Comunità educante o Sistema nazionale di istruzione?

   Invia l'articolo in formato PDF   
image_pdfimage_print

di Giovanni Fioravanti

La consideravo archiviata, appartenere ad altri tempi, una sorta di attrezzo arrugginito del secolo scorso, riposto in soffitta tra la polvere delle cose da abbandonare all’usura del tempo. Poi l’espressione in questi lunghi mesi stravolti dalla pandemia ha iniziato a salire di tono, a ridondare nel lessico ministeriale e in quello scolastico: la “comunità educante”.

Incuriosito sono tornato a leggere la lettera che il 27 marzo 2020 la ministra Azzolina ha indirizzato alla comunità scolastica nella quale l’espressione “comunità educante” ricorre ben due volte. Non c‘è documento ministeriale dall’inizio della pandemia in cui compaiano espressioni come società della conoscenza, apprendimento permanente, come se le nostre istituzioni scolastiche fossero calate in un altro mondo, quello ancora del secolo scorso insieme alla loro scarsa familiarità con le nuove tecnologie.

Nel lessico che i nostri padri costituenti hanno utilizzato a proposito della scuola termini come educare, educazione, educante non compaiono mai. Agli articoli 33 e 34 della nostra Costituzione istruzione è l’unica parola usata: “istruzione” e non “educazione”, e se si riflette sulla composizione dell’assemblea costituente, sulle sue differenti fonti di ispirazione, non si può che convenire che si sia trattato di una scelta soppesata e voluta. Anzi, a proposito di Enti e privati si provvede a sottolineare la distinzione tra “scuole” ed “istituti di educazione “. Precipuo delle scuole statali è l’istruzione, mentre il compito di “educare” attiene ai genitori come recita l’articolo 30: “E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.”

Istruzione, dunque, e il Ministero è della Pubblica Istruzione, anche se ora gravemente privo di “pubblica”, non c’è un “Ministero dell’ educazione” e, quindi, neppure alcuna “comunità educante” di Stato. Per chi ha perduto la memoria e ancora rincorre le comunità educanti sarà utile ricordare che il Ministero dell’ Educazione Nazionale è opera del regime fascista ed è stato soppresso nel 1944.
L’ identificazione della scuola con l’educazione è una forzatura della tradizione personalistica che ha contrassegnato nel dopoguerra la cultura dei nostri governanti e che si è espressa nella “formazione della persona e del cittadino” come finalità di volta in volta prescritta dai programmi scolastici dei vari ordini e gradi. Ma si tratta di sovrapposizioni che risentono degli anni e dei vari governi che si sono succeduti nel tempo.

La scuola in quanto comunità educante fa la sua apparizione come assoluta novità, tra la distrazione generale, con il primo CCNL del Comparto Istruzione e Ricerca relativo al triennio 2016-2018.
L’articolo 24, richiamando l’articolo 3 del Testo Unico in materia di istruzione (Decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297), detta: “[…] la scuola è una comunità educante […] volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni.”

La curiosità consiste nel fatto che nel citato articolo 3 del Testo Unico il legislatore usa l’espressione “comunità scolastica” “che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica”. Ora come sia possibile il passaggio da “comunità scolastica” a “comunità educante” è spiegabile solo attraverso un pregiudizio culturale di chi ha steso le norme del contratto in questione.

E poi chi sarebbe il depositario della funzione educativa nella comunità educante costituita dalla comunità scolastica?
Gli attori citati dall’articolo 24 del CCNL? È scritto: “Appartengono alla comunità educante il dirigente scolastico, il personale docente ed educativo, il DSGA e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, nonché le famiglie, gli alunni e gli studenti che partecipano alla comunità nell’ambito degli organi collegiali previsti dal d.lgs. n. 297/1994.”
Dei soggetti citati, la nostra Costituzione attribuisce alla sola famiglia il compito dell’educazione e, dunque, quali sarebbero i protagonisti della comunità educante legittimati ad educare?

Il contratto in questione all’articolo 25, relativo all’Area docenti, distingue il personale docente da quello educativo essendo, quest’ultimo, il personale dei convitti e degli educandati femminili. Tutti gli altri sono docenti dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di 2° grado.
Dal Testo Unico in materia di istruzione ai contratti collettivi nazionali del lavoro succedutisi dal 1994 al 2009 non c’è norma relativa alla funzione docente che contempli l’educazione tra le competenze degli insegnanti.

L’artico 396 del testo unico citato detta: “La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”.
Successivamente il dettato del legislatore relativo alla funzione docente è stato aggiornato in rapporto alle conoscenze acquisite nell’ambito delle ricerche in campo psico-pedagogico, così già nel CCNL del quadriennio 1994 – 1997  “l’attività di trasmissione della cultura” come esplicazione essenziale della funzione docente viene sostituita dalla realizzazione del “…processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni, sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione dalle leggi dello Stato e dagli altri atti di normazione primaria e secondaria”.

Dunque non “educazione” e neppure “trasmissione della cultura”, ma “processo di insegnamento/apprendimento”, qualcosa di dinamico e articolato, monitorato nei suoi input e nei suoi output. Processo che definisce “i vari ordini gradi e dell’istruzione”.
La funzione docente nella sua traduzione normativa resta sostanzialmente inalterata fino al contratto del quadriennio 2006 -2009, accanto ad essa si evolve il profilo professionale del docente nel quale mai compaiono riferimenti a compiti e finalità educative.

Il profilo professionale fa del docente un professionista della cultura in considerazione delle competenze che gli sono richieste da quelle disciplinari a quelle pedagogiche, metodologiche – didattiche, organizzative, relazionali e di ricerca “tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano ed approfondiscono attraverso il maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio, di ricerca e di sistematizzazione della pratica didattica”.

Con il contratto di Comparto del 2018 il profilo docente si arricchisce di due competenze, fino ad allora assenti: informatiche e linguistiche. Competenze informatiche che l’inaspettato ricorso alla didattica digitale a distanza ha messo a dura prova, rivelandone nella maggioranza dei casi la totale fragilità.
È sorprendente come con questo contratto del Comparto Istruzione e Ricerca scompaia la funzione docente intesa come processo di insegnamento/apprendimento per cedere il posto all’azione “della comunità educante al centro della quale si colloca la progettazione educativa e didattica definita dal piano triennale dell’offerta formativa”.
La funzione docente si realizza come “prestazione professionale […] nel quadro degli obiettivi generali perseguiti dal sistema nazionale di istruzione”.
Come si concilia, dunque con la “comunità educante”? Comunità educante o Sistema nazionale di istruzione?

Al momento nessuna legge nazionale ha sancito la mutazione del sistema scolastico in comunità educante, a meno che non si sia deciso di affidare la riforma mai riuscita della scuola alla contrattazione tra le parti del Comparto Istruzione e Ricerca.
L’ultimo tentativo di riforma omnibus è stato compiuto con la legge 107 del 2015 che prometteva la Buona Scuola. In quella legge di comunità educante neppure l’ ombra, anzi l’articolo 1 e unico, con i suoi 212 commi, esordisce con la volontà del legislatore di “affermare il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza”. La scuola è intesa come “comunità attiva, aperta al territorio”, come “comunità professionale scolastica”.

Ora sarebbe giunto il tempo di rivolgere seriamente, senza slogan e giochi di parole, l’attenzione al Sistema Nazionale dell’Istruzione, alla preparazione professionale dei suoi professionisti per portarli all’altezza della qualità dell’Istruzione che è dovuta ai nostri giovani per crescere e realizzarsi nella società della conoscenza, nella società del capitale umano, nella società dell’apprendimento permanente del nuovo millennio ormai avanzato.