Il tempo della scuola, il tempo della disabilità

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di Raffaele Iosa

Mi sento obbligato a riprendere l’analisi delle querelle nate dalla recente sentenza del TAR Lazio del 13 settembre che annulla il DM 182, detto del Nuovo Pei.

In un recente articolo del 15 settembre (Azzeccagarbugli e nuovo PEI) ho già dato una valutazione complessiva delle Sentenza, del Decreto annullato e gli effetti nel presente e nel prossimo futuro.

Ho lì scritto sulla dura lezione prodotta dalla Sentenza sul modo di produrre normazione secondaria da parte del Ministero, su un Decreto troppo militarizzato e bulimico di ordini, sulla “crisi” dell’ICF che come un’araba fenice c’è e non c’è. Sento tensione, e accese incomprensioni se non litigi tra  diversi esperte di inclusione, che determinano sconcerto negli insegnanti e nelle famiglie.  C’è confusione, che non fa bene al futuro del tema PEI e dintorni, né ad una  serena e più sobria ricomposizione della questione, con il rischio che il tutto slitti alle calende greche.

C’è però una ragione per cui mi sento in dovere di riprendere il discorso e riguarda  la CM n. 2044 del 17.09.2021 a firma del dg. Ponticello che invia  prime indicazioni  di comportamento alle scuole per via degli effetti della sentenza del TAR Lazio.
Una circolare necessaria, ovviamente, ma che a mio avviso contiene un travisamento della Sentenza e un irrigidimento non richiesto sul tema (delicatissimo) del tempo di frequenza da scuola degli alunni con disabilità.

La frase che mi pare discutibile è la seguente:

Non può essere previsto un orario ridotto di frequenza alle lezioni dovuto a terapie e/o prestazioni di natura sanitaria – con conseguente contrasto con le disposizioni di carattere generale sull’obbligo di frequenza – in assenza di possibilità di recuperare le ore perdute”.

Temo che anche in questo caso, per contrasto degli opposti col prima,  il Ministero esageri.

  1. Il tempo della disabilità

Prima di precisare  cosa a mio avviso la Sentenza del Tar Lazio dica su questo tema, è utile un approfondimento pedagogico, altrimenti non comprendiamo la complessità di questo argomento.

  • Il tempo per una persona con disabilità è questione importante, delicata e complessa.

Si pensi alle attese per i dolorosi e lunghi tempi di attesa per visite, terapie; o il tanto tempo a cercare, da parte delle famiglie, aiuto, comprensione, proposte, attenzione.
Si pensi all’angoscia di sapere che se non si fa bene tutto quando i figli con disabilità sono piccoli  (educazione, terapie, riabilitazione, ecc..) si rischia che la vita adulta (quella sì oscura e lunga)  sia più drammatica. Si pensi alle tante notti in bianco sul destino del loro figlio.

1.2 Non esiste un tempo uguale per tutti i disabili perché nessun disabile è uguale all’altro. La disabilità è parola astratta, esistono persone, ognuna nella propria condizione, diversa anche se afflitta da un medesimo stigma diagnostico. Esistono diverse fasi della vita, diverse opportunità secondo tante variabili, dal reddito familiare, la zona di residenza, e così via.

1.3 Il rapporto tra tempo della scuola e di vita di una persona con disabilità è per natura variabile secondo la condizione hic et nunc di ognuno.  Intanto: i bambini e ragazzi con disabilità che incrociano insieme scuola e terapie non sono tanti come si crede,  in prevalenza negli anni della scuola dell’infanzia (lì il tempo è volatile per tutti, tra malattie frequenti e regressioni di attaccamento) e nel primo ciclo. Riguardano condizioni esistenziali, fisiologiche, neurologiche, di coscienza e di comportamento in genere  gravi se non gravissimi. cioè proprio i  casi in cui  il tempo è determinante, drammatico e pieno di attese. Per ognuno esistono percorsi clinici ed educativi individualizzati, non a caso anche a scuola c’è la necessità di un PEI!

La variabilità scuola/terapia è immensa, nella mia lunga esperienza ne ho viste di tutte i tipi.

