei compiti della scuola è quello di dare a loro gli strumenti per costruire il proprio progetto di vita e per inserirsi nel mondo del lavoro.
Credo che non basti.
La scuola deve sviluppare e proteggere l’umanità che è in ognuno di noi,è questo è possibile rendendo i giovani eredi consapevoli del patrimonio di conoscenze e di valori della società alla quale appartengono,spronandoli ad essere persone accoglienti, dialoganti, aperte alla comprensione e all’accettazione delle diversità.
Lo si voglia o no, per fare una buona scuola, oggi, si deve porre attenzione alle dimensioni affettive della persona.
A molti ragazzi mancano la presenza, la guida e l’affettività della famiglia, ma non dovrebbero mancare le attenzioni della scuola.
Bisogna preoccuparsi della formazione degli alunni, ma anche dei problemi della loro esistenza.
Il mondo è talmente cambiato che i giovani devono reinventarsi tutto (M.Serres) e non possono essere lasciati soli.