Le decisioni degli organi collegiali non fanno venire meno le responsabilità del dirigente

   Invia l'articolo in formato PDF   
image_pdfimage_print

di Stefano Stefanel

L’emergenza coronavirus ha fatto scoprire all’opinione pubblica, ai mass media, ai social, ai genitori e forse anche agli studenti la figura del dirigente scolastico, ritenuto, probabilmente, prima del Covid 19 una figura di contorno, non sempre fondamentale per la vita della scuola.
Da febbraio a tutti è stato chiaro che senza i dirigenti scolastici la scuola non sarebbe potuta andare avanti e non sarebbe riuscita a organizzarsi neppure nelle minime incombenze. Ed è stato chiaro a tutti che se la scuola è stata in grado di fare la sua parte sia durante il lockdown di primavera, sia in questa drammatica ripartenza, è perché i dirigenti scolastici hanno lavorato sempre sodo e senza sosta, spesso nella solitudine peggiore, quella delle decisioni senza appello. In questi ultime settimane poi si è finalmente scoperto che solo una gestione capace, efficiente ed efficace avrebbe permesso di applicare in tempo reale decisioni prese e cambiate nel giro di poche ore.

GLI OBBLIGHI

Ci sono ancora molti dirigenti, soprattutto tra quelli giovani di breve nomina, che credono che una decisione presa col supporto degli organi collegiali della scuola o sentito il parere (che, se viene dato, è al massimo di tipo orale) dell’Ufficio scolastico regionale di riferimento, possa sgravare dalle responsabilità monocratiche. Sia sulla sicurezza, sia sulla responsabilità patrimoniale a seguito di negoziazione, sia sulle nomine del personale, sia sulle decisioni riguardanti l’emergenza coronavirus è diventato evidente a tutti (Ministero incluso) che per l’ordinamento italiano risponde solo chi si prende la responsabilità della decisione e la firma.

E poiché nelle scuola la rappresentanza legale ce l’ha un solo soggetto, credo sia importante avere chiaro in mente il ciclo del comando, la sua catena di trasmissione, la necessità di motivare tutto attentamente. Non credo sia molto utile cercare improbabili alleanze, quanto avere chiara in mente una linea di governo dell’istituzione affidata e condividere questa linea con gli organi collegiali, i gruppi di lavoro, i delegati, il personale, gli studenti, le famiglie. Condividere una linea dove la decisione finale è di chi risponde non vuol dire mai cedere alle pressioni della collegialità.

Non credo di dire una cosa sconosciuta se affermo che davanti all’emergenza nessun soggetto esterno alla scuola ha voluto interloquire con organi collegiali, docenti delegati, gruppi di lavoro o altri organismi. Tutti i soggetti esterni alla scuola hanno sempre e solo voluto rapportarsi col dirigente scolastico che ha dovuto decidere, rispondere, monitorare, firmare. Non riporto qui un elenco ormai noto a tutti, ma la questione delle distanze, delle sanificazioni, degli acquisti, dei contratti al personale, dei monitoraggi anche a ridosso di Ferragosto e di moltissime altri obblighi, hanno richiesto sempre la decisione del solo dirigente scolastico. Dove c’era un obbligo per la scuola, questo obbligo si è sviluppato come una pianta rampicante che per crescere vuole il muro e quel muro era solo il dirigente scolastico. La solitudine di certe decisioni ha fatto in questo periodo il paio con la sordità dei soggetti che facevano le domande e che volevano solo risposte, chiedevano celerità ma non erano celeri a loro volta. La questione dei banchi è sotto gli occhi di tutti, ma anche quella ben più drammatica dei tracciamenti e dei Dipartimenti di prevenzione pronti a chiedere azioni immediate alle scuole nella segnalazione di contagi e dei cluster, ma lenti nel dare le risposte susseguenti, lasciando il dirigente scolastico da solo nella scelta di chi lasciare a casa, per quanto tempo e come. Perché il dirigente scolastico ha dovuto decidere anche il “come” su materie nuove, prive di giurisprudenza, ma sotto gli occhi di sindacati, giudici, avvocati: smart working, conteggi di ferie e permessi in rapporto all’emergenza, quarantene, lavoratori fragili, inquadramenti giuridici di profili nuovi di assenza, mascherine, distanziamenti, prodotti per la sanificazione, sono solo alcuni argomenti che fino a febbraio non riguardavano la scuola e che improvvisamente sono diventati la sua quotidianità.