C’è il bambino gravissimo che, in carrozzina e in condizione di semiveglia riesce a stare a scuola due ore al giorno, ma la scuola e la famiglia sono felici di offrire spicchi di umanità e  comunità. Cosa volete che importi a babbo e mamma se si farà “matematica” o che voto prenderà? Volete che si preoccupino del tormentone giuridico del cd. “esonero”? Ma via.
C’è il bambino che fa terapia al mattino perché ci sono pochi terapeuti (si sa, no?). E il problema dov’è: nell’eterea e agnostica “norma” della frequenza o non invece di come si correla  il tratto “educativo” e quello “terapeutico”, cioè se i due si parlano, agiscono o no in parallelo, se l’uno supporta l’altro e viceversa? E’ questione “formale” del tempo scuola o non invece questione sostanziale della governance professionale che ci chiede la Legge 328/2000, troppo scordata, e se il PEI e il Progetto di vita sono due facce della stessa medaglia e non invece –come spessissimo accade- due atti che non si incontrano?

E’ nella governance locale che si deve trovare quell’accomodamento ragionevole che ci chiede la dichiarazione ONU del 2006. Cioè fare in modo che i diversi tempi si armonizzino e rispettino i tempi della persona con disabilità, non  quelli dei diversi professionisti, per evitare il più possibile che il bambino perda scuola e il più possibile faccia terapia in tempi necessari.
Ed è proprio questo, come si vedrà avanti, che per la verità suggerisce la Sentenza del Tar!

Ci sono infine quelli che io chiamo (con estrema empatia) i “bambini cattivi”,  con stigmi clinici a sigle forti tipo ADHD o DOP, ecc.. Bambini che creano trambusto, con le famiglie (degli altri) che ne chiedono o sospensione o  trasferimento, e che a volte (per sfinimento) si tengono a casa alcuni giorni per “decongestionare” la crisi  che non è mai di uno ma di tutti.

Insomma il tempo della scuola e il tempo della disabilità sono in natura  un’armonia complessa, a volte drammatica,  e non riesce a stare dentro alcun comma algido valido per tutti.
Dunque, come si fa a trattare un tema così’ delicato con soluzioni radicali e formalistiche?
Posso capire la querelle sulle ore di sostegno date alla scuola se non siano troppe rispetto al tempo reale di frequenza, ma in questo caso sta alla scuola non imbrogliare la richiesta. Come se poi questo tema fosse così vasto e così accanitamente da misurare!

  1. Cosa dice al proposito la Sentenza del Tar

Veniamo ora ad una riflessione attenta alla Sentenza. Ho già detto che a mio avviso la CM Ponticello ha travisato su questo punto.
Ho letto attentamente la Sentenza, ma anche il ricorso del ricorrenti e mi pare di poter dire serenamente quanto segue.
La Sentenza del TAR, tra le varie previsioni presenti nel Decreto annullato in quanto “esorbitanti dalla delega ricevuta” e addirittura “in contrasto con le norme internazionali in materia di tutela della disabilità” , cita la “facoltà di predisposizione di un orario ridotto di frequenza alle lezioni”.
Nel citare questa previsione, al punto 7.2. del documento, utilizza un’espressione che vuol porsi evidentemente quale sintesi del contenuto del ricorso avanzato. Infatti le parole esatte utilizzate per introdurre la questione sono: “Per quanto riguarda gli innovativi istituti contemplati dal decreto impugnato… devono trovare accoglimento le doglianze contenute nella sesta, nella settima e nell’ottava censura del gravame, con particolare riferimento alle previsioni contenute nel decreto impugnato, e nei suoi allegati, relative a:”.
Poi prosegue infatti, sempre allo stesso punto 7.2, elencando le varie questioni, e sintetizzando l’essenza dell’esposto che il Tribunale ha ricevuto registrando le parole dei ricorrenti, tra cui esattamente quelle inerenti la frequenza scolastica.
L’espressione positiva giurisprudenziale è però contenuta nel successivo punto 7.2.1, dove la Corte invita a “garantire la piena inclusione degli studenti disabili, cui la personalizzazione delle misure di sostegno rappresenta lo strumento cardine” nel rispetto delle “norme internazionali di rango pattizio, quali la Convenzione O.N.U. per i diritti delle persone disabili, ratificata dal nostro Paese con la legge n. 18/2009”, che impongono “l’adozione degli adattamenti necessari per assicurare alle persone affette da disabilità il godimento e l’esercizio, in condizione di uguaglianza con gli altri consociati, dei diritti umani e delle libertà fondamentali, in ossequio al principio dell’accomodamento ragionevole”.

