Ripensare la scuola e le sue responsabilità

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di Raimondo Giunta

Le polemiche roventi scoppiate sull’alternanza/scuola lavoro, in seguito alla tragica morte di un giovane nel suo ultimo giorno di stage in un’azienda friulana, devono essere colte come una seria occasione per ripensare il rapporto tra il sistema di istruzione e formazione e la società. Una questione che deve partire per forza dalla ricognizione dei compiti e delle responsabilità del sistema scolastico alla luce di ciò che ne costituisce l’identità.

La scuola nel corso della storia progressivamente ha dovuto svolgere tutti i compiti che la società le ha dato di volta in volta per sostituire le agenzie formative che avevano portato a termine la propria missione o che non sono state più in grado di affrontarla: la chiesa, la famiglia, la bottega artigiana, le associazioni di mestiere, etc. . Compiti di cultura e di educazione; compiti di formazione professionale. Una situazione inevitabile che si è posta da sempre come condizione della sua legittimità sociale: non è comprensibile, oggi, l’esistenza di un sistema scolastico al di fuori di questa responsabilità.

Scuola e società fino all’altro ieri hanno avuto un rapporto di reciproca fiducia e di scambio alla pari: si sono sostenute a vicenda assicurando un servizio efficace e con qualche grado di qualità. Il loro sodalizio entra in crisi negli anni in cui lo sviluppo economico, le dimensioni e l’intensità dello sviluppo delle scienze e delle tecnologie creano le condizioni di un distacco sempre più ampio tra esigenze complessive della società e capacità di adeguamento della scuola. Il compito di dare una risposta alle richieste della società non è facoltativo e non può essere disatteso anche se è diventato sempre più difficile poterlo svolgere.

La logica delle riforme, quando ne hanno qualcuna, è quella di superare questa difficoltà per assicurare in mutate condizioni la conservazione del patrimonio culturale, tecnico e professionale di una nazione e la possibilità di preparare le nuove generazioni ad inserirsi nel mondo del lavoro e nella società. E’ stata ed è questa difficoltà che ha spinto a ridisegnare i compiti della formazione professionale come segmento di mediazione e di transizione tra istruzione e mondo del lavoro: non più cenerentola di momenti emergenziali, nè strumento sussidiario e subalterno al sistema scolastico in funzione della risoluzione del problema della dispersione.
Le linee di tendenza delle dinamiche sociali della società della conoscenza, nei limiti in cui sono configurabili, sollecitano ad aprire una nuova fase dei rapporti tra istruzione, formazione professionale, mondo del lavoro per tentare di costruire un circuito permanente di scambi e di servizi lungo tutta la vita, che diano risposte ai problemi di inserimento nella società delle nuove generazioni.
Questo tentativo di grande rilievo sociale impone alcune scelte ineludibili:
a) la costituzione di un sistema formativo integrato, in cui i soggetti che lo compongono abbiano pari dignità e sia possibile il passaggio da un settore all’altro;
b) la creazione delle condizioni per disegnare il sistema formativo che funzioni alla stregua del servizio sanitario: un sistema, cioè, che eroghi prestazioni per tutte le età e in ogni età delle persone.
Le tendenze prima descritte sono state al centro degli sforzi per fare della scuola un’istituzione efficace. Seppure ardui, questi compiti possono essere affrontati in una logica razionale, costante, pragmatica di evoluzione e di cambiamento dell’organizzazione del sistema formativo. Ma alla scuola non si chiede solo questo. Si chiede anche di essere un’istituzione giusta che si preoccupi di rendere migliori i propri alunni. La sfida più difficile, perché deve misurarsi con i mutamenti profondi e radicali del mondo dei valori e del costume, ambito in cui la scuola nel passato si sentiva al riparo di ogni difficoltà. Questi problemi si possono riassumere nella rottura del rapporto famiglia-scuola; nella crisi del concetto e del principio di autorità; nella costituzione di valori individualistici, spesso alternativi alla dimensione comunitaria dei valori repubblicani della Costituzione. Nella fase storica in cui è avvenuta la piena scolarizzazione delle generazioni la crisi della famiglia e di altre agenzie formative, l’incertezza dei valori pubblici costitutivi della convivenza sociale rendono difficile il compito di educare le nuove generazioni, la funzione educativa della scuola. La buona amministrazione del sistema di istruzione e formazione non consente di eludere questa responsabilità e non si riduce alla produzione continua di cosiddette riforme epocali.
E per concludere. Il peso della responsabilità professionale e conoscitiva e quello della responsabilità educativa del sistema di istruzione e formazione ricadono sulle spalle degli insegnanti, che si devono misurare con un’opinione pubblica artatamente ostile, con un’organizzazione che non premia l’impegno e l’innovazione e che si vede ridurre le risorse di cui dovrebbe disporre. La situazione richiede un alto profilo civico e professionale dell’insegnante, ma le scelte concrete dell’amministrazione hanno creato una figura professionale senza autonomia, senza spessore culturale e ai bordi di un vero declassamento sociale. Un rinnovato rapporto della scuola con la società da questi ultimi problemi deve partire e trovare slancio.