Vorrei però fosse chiaro come il mio non è un ragionamento per cercare la comprensione o peggio orientare alla critica, ma solo il tentativo di far comprendere come il sistema scolastico italiano ha deciso di mettere in capo ad una persona sola tutte le responsabilità della scuola, lasciando come contorno soggetti che a volte aiutano e a volte ostacolano, ma non rispondono mai. Se un Consiglio d’Istituto approva un Regolamento sbagliato o una negoziazione fuori dalle norme dell’anti corruzione non risponde di nulla, mentre il dirigente scolastico risponde anche di tutto quello che è stato deciso da altri. Per cui forse è meglio imparare a decidere in solitudine e poi interloquire per togliersi dei dubbi, sapendo che quando si mette una firma sotto un foglio di carta quella firma è per sempre.

LE SCELTE

L’emergenza coronavirus ha però fatto emergere anche la necessità che il dirigente scolastico abbia una forte capacità di scelta. La scelta non è un obbligo, ma orienta, guida, indirizza, condiziona. Anche in questo caso non ci sono manuali di riferimento o indicazioni semplici e ogni dirigente scolastico decide se essere il controllore dei minuti di Didattica Digitale Integrata erogati da ogni docente o colui che orienta la didattica affinché sia incisiva e garantisca gli apprendimenti; se essere colui che perde le giornate a capire come va giuridicamente inquadrato un docente in isolamento fiduciario o colui che telefona al docente per sapere come sta e cosa è possibile fare a favore degli alunni; se essere colui che misura tempi e spazi dei collaboratori scolastici quando la scuola è vuota o li motiva perché siano pronti quando la scuola si riempirà; se essere colui che si preoccupa che gli studenti da casa rispondano alle domande dei docenti senza sbirciare sui libro o colui che fa capire ai docenti come la distanza non è mai la presenza; se essere colui che emana Linee guida di duecento pagine su tutto o colui che cerca di farsi capire con poche parole; se essere colui che sulla carta è sempre protetto o colui che protegge gli altri con decisioni su questioni che solo il futuro potrà permettere di verificare nella loro correttezza.

Le scelte sono importanti quanto gli obblighi perché costringono chi dirige la scuola a scegliere tra il dibattito costante su tutto o le decisioni che rassicurano e aiutano. L’incredibile e astruso dibattito sulle ore da 45 o 50 minuti con o senza recupero mostra naturalmente che i vicoli ciechi sono fatti apposta perché qualcuno vi si infili dentro. C’è una legge che mai nessuno ha cambiato (la Bassanini Uno, legge n° 59 del 1997) che parla di “obblighi annuali di servizio” dei docenti e “monte ore annuale delle discipline” degli studenti. La risposta c’è già e va al di là dei contratti, basta semplicemente porre le domande nel modo giusto e non limitarsi a battaglie di principio senza chiedersi poi quel principio a cosa porterà.
Che siano 45, 50 o 60 i minuto servono ad insegnare qualcosa, non a far passare il tempo. Meno conteggi e più obiettivi, meno adempimenti e più progetto: non serve contare i minuti, ma capire a cosa servono quei minuti. Scelte non mansionari, scelte non discussioni, scelte non assemblee.

