La libera espressione

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di Giancarlo Cavinato

Il concetto di ‘libera espressione’ ha avuto varie interpretazioni nella pedagogia attiva a seconda dei diversi autori, Steiner, Bettelheim, Rogers, Neill, Korczak, le teorie della creatività (Guilford), Munari…

Il Movimento di cooperazione educativa ha introdotto le pratiche di liberazione attraverso le proposte di Rodari e le esperienze dei suoi maestri e maestre, Mario Lodi, Nora Giacobini, Idana Pescioli, Aldo Pettini fra i tanti.
Negli anni 70 l’incontro con Franco Passatore e il Teatro Gioco Vita con le proposte di animazione teatrale (il teatro dei ragazzi)  ha dato origine a una varietà di esperienze confluite poi nella proposta ‘a scuola con il corpo’.

Nell’accezione di Freinet, la libera espressione corrisponde a un progetto di interezza degli individui, che non va interrotta nel percorso scolastico settorializzando le diverse aree della personalità infantile. .
Per Freinet il bambino  non è un soggetto passivo, ma neppure una creta  modellata per intervento dell’ adulto: sin dalla nascita è dotato di un potenziale di vita. Freinet usa, per esemplificare il bisogno di  potenza, la metafora del torrente che scende impetuosamente verso la pianura.

‘Dobbiamo convincerci del fatto che il bambino non è affatto una terra vergine che attende le sue maestranze, ma un complesso di una vita ricca e tumultuosa, un torrente che non è che alla sua origine, ma che reca in sé tutte le promesse del suo avvenire.’( C. Freinet, Les bases psychologiques des Techniques Freinet, Techniques de vie, ottobre 1959)
Le conoscenze per Freinet  possono essere acquisite seguendo lo stesso processo naturale che permette al bambino di imparare a camminare, a parlare, a svolgere le fondamentali attività funzionali.  Il processo naturale si regge sullo slancio vitale che fa sì che il  bambino sia curioso, ricercatore e sperimentatore, procedendo per tâtonnement. Ogni essere vivente è animato da un bisogno di crescere, di progredire.

Per non ostacolare la maturazione della personalità del bambino, bisogna consentirgli di esprimersi in libertà e manifestarsi all’insegnante così com’è, affinché egli possa, conoscendolo, guidarlo a realizzare il suo progetto di vita. E’ una pedagogia vitalista, nel quadro di ‘un’ottimistica fiducia nella vita’ (C. Freinet, ‘Le invarianti’)
Il bambino arriva a scuola con un suo bagaglio di esperienze, con un suo patrimonio di conoscenze e con una sua personalità. Il maestro non deve distribuire un cibo per il quale l’alunno non ha appetito e che digerirà molto difficilmente (‘non si deve far bere il cavallo che non ha sete…cambiate l’acqua’) , ma deve far leva sulle conoscenze presenti in nuce nei suoi alunni e organizzare il contesto così che esse emergano, vengano poste a confronto, si incontrino con buone proposte stimolanti. Rodari proponeva una pedagogia dello stimolo in luogo di un insegnamento basato su modelli.

Il primo passo è quello di creare le condizioni psicologico-​ambientali per  motivare a partecipare attivamente. Nel MCE si coglie tale suggerimento attraverso la pratica della pedagogia dell’ascolto.
Bisogna lasciar parlare i bambini liberamente, ascoltando attentamente quel che hanno da dire, e cercare di cogliere il motivo intorno al quale si polarizza l’interesse della maggior parte di essi.
La valorizzazione degli interessi reali del bambino, la soddisfazione dei suoi bisogni di creazione, di espressione e di attività costituiscono l’impianto  della pedagogia freinetiana. L’espressione, spiega Freinet, presenta due dimensioni: una di esternazione di vissuti, l’altra di comprensione del mondo circostante. Nel corso della sua vita e, in particolare, durante l’infanzia, l’individuo riceve una quantità di aggressioni dal mondo esterno e ciò turba il suo mondo interiore. Ciascun bambino, pertanto, tende spontaneamente ad esprimersi poiché ha bisogno di ripercuotere all’esterno di sé quel che si porta dentro, quel che lo angoscia.

