Quando la tipografia era una tecnologia avanzata. Célestin Freinet e le scuole in rete.

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di Giovanni Fioravanti

Ho voluto dare questo titolo per indicare la grande modernità del pensiero di Freinet. La riflessione pedagogica di Célestin Freinet si sviluppa tra le due guerre. Sono gli anni delle tre grandi crisi: quella della prima guerra mondiale, la crisi economica e sociale del 1929 e la seconda guerra mondiale.

Sono anche gli anni del grande fermento pedagogico che ha caratterizzato la prima metà del secolo scorso, un fermento pedagogico che non si ripeterà più, e da cui l’Italia è tagliata fuori per via del fascismo, un ritardo che pagheremo a lungo e che ancora paghiamo.

Un fermento pedagogico che nasce dalla convinzione che l’educazione è alla base della formazione di cittadini attivi, responsabili e consapevoli.

A partire da John Dewey e il suo Credo Pedagogico, da Scuola e Società, Democrazia e educazione fino a Come pensiamo, un’opera su cui Freinet rifletterà a lungo per scrivere i suoi “Essai de psychologie sensible appliquée à l’éducation

Mentre John Dewey ha la sua originalità in quanto si colloca nel contesto statunitense, diverso da quello europeo, un contesto culturale dominato dal pragmatismo, dal funzionalismo e dal comportamentismo, in Europa domina l’idealismo, la crisi profonda del positivismo, l’influenza del marxismo, la diffusione delle scoperte della psicanalisi, la fenomenologia di Husserl, l’elan vital di Bergson nonché, in Francia, lo sviluppo di una scuola etnologica e antropologica critica (Lévy-Bruhl e Marcel Mauss).

Sono gli anni dell’École nouvelle, della scuola di Ginevra, degli svizzeri Adolphe Ferrière e Edouard Claparède, Robert Dottrens, il belga Ovide Decroly, l’italiana Maria Montessori, il francese Roger Cousinet. A cui Freinet partecipa intensamente, ma da cui prende le distanze. Perché da una parte abbiamo la scuola del metodo, dall’altra la scuola delle tecniche. Per Freinet la scuola del metodo è una scuola borghese, con materiale costoso, non adatto alle scuole povere di campagna.

 La formazione di Freinet

L’esperienza della vita militare e della guerra segna profondamente Célestin Freinet.
L’esperienza della guerra è uno degli elementi che conducono Freinet a ricercare una alternativa alla società e alla scuola tradizionale.
Nel 1920 si lega in amicizia con lo scrittore francese pacifista, giornalista, attivista politico, comunista Henri Barbusse. Barbusse costituisce il nodo qualificante della cultura francese degli anni venti, più di Marcel Proust, di André Gide e di André Malraux.
Freinet collabora alla rivista Clarté della III internazionale di sinistra, a cui collabora anche Anatole France.
Nel 1920 è incoraggiato da Romain Rolland, grande figura nazionale, partigiano della non violenza. Scrittore e drammaturgo francese, dedica la sua opera e la sua vita alla diffusione di un credo umanitario di pace e di fraternità.

Freinet inizia la sua attività di maestro, di “instituteur primaire” il 1° gennaio 1920 a Bar sur Loup, in Provenza, ha ventiquattro anni, nato in una famiglia contadina, quinto di otto figli. È reduce dalla Grande Guerra.
La scuola è quella delle leggi di Jule Ferry, 1882, ministro della pubblica istruzione nella Terza Repubblica. L’insegnamento primario è pubblico e gratuito, l’istruzione primaria da 6 a 13 anni è obbligatoria, e impone un insegnamento laico. La legge prevede l’obbligo di istruzione, non l’obbligo scolastico, l’articolo 4 stabilisce che l’istruzione può essere impartita negli stabilimenti di istruzione, le scuole pubbliche o libere o dalle famiglie.