Le scelte riguardano anche rapporti con soggetti esterni, che a parole aiutano la scuola e nei fatti invece aiutano se stessi. In Italia però non è possibile ammettere gli errori, perché chi lo fa è subito indagato da un giudice. E infatti errori macroscopici – nessuno dei quali compiuto dalle scuole –  durante l’emergenza non trovano nessun messaggio di scuse, perché ognuno difende la sua posizione, preoccupato che a qualche giudice quella “difesa” non vada bene. E’ chiaro che la scuola ha fatto tutto quello che doveva fare e in modo puntuale: ma la scuola è retta da un dipendente statale che risponde all’amministrazione centrale e alla legge, non ad un soggetto che risponde agli elettori e all’opinione pubblica. Gli enti locali sono retti da politici che rispondono agli elettori e che non avranno alcun problema a scaricare su altri il peso di propri eventuali errori. Le questioni dei trasporti, degli spazi scolastici e delle mense sono sotto gli occhi di tutti, ma si sentono in giro solo accuse e non prese in carico di responsabilità. Il dirigente scolastico questo non lo può fare: ha delle responsabilità e le deve esercitare e non ha nessuna opinione pubblica votante da convincere, ma solo studenti a cui garantire l’apprendimento, la formazione, l’educazione. Il dirigente scolastico guida un’istituzione votata all’istruzione e alla formazione, non un servizio sociale da esercitarsi per le ore ritenute necessarie dalle famiglie o dagli enti locali.

LA COMUNICAZIONE

Mai come in questa fase il dirigente scolastico è diventato soggetto pubblico che deve saper comunicare. A molti è costato troppo aver sottovalutato un esercizio comunicativo importante come è stata la Rendicontazione sociale, perché al momento della comunicazione spesso si viene travolti dalla propria incompetenza comunicativa. I mass media e i social cercano la notizia ad effetto, il numero dei contagiati, il numero dei banchi, il numero delle mascherine, il numero degli studenti non connessi. Così ci sono quelli “furbi” che non danno il numero dei contagiati della propria scuola e quelli “trasparenti” che lo danno: attenzione perché in entrambi i casi i giornalisti o i cittadini cercano il negativo, non il positivo, perché il positivo fa “notizia breve”, mentre il negativo fa il le “otto colonne”. La regola base della comunicazione è che se un cane morde un uomo non c’è notizia, mentre se un uomo morde un cane sì. Dunque bisogna stare attenti a non trasformarsi in notizia e comprendere che “il medium è il messaggio” come ebbe a dire Marshal McLuhan cinquant’anni fa. Il giornale deve avere una sua aggressività di vasto momento, altrimenti è noioso e non viene letto da nessuno; la televisione centra l’attenzione su qualcosa e poi si volta immediatamente altrove; i social invece vanno dove e come vogliono loro lasciando dietro “morti e feriti”.

L’inavvedutezza della comunicazione scolastica fa scambiare i propri comunicati per comunicazione e le proprie spiegazioni per motivazioni. Invece è tutto molto mescolato: per comunicare bene bisogna essere pronti a rispondere sempre a tono e brevemente, per spiegare bene qualcosa bisogna saperlo fare in venti parole. Sennò vincono i mass media e i social, che possono decidere la lunghezza della comunicazione e il tempo da dedicare ad un problema. Proprio perché il ruolo del Dirigente scolastico è diventato un ruolo esposto ed evidente bisogna saper comunicare, saper anticipare, saper sintetizzare. Mai farsi travolgere da un problema, mai polemizzare pubblicamente, mai attaccare. Perché alla fine nessuno difenderà il dirigente scolastico che ha sbagliato di comunicare: il rilancio all’esterno di ciò che avviene a scuola corre sempre il rischio che prevalga l’enfasi e il rumore.

Il dirigente scolastico deve imparare a porsi in forma autonoma davanti agli obblighi, deve saper scegliere quale direzione far prendere alla progettualità della propria scuola, deve imparare a comunicare in un mondo che cerca gli sbagli altrui. E’ un mestiere difficile ma i fatti hanno dimostrato che è un mestiere in mano a ottimi professionisti. Non aspettiamo le norme che descrivano la realtà dei fatti, quelle, forse, arriveranno dopo: attrezziamoci perché la seconda ripartenza sarà anche più dura della prima, avrà molti obblighi, imporrà molte scelte e si svolgerà dentro una comunicazione aggressiva.