L’insegnante, il sapere, l’alunno

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di Raimondo Giunta

A scuola, spesso e con diverse motivazioni, l’attenzione prevalente degli insegnanti è dedicata alle proprie discipline, che di fatto finiscono per dirigere il loro comportamento e per provocare, anche per sollecitazione esterna, l’assillo di non potere portare a compimento quanto stabilito all’inizio dell’anno scolastico.
Le prescrizioni curriculari in molti casi assorbono e condizionano la didattica e le modalità delle relazioni educative. Non sono pochi gli insegnanti che ne soffrono. Vorrebbero una scuola più vicina alla sensibilità e ai problemi degli alunni. Vorrebbero una scuola aperta al mondo e invece devono sbrigarsela con una miriade di carte, che irrigidiscono la libertà di movimento di cui si nutre la buona qualità dell’insegnamento.

La scuola non riesce a trovare le parole giuste per indicare le cose, gli esseri e le relazioni che popolano lo spazio di un istituto. Ha smesso di usare quelle di una volta, ma quelle nuove nascondono la complessità della vita dei processi educativi. Avendo dichiarato la guerra a tutto il lessico etico-affettivo della dedizione, della passione, della funzione sociale del lavoro del docente per costruire l’immagine di un professionismo a 24 carati (nelle regole, nelle procedure, nel rapporto di lavoro, nel linguaggio) non si è compreso che è diventato inafferrabile il mondo su cui si lavora e per cui si lavora.

Anche se la disciplina scolastica, il sapere sono l’unica ragione che spieghi e che fondi il rapporto docente/alunno, una volta che questo viene stabilito, lo scopo di tutto non può non essere che quell’alunno, che si ha davanti con tutti i suoi tratti umani e sociali  .Il sapere  non è la divinità alla quale bisogna sacrificare in qualsiasi modo la natura indocile di qualche alunno.
A scuola gli insegnanti non sono solo gli officianti del rito quotidiano delle lezioni, ma anche le guide dei propri alunni nel loro percorso di crescita umana e professionale.

 

Non c’ è buona didattica, non c’è buona scuola, non c’è formazione, se non c’è rispetto per l’alunno, se non si ha fiducia nell’alunno, se manca affettività nel rapporto educativo.
Cose che si devono poter sentire e che se non ci sono, possono rendere sterile tutto il lavoro che si svolge a scuola. Nel rapporto educativo non può esserci prima il professionismo e poi l’affettività, nè rendere questa strumentale all’altro.
Il professionismo da solo non funziona: è fondamentale e preliminare l’accettazione del giovane da formare e da educare. Il vuoto dell’azione formativa dei sistemi fondati sul professionismo è evidente. Il professionismo, le teorie organizzativistiche sono stati i presupposti teorici per giustificare i sistemi razionali e burocratici di reclutamento dei docenti e la loro sopravvivenza in ambiente educativo. Le appendici metodologiche, comunicazionali, sociologiche del corredo professionale, approssimativamente collegate al sapere disciplinare di un docente spesso non riescono a modificare le situazioni di stagnazione delle relazioni educative.

E’ un mestiere quello di insegnante che si può e si deve  costruire, ma che si può efficacemente esercitare solo se è vissuto come parte centrale e significativa delle propri interessi umani. Il ciclo del professionismo della funzione docente non è finito, ma fa fatica a dare risposte positive alle difficoltà attuali .

Ha accompagnato il docente nel passaggio dalla scuola d’élite a quella di massa.
E’ sembrato essere la sua emancipazione dalla cultura della vocazione, della missione, da quell’aura di sacerdozio laico che circondava la funzione docente.

La difficoltà, però, rimane sempre la stessa: riassumere in termini professionali la ricca e complessa rete di rapporti umani che scaturiscono dentro l’aula scolastica.
La contrattualizzazione di tutti i tipi di relazioni dentro la scuola è andata oltre la legittima esigenza di giustificazione di ogni scelta e di ogni fatto che si registra nella sua vita quotidiana. Ha irrigidito e impoverito la vita scolastica. Per rimediare qualcosa bisognerebbe riscoprire gli aspetti artigianali, sapienziali, genitoriali della funzione docente e accompagnarli con gli strumenti delle scienze umane (psicologia, sociologia, comunicazione etc.) Il mondo dei fini, in una parola, non è un imbarazzante e inutile peso sul lavoro dentro la scuola.
E’ la premessa da cui iniziare e il termine verso cui arrivare.