La scuola in quanto tale non è mai stata obbligatoria. Da qui si può presumere che solo i poveri andavano alla scuola pubblica i cui ingredienti sono: disciplina, ripetizione meccanica, copiatura, in particolare si leggono e si ripetono a memoria le gesta du roi Charle Magne, su un cartellone alle spalle della cattedra.
Nel 1916 è stato ferito gravemente a un polmone, ciò lo costringerà ad una lunga convalescenza e sconsiglierebbe chiunque di intraprendere la carriera di maestro nelle condizioni ambientali di quegli anni.

Ma quella di un Freinet maestro a Bar sur Loup, nelle Alpi Marittime, che pensa le tecniche didattiche, perché può parlare poco, per far fronte alla sua debolezza fisica è pura agiografia che Élise Freinet, la moglie, ci racconta in Nascita di una pedagogia popolare.
L’esperienza di Freinet si presta ad essere romanzata. Nel 1949 viene girato un film, che trovate su You Tube L’ École Buissonniere 

 L’École Emancipée

L’École Emancipée è la rivista del sindacalismo internazionalista, è la rivista bimestrale di sindacalisti e pedagogisti all’interno della Federazione sindacale unitaria. L’École émancipée è anticapitalista, femminista, antimilitarista. Vuole cambiare la scuola per renderla cooperativa, egalitaria, solidale. Tutti i bambini e adolescenti devono beneficiare della stessa educazione, nella stessa scuola. Una scuola laica che si oppone ad ogni influenza della religione sulla scuola e sugli allievi.
Nel 1920 Freinet vi pubblica un articolo, La Cultura del capitalismo, che è la traduzione dall’ esperanto di un articolo del tedesco Adolphe Röchl.

Si denuncia il carattere classista della cultura per il capitalismo, cultura che deve essere accumulata come il denaro, il cui possesso discrimina socialmente le persone.
È difesa l’idea di una pedagogia socialista. Fare solamente del socialismo senza modificare i modi di insegnamento, perpetua la pedagogia capitalista, che tratta il sapere come il denaro, invitando ciascuno ad accumularne la più grande quantità possibile.

Il 23 ottobre 1920 scrive: “Senza il cambiamento della scuola, ogni rivoluzione politica ed economica non sarà che effimera.”
Per sostenere l’orientamento di una simile rivoluzione pedagogica Freinet prende come riferimento il contenuto del Congresso degli insegnanti socialisti che fu tenuto a Gotha dal 2 al 4 ottobre 1920. Egli sostiene in particolare che l’insegnamento deve accordare il più grande spazio alla spontaneità degli allievi, solo così si formeranno dei cittadini adatti alla società che dovrà seguire alla rivoluzione.

In un articolo del 1921 Freinet precisa che la pedagogia socialista che egli vuole sviluppare non si propone di inquadrare gli alunni, né arruolarli, ma piuttosto è la proposta di pratiche democratiche che intendono formare dei cittadini.
Già nel 1921 l’essenziale dell’orientamento rivoluzionario di Freinet è disegnato. Nell’estate del 1922 visita le scuole primarie di Amburgo, note come scuole libertarie di Amburgo, sono quattro comunità scolastiche che dal 1919 al 1930 sperimentano una pedagogia antiautoritaria, create sotto la repubblica di Weimar.

È la pédagogie des « maîtres-camarades », il postulato è che bisogna “partire dal fanciullo”.

Rigettano l’idea che uno stato o una religione possano decidere quello che i fanciulli devono apprendere, rifiutano la stessa nozione di “finalità dell’educazione”. La scuola non è il mezzo per preparare alla vita, ma il luogo della vita stessa. La “gemeinschaftschule”. Una scuola solidarista, scuola comunitaria, scuola comunità, come la definì Adolphe Ferrière.

Negli stessi anni, nel 1921, prendeva l’avvio un’altra esperienza libertaria in Inghilterra la Summerhill School di Alexander Sutherland Neill.
Freinet non trova queste esperienze radicali convincenti sul piano pedagogico, troppo individualiste e troppo poco organizzate.