La seconda dimensione dell’espressione si esercita molto presto nella vita. La funzione della comprensione si manifesta, a livello dei bambini, in una costante formulazione di ipotesi scientifiche, linguistiche, matematiche, filosofiche, come hanno dimostrato i lavori dei gruppi MCE infanzia e educazione e psicanalisi.  La rivoluzione freinetiana consiste proprio nel fare di queste ipotesi ‘fantastiche’ l’origine  del sapere dell’individuo, così da  mettere il bambino, la sua cultura,  al centro dell’azione educativa.

Un’altra dominante della pedagogia freinetiana è la comunicazione che moltiplica i vantaggi dell’espressione. Comunicare con l’altro obbliga a organizzare il proprio pensiero in modo che l’altro lo possa comprendere. Permette, inoltre, di conoscere l’altro, di accordagli il diritto di esistere nella diversità, aumentando così la possibilità di una comprensione reciproca.

Il desiderio di raccontare e di raccontarsi si realizza attraverso il testo libero, espressione profonda e spontanea del bambino. Tale tecnica libera il pensiero del bambino, facilita la sua creatività, produce una varietà di testi, diari, poesie, articoli, narrazioni.
Nel testo libero il bambino si esprime; e per esprimersi utilizza la memoria e l’immaginazione. Tale strumento  utilizza le esperienze passate integrandole  nel presente e stimolando la capacità di ipotizzarne delle nuove, cioè  la capacità di progettazione del futuro, oggi quanto mai necessaria alla luce delle nuove emergenze. Il testo libero nasce da  un interesse vivo, sostituisce il tema tradizionale in cui l’alunno è costretto a svolgere un enunciato scelto dall’insegnante (Rodari ipostatizzerà tale pratica nella sua filastrocca ‘Tema; la mia mucca’).
Tuttavia, il bambino scrive spontaneamente solo se ha qualcosa da dire. Il testo libero deve essere, pertanto, veramente libero: il bambino scriverà soltanto quando avvertirà il bisogno di esprimersi. Paul Le Bohec, maestro collaboratore e prosecutore del lavoro di Freinet, attivo diffusore del metodo naturale di apprendimento, scriverà al riguardo il suo ‘Le texte libre… libre’).

Freinet avverte di non confondere il testo libero con la composizione a soggetto libero; quest’ultima si ha, infatti, quando l’insegnante impone ai suoi alunni di scrivere in classe qualcosa a piacere, in un determinato momento prefissato. Il testo libero deve rispecchiare il mondo e la personalità del bambino, non può essere legato a nessuno svolgimento programmatico: deve riflettersi in esso la vita reale del ragazzo con la sua varietà di stimoli e di interessi.
Le Bohec racconta uno dei primi testi emersi nella sua classe e che il maestro trascrive su un cartellone perché tutti possano ritrovarlo, confrontare con le proprie esperienze.
Una bambina racconta che giocando con la sua bambola, mentre le cambiava il golfino, le è rimasta in mano la testa. E che alla sera, mentre la mamma, per spogliarla e metterla a letto, le stava togliendo il maglione, lei l’ha fermata dicendo: -No, mamma, faccio da sola.-
Mentre nella scuola tradizionale la composizione é destinata solo alla correzione del maestro e, rimanendo un lavoro strettamente scolastico, non può diventare un mezzo di comunicazione, nelle classi Freinet si trascrivono in una prima fase e poi si stampano i testi liberi prodotti  dai ragazzi  realizzando così il giornalino scolastico, valorizzando i testi letti e stampati e facendoli apprezzare dai compagni, dai genitori, dai corrispondenti. La composizione diviene, così, un mezzo di autentica espressione del pensiero di ciascun allievo;  chi scrive lo fa per essere letto ed avere risposte, così come chi parla lo fa per essere ascoltato ed avere riscontri.