In base a tale principio, il TAR esorta al rispetto della ratio in essa contenuto ovvero “che debba essere il contesto, inteso come ambiente, procedure, strumenti educativi ed ausili, a doversi adattare agli specifici bisogni delle persone disabili, e non viceversa.”.
Questa parte della Sentenza è sorprendentemente chiara e di grande spessore propositivo. In sostanza chiede “accomodamenti ragionevoli” non di autorizzare qualsiasi uscita da scuola,  nè  la naja obbligatoria di tutte le ore obbligate a scuola, né chissà quali recuperi di ore.
Ma c’è di più, anche in senso lato erga omnes. Le assenze per terapie e/o prestazioni di natura sanitaria sono sempre ammesse e valgono per tutti gli alunni della scuola italiana; tali regole, sulla base di quanto stabilito dai Collegi docenti, incaricati di “definire i criteri generali e le fattispecie che legittimano la deroga al limite minimo di presenza”, a fronte di “casi eccezionali, certi e documentati” (fra questi sono annoverati: “gravi motivi di salute adeguatamente documentati o terapie e/o cure programmate” (CM 20/2011), non sono quantificate neppure per il raggiungimento del tetto minimo di frequenza finalizzato a rendere valido l’anno scolastico. Tetto che, peraltro, non è previsto nella scuola dell’infanzia e neppure nella scuola primaria.

Anche la questione relativa alla “possibilità di recuperare le ore perdute” è legata a un’espressione ripresa, dal TAR, dall’esposto dei ricorrenti, ma è risolta, nella stessa sentenza, con l’esortazione ad applicare il principio dell’accomodamento ragionevole e non con una ragionieristica e solo quantitativa contabilità. Ove vi siano molte assenze, l’unico discrimine presente in normativa è quello che prevede che il consiglio di classe possa disporre di sufficienti elementi di valutazione ai fini di decidere l’ammissione all’anno scolastico successivo. Altro non c’è.

Davvero non si arriva a capire perché seminare preoccupazioni tra i genitori degli alunni con disabilità quando le assenze per terapie e prestazioni sanitarie sono di fatto consentite e, ove ciò sia necessario, non saranno conteggiate ai fini della validità dell’anno scolastico, coerentemente con quanto stabilito dalla  normativa vigente in materia (DPR 122/2009, Nota Prot. n. 7736, 27 ottobre 2010, CM 20/2011).

Altra questione, invece, è sostenere, com’è giusto, che si dovrebbe evitare, ogni volta che ciò è possibile, di collocare le terapie in orario scolastico. Inoltre deve essere chiaro che quello che il TAR ha bocciato non è la possibilità di assentarsi giustificatamente per i motivi anzidetti ma le “decisioni arbitrarie” di ridurre l’orario scolastico sulla base di motivazioni che possono spaziare dalla necessità di terapie fino alla non programmabile presenza del docente specializzato o altre ancora non indicate e “non indicabili” E aggiungerei a volte indicibili…, comunque connesse alla condizione dell’alunno con disabilità e, quindi, discriminanti. Non è quindi stata proibita neppure la progettazione, da sempre utilizzata nelle migliori pratiche, di percorsi graduali per gestire in flessibilità le particolari situazioni che si devono affrontare, anche dal punto di vista dei tempi, per realizzare il diritto, senza operare però “lesioni a monte” dello stesso. Si deve trattare appunto di progettazione e non di predeterminazione!

Questo è il mio punto di vista, detto serenamente e con onestà intellettuale.