Nel settembre del 1925 va in URSS e conosce la moglie di Lenin, allora ministro dell’istruzione insieme ad Anton Makarenko, pedagogista e educatore ucraino.

Un’altra idea di scuola

Freinet propone un’altra idea di scuola, a partire dalla necessità di riorganizzare l’ambiente di apprendimento, diremmo oggi, per allora si trattava solo di riorganizzare l’aula, cosa per nulla facile. L’esperienza di Freinet, maestro alle prime armi, è raccontata dalla moglie Élise nelle pagine di Nascita di una pedagogia popolare:
L’aula scolastica ove Freinet entra per la prima volta è l’aula tradizionale delle scuole pubbliche: banchi disposti in file rigide, predella per il maestro, attaccapanni fissati al muro, lavagna a cavalletto…Le finestre che si aprono sulla rustica piazza del vecchio castello,..

Ne ritroviamo eco, a circa mezzo secolo di distanza, nella Lettera a Katia con cui Mario Lodi apre Il paese sbagliato:

Eccomi dunque in mezzo all’aula. Vi dovrebbero stare, oltre all’armadio, alla predella su cui troneggia la cattedra, alla lavagna girevole e alla stufa a gas, i tavolini individuali con i relativi seggiolini, un tavolo e un mobiletto guardaroba per i bambini.

 Freinet chiama la sua pratica pedagogica “moderne”, la sua scuola è “l’École moderne”.
Non le New schools, le Scuole nuove, la Nouvelle école, ma la scuola moderna.
Il termine moderno, modernità non è così antico all’epoca di Freinet. Modernità è termine coniato da Charles Baudelaire, per indicare la vita nelle metropoli. Deriva dal latino “modus”.

Le scuole possono essere nuove, ma continuare ad essere vecchie nella concezione della loro funzione. La scuola su misura, la scuola funzionale, la scuola attiva presentano metodi per coinvolgere l’alunno in una scuola che resta quella dell’adattamento, del conformismo, dell’insegnamento.
“Moderna” perché è nuovo il modo di vivere la scuola e il ruolo della scuola al servizio di uomini nuovi per una società nuova.

Nella propria classe Freinet pone l’accento sull’attrezzatura scolastica che resterà la cura di tutta la sua vita. (Si vedano L’Education du travail e Essai de psychologie sensible, scritti vent’anni più tardi).
Freinet espone in un articolo su L’imprimerie à l’école la messa a punto della sua tecnica e l’aspetto nuovo della lettura globale con il metodo naturale. Conia il termine “pedotecnica”.
Qui si pone la differenza tra METODO e TECNICHE, la pedagogia delle tecniche. Quando parliamo di metodo facciamo riferimento ai loro autori: Decroly, Montessori, il piano Dalton, il piano Winnetka. Per Freinet i metodi sono al servizio dell’insegnamento, le tecniche sono al servizio dell’apprendimento, del libero sviluppo del fanciullo.

Le tecniche Freinet sono: la tipografia, il testo libero, il disegno libero, il giornale, la corrispondenza interscolastica, la biblioteca di lavoro, il libro della vita, che gli scolari chiamano il libro delle viti perché tenuto insieme da bulloni. Lo schedario scolastico cooperativo, la grammatica e il calcolo vivente, lo schedario autocorrettivo per l’insegnamento dell’aritmetica, lo schedario autocorrettivo ortografico.

Non più manuali scolastici! Non più lezioni! È il processo di apprendimento che occupa il primo posto.
Freinet trova una argomentazione favorevole alla Repubblica dei fanciulli, alla cooperazione scolastica in L’autonomie des  écoliers, l’art de former des citoyens pour la nation e pour l’humanité che Adolphe Ferrière pubblica nel 1921.

Nel 1923 scrive su l’Ecole Emancipée «L’autonomie des  écoliers  è un libro necessario ai compagni che vogliono far evolvere le loro classi verso la democrazia, per lo sviluppo sociale e umano di tutti i fanciulli».
Per Freinet la relazione maestro allievo è aperta. Le regole comuni non sono il risultato di una azione unilaterale del maestro. È all’interno del consiglio degli allievi che sono prese la maggior parte delle decisioni che permettono la regolare vita della classe.
L’istituzione del consiglio si aggiunge e scandisce la vita della classe.
Non voglio con ciò dire che con la tecnica della tipografia io abbia raggiunto Decroly. È stato lui che, con un lungo giro, ha riportato la scienza pedagogica al suo punto di partenza: il buon senso e la vita.” (C. Freinet, p. 35)

L’istituzione della tipografia scolastica e del giornale portano gli alunni alla lettura critica dei testi, alla loro correzione da parte dell’alunno stesso come dei compagni. Un’abitudine alla riflessione, la nozione di tâtonnement, vale a dire procedere a tastoni, per tentativi.
La pratica collettiva della produzione del giornale di classe o di una enciclopedia scolastica conducono a mettere ogni allievo in un atteggiamento riflessivo. Nella pratica gli alunni sono portati a interrogarsi sul valore di quello che fanno.

Nella scuola di Freinet gli alunni si turnano nel lavoro che li interessa. Questa è una tesi centrale dei Detti di Matteo, che è l’opera teorica di Freinet e che è ben sintetizzata dalla storia del cavallo che non aveva sete.
«Un giovane cittadino voleva rendersi utile nella fattoria dove era ospite e decise di portare il cavallo all’abbeveratoio. Ma il cavallo si rifiutava e voleva condurre il cittadino verso il prato. “Ma da quando in qua i cavalli comandano? Tu verrai a bere, te lo dico io!” e lo tira per la briglia e lo spinge malamente. La bestia avanza verso l’abbeveratoio. “Forse ha paura -pensa il giovanotto- se l’accarezzassi…? Bevi! Prendi…”Nulla da fare e il giovane urla: “Tu bestiaccia berrai ” Il cavallo storce il muso e nitrisce, soffia, ma non beve. Arriva il contadino Matteo e gli dice: “Tu credi che un cavallo si tratti così. Ma lui è meno bestia di qualche uomo, lo sai? Tu puoi ucciderlo, ma lui non berrà. Tempo perduto, povero te!” “Come fare allora?” Si vede bene che non sei un contadino. Non hai capito che il cavallo non ha sete nelle ore mattutine e ha invece bisogno dell’erba medica. Lascialo mangiare a sazietà e dopo avrà sete. Allora lo vedrai galoppare verso l’abbeveratoio. Non aspetterà che tu gli dia il permesso. Non si può cambiare l’ordine delle cose: se si vuol far bere chi non ha sete si sbaglia. “Educatori, siete al bivio. Non ostinatevi nell’errore di una “pedagogia del cavallo che non ha sete”, ma orientatevi coraggiosamente e saggiamente verso “la pedagogia del cavallo che galoppa verso l’erba medica e l’abbeveratoio.  »

Storia che Danilo Dolci doveva conoscere bene quando scrisse Ciascuno cresce solo se sognato:C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.

Nel 1944 in L’Ecole Moderne Française Freinet scrive:
«Un fosso che ogni giorno si approfondisce sempre di più, separa la scuola pubblica tradizionale al servizio della democrazia capitalistica dell’inizio del secolo, dai bisogni impellenti di una classe che sente la necessità di formare le generazioni nuove all’immagine di una società di cui si intravedono e quindi iniziano le maestose edificazion

Nel 1926 fonda la Cooperativa della mutualità pedagogica (Coopérative d’entraide  pédagogique) con la rivista L’imprimerie à l’école.
Nel 1927 crea La Gerbe che pubblica una selezione dei testi prodotti dalla corrispondenza scolastica.
Nell’agosto del 1927 durante il congresso delle Federazione unitaria degli insegnanti, che si tiene a Tours, prende parte attiva al Congresso internazionale della tipografia scolastica e partecipa alla creazione della Cooperativa di cooperazione tipografica a scuola. Nello stesso congresso Freinet con Rémy Boyau progettano due cortometraggi e decidono di creare una cooperativa per lo sviluppo di queste attività, con la creazione di una società anonima « Cinémathèque Coopérative de l’Enseignement Laïc »
Nel 1928 si trasferisce a Saint Paul de Vence e fonda la CEL, la Cooperativa dell’insegnamento laico.

