Il docente esperto: uno su cento ce la fa…

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di Mario Maviglia

Prendete una delle categorie più vilipese in Italia, sia sul piano sociale che economico, ancorché – contraddittoriamente – più tutelata sul piano occupazionale. Si tratta di una professione più che dignitosa, ma sempre più oberata di impegni burocratici. Su questa categoria i vari Ministri che si sono succeduti nel tempo hanno sempre nutrito l’ambizione di lasciare un segno con le loro (spesso dannose) riforme. Nessuno che si sia mai preoccupato di creare le condizioni migliori per consentire a questi professionisti di svolgere il proprio lavoro in modo tranquillo e sereno, centrando l’attenzione sul compito principale che dovrebbe assolvere la loro ”azienda”, ossia la promozione e lo sviluppo dei processi di apprendimento e di socializzazione degli studenti. Nel tempo, anzi, le condizioni lavorative di questi professionisti sono andate viepiù peggiorando.

Oggi, attraverso una delle tante leggi che nulla ha a che fare con il mondo della scuola (Decreto Aiuti bis), viene inserito un meccanismo di “premiazione” dei docenti, che non trova eguali in altri contesti professionali, attraverso la creazione della figura dell’”insegnante esperto”, un super-docente dotato di grandi capacità, quasi taumaturgiche, soprattutto considerando l’iter che dovrà seguire per diventare “esperto”. Infatti il super-docente dovrà completare tre corsi triennali di formazione consecutivi e non sovrapponibili tra loro, con valutazione positiva. Questi docenti niciani non potranno essere più di 8 mila (poco più dell’1% del totale) e alla fine di questa eroica cavalcata formativa potranno meritatamente godere di un assegno annuale ad personam di 5650 euro all’anno, ossia circa 400 euro in più al mese rispetto ai colleghi non “esperti”.

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Peraltro non sono richiesti compiti particolari a questa nuova figura, anche se dovrà rimanere nella stessa scuola per almeno tre anni. A livello formale la sua istituzione è prevista a partire dall’a.s. 2023/2024, ma gli effetti economici decorreranno dall’a.s. 2032/2033. (Per molti docenti già arrivarci, a questa data, sarà una positiva prova di resilienza esistenziale…).
La legge non chiarisce se, in caso di premorienza dell’interessato prima della scadenza dei fatidici 9 anni di formazione, le esperienze formative comunque maturate nel frattempo possano essere trasmesse agli eredi o a colleghi designati dal compianto prima della sua dipartita. Ma va detto che c’è nello spirito della legge una grande prospettiva di speranza e di ottimismo: infatti chi viene prescelto come “docente esperto” dovrà impegnarsi a vivere ancora per almeno 9 anni per poter godere dei sacrifici sostenuti. E in questo periodo storico contrassegnato da crisi di vario tipo, depressione cronica e sfiducia nel futuro, il messaggio veicolato dalla norma suona decisamente rincuorante e terapeutico.

Questo, sommariamente, quanto prevede la legge. Ma ancor più interessante è capire quali giri mentali hanno seguito i proponenti questa norma che di fatto prefigura un iter formativo per acquisire la qualifica di “esperto” equiparabile alla formazione di un pilota d’aereo o a quella di un medico specialista. Forse poteva essere scelta, come dire?, una via più breve, magari riconoscendo eventuali “crediti” acquisiti durante l’esperienza professionale pregressa. Ma in questo caso, forse, la futura quanto inutile Scuola di Alta Formazione non avrebbe avuto lavoro a sufficienza da svolgere e non avrebbe potuto giustificare quindi