Il testo libero rappresenta  un momento espressivo individuale, ma la sua destinazione è sociale: il bambino parla o scrive per comunicare ad altri il suo pensiero. Il momento individuale dà avvio a una socializzazione e a un pensiero riflessivo (diceva Le Bohec che solo scrivendo ci si apre al pensiero). Il bambino si apre a una nuova dimensione, quella dell’organizzazione del pensiero nello schema logico del discorso, dell’espressione, ossia la dimensione sociale.
Ciascun bambino scrive per far giungere il proprio pensiero a qualcun altro; si impegna per gli altri (lettori) e assieme agli altri (compagni). È il giornale scolastico, accanto al libro di vita della classe, che motiva la composizione libera e che la rende uno strumento di stimolo alla scrittura.
‘I bambini hanno bisogno del vostro sguardo, della vostra voce, del vostro pensiero. Essi hanno bisogno di parlare a qualcuno che li ascolti, di scrivere a qualcuno che li legga e li capisca, di produrre qualcosa di utile e di bello che è l’espressione di tutto quello che di generoso e di superiore portano in se stessi.’ (C. Freinet, ‘I detti di Matteo’)
Per trovare il proprio equilibrio l’individuo sente il necessario bisogno di “ripercuotere” all’esterno ciò che lo ha colpito interiormente. Lo si può fare con la parola e con la scrittura, ma anche con il disegno, il canto, l’espressione corporea, la musica, il teatro. Svolgendo tali attività il bambino acquisisce fiducia in sé e migliora le proprie capacità intellettuali e morali. ‘La scuola riparatrice dei destini’ è il testo in cui Le Bohec rilegge le proprie pratiche liberatorie e che in Italia è stato tradotto con il titolo ‘Quando la scuola ti salva’ (ed. Junior).
Elise Freinet si è dedicata in particolare all’’art enfantin’ esplorando una pluralità di tecniche e pubblicando in varie riviste le produzioni delle classi.
Il disegno, una delle manifestazioni dello slancio vitale presente in ciascuno, è una delle migliori risorse di cui il bambino dispone per esprimersi. Il disegno, però, deve nascere spontaneamente. Ciascun allievo disegna soltanto quando lo desidera. Non è necessario che il bambino sappia disegnare bene. Così come non conta saper scrivere bene, ma saper scrivere di cose vere, profonde, che toccano il cuore, che frenano l’impulso alla reazione immediata per una elaborazione differita, più pacata.  L’obiettivo finale non deve essere l’immagine corretta, ma la concretizzazione chiara e coerente di un’idea infantile.

Molti ritengono che il bambino non può disegnare, realizzare un’opera personale solo nel momento in cui conoscerà le regole della rappresentazione e della prospettiva. E lui si convince a tal punto del fatto che non è in grado di produrre niente di valido da inibire  il suo gusto naturale per il disegno. Esiste, certo, un metodo di insegnamento tradizionale, basato su alcune regole che ogni disegnatore dovrebbe conoscere. Effettivamente, quando gli alunni hanno appreso tali regole, sono in grado di rappresentare gli oggetti conformemente alle leggi loro insegnate, ma i disegni sono privi di senso e di personalità; non sono l’ espressione intima della vita.
Attraverso la creazione libera, invece, il bambino si dirige verso una comprensione personale e profonda della natura, a cui non potrebbe pervenire  se la natura gli viene presentata come un modello da copiare.
Lasciamo disegnare il bambino; lasciamo che commenti i suoi disegni, lasciamo che parli. Del resto, «se non ascoltassimo il bambino, cosa sapremmo di lui? » (Elise Freinet).

Le Bohec ha centrato il suo insegnamento sulle ‘creazioni’ che descrive per quanto riguarda l’espressione grafica ne ‘I disegni di Patrick’, ma anche nell’ambito delle creazioni matematiche (cfr. ‘Il metodo naturale di matematica’ nella collana on line RicercAzione MCE) , linguistiche, musicali, plastiche, coreografiche….
A volte una conoscenza o un’introduzione superficiale della libera espressione ha fatto sì che la pedagogia Freinet e del MCE venisse additata come spontaneista, poco scientifica, in qualche modo retaggio di una visione ‘romantica’ del bambino.
In realtà, è frutto di decenni di studi, approfondimenti, esperienze che nulla hanno di spontaneistico e che lasciano negli alunni tracce profonde che li accompagneranno nella vita.
(parte delle considerazioni sul testo libero sono  ricavate dall’articolo di Gemma Errico in ‘Dialegesthai’ che si ringrazia)