Nel febbraio 1932 per la biblioteca di lavoro, Bibliothèque de travail, (BT), inizia le pubblicazioni in proprio. Nell’ottobre del 1932 esce il primo numero di l’Éducateur Prolétarien, nuovo nome dato alla rivista “La tipografia a scuola”.

 L’affaire de Saint-Paul del 1932.

Freinet è ormai conosciuto internazionalmente come un pedagogista, ma non mancano gli oppositori, non solo in seno alla cooperativa della tipografia a scuola.
È il caso di Alain, Émile Auguste Chartier – 1868-1951-, autore di Propos sur l’éducation, che Armando Armando pubblica in Italia nel 1966 con il titolo Una pedagogia di destra insegnata da un uomo di sinistra.
Alain non cita mai Freinet.  Ma non può ignorare l’esperienza di Freinet, soprattutto “L’affaire de Saint Paul de Vence”, tanto più che Simon Weil nel 1933 scrive un articolo per difendere Freinet nella rivista di Alain Libres Propos.
Del resto Freinet conosce l’opera di Alain, in una lettera del 29 marzo 1940 alla moglie Élise, chiede di inviargli al più presto i libri di Alain, il che vuol dire che già li possiede.
Alain attacca la pedotecnica di Freinet. Freinet riprende le sue parole in L’education du travail mettendole in bocca a Monsieur Long, maestro che difende come pedagogia moderna la tradizione, dialogando con Mathieu, il personaggio che personifica Freinet,

Il pensiero di Alain: «L’alunno apprende soprattutto a non pensare. La tecnica è un pensare senza parole, è un pensare delle mani e dell’arnese. È un pensiero che teme il pensiero. Un pensiero delle mani non è ancora un pensiero».
Per Freinet il pensiero di Alain è una tesi che vale la pena di discutere. “L’audacia del pensiero” per Alain è affrontare la disciplina e le difficoltà. Per Freinet è differente, è quella delle idee, delle idee adatte a servire a qualcosa. Solo quando le idee per gli allievi acquistano un valore funzionale suscitano il loro interesse.

A Saint-Paul-de-Vence Freinet è responsabile di una classe di 49 alunni, la scuola è in condizioni pietose e ha diversi scontri con l’amministrazione. Chiede una seconda classe con la speranza che possa essere affidata a Élise.
Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre il paese viene tappezzato da una cinquantina di manifesti che riportano i testi scritti dai suoi allievi. Viene accusato di fare dei suoi allievi dei futuri bolscèvichi. In sostanza è costretto a lasciare l’insegnamento.
Nel 1935, apre a Vence, con l’aiuto della moglie Élise ed il supporto delle organizzazioni operaie locali, l’École Freinet strutturata senza classi, con molti laboratori e soprattutto molto spazio all’aperto: una scuola privata gestita in maniera cooperativa, dove applica le idee ed i metodi di lavoro messi a punto fino ad allora.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale Freinet viene internato nel campo di Saint-Maximin e la sua scuola viene chiusa. Nell’ottobre del 1941 viene liberato; a quel punto si dà alla macchia e partecipa alla resistenza, arrivando a dirigere il maquis della Vallouise.

Finita la guerra, ritorna all’attività di educatore, che continua con impegno ed entusiasmo fino alla morte, che avviene l’8 ottobre 1966.

Occorre dire che lascerà il partito comunista francese, avendolo contro.
La scuola Freinet, de Vence, diviene pubblica nel 1991, ed è classificata come patrimonio dell’Unesco.

Freinet e l’Italia

Nel 1950 Ernesto Codignola invita a Firenze Celestin Fréinet. Il convegno di Firenze è decisivo per i giovani maestri, che entrarono in relazione con il maestro francese e tra di loro, gettando le basi del Movimento di Cooperazione Educativa.
C’era Aldo Pettini, Giuseppe Tamagnini, traduce con Dina Parigi, e scrive l’introduzione all’edizione italiana di “Nascita di una pedagogia Popolare”, edito da La Nuova Italia, la casa editrice fondata da Tristano Codignola.
Giuseppe Tamagnini insegna a Fano, è stato allievo di Giuseppe Lombardo Radice. Fano diventa importante soprattutto perché Tamagnini costruisce lì il materiale per le Tecniche Fréinet, che dal suo laboratorio artigianale viene spedito in tutta Italia ai colleghi che lo richiedono, a partire dalla tipografia per impostare l’apprendimento della lettura e della scrittura. La nascita della Cooperativa “Tipografia e Scuola” (CTS) avviene subito dopo il Convegno di Rimini (2 giugno 1951).
I punti essenziali: organizzare la cooperativa fra gli insegnanti, dotare la propria classe della tipografia, organizzare la corrispondenza interscolastica, raccogliere materiale vario in uno schedario delle materie.
In questi anni si rileva decisivo il contributo di Mario Lodi, Bruno Ciari, Gianni Rodari.
Fu in particolare l’elaborazione di Bruno Ciari e di Giuseppe Tamagnini che contribuì, sia pure parzialmente, sulla cultura del PCI in direzione di una concezione nuova dell’infanzia e dell’educazione.
Nell’estate del 1963 a Barbiana va Mario Lodi e per due giorni lui e don Lorenzo Milani parlano soprattutto dell’arte dello scrivere con i ragazzi. È così che il prete di Barbiana si innamora del testo collettivo e della sua tecnica che il maestro di Vho gli fa conoscere mentre scrivono “Cipì”, la storia costruita con i suoi alunni di quinta.
Si lasciano con l’impegno di scriversi. I primi furono i ragazzi di Vho di Piadena che inviarono una lettera in cui parlano della loro scuola.
I ragazzi di Barbiana rispondono con un testo collettivo che il loro maestro accompagna con una sua lettera. “Lettera ad una professoressa” che Tullio De Mauro considera uno dei capolavori della lingua italiana del novecento, è il frutto anche di questo incontro.
A Bologna l’amministrazione comunale chiama Bruno Ciari a dirigere i servizi educativi, si realizza una sinergia con l’Università dove operano Andrea Canevaro e PieroBertolini, promotori della rivista “Infanzia”.
A Reggio Emilia Loris Malaguzzi realizza un modello di scuole dell’infanzia studiato anche nelle università statunitensi. A Modena Sergio Neri dirige le scuole dell’infanzia e diviene direttore di “L’educatore”.
Torino rappresenta l’elemento di novità. Fiorenzo Alfieri in “Il mestiere di maestro” (1974) descrive il ruolo dell’MCE di Torino nel decennio in cui la scuola italiana farà un salto di qualità decisivo.
Insieme a Daria Ridolfi, Gianni Giardiello, Bartolo Viroglio e Marina Dina, Fiorenzo Alfieri dà vita ad un percorso dove si intrecciarono diversi elementi: la scuola elementare e la media dell’obbligo, l’avvio del Tempo Pieno con l’integrazione dei doposcuola comunali, la ricerca pedagogica e le sperimentazioni promosse in collaborazione con la facoltà di Magistero dell’Università di Torino, dove insegna Francesco De Bartolomeis, di cui molti dei suddetti erano stati allievi, si diffondono le tecniche Fréinet e lo strutturalismo delle discipline introdotto da Jerome Bruner negli USA. Sulla stessa scia Franco Passatore realizza il Teatro-Gioco-Vita e scrive “Io ero l’albero (tu il cavallo)”.

Oggi, Gianfranco Lorenzoni, con la scuola di Giove e l’esperienza raccontata in “I bambini pensano grande”, continua e rinnova l’esperienza freinetiana e del Movimento di Cooperazione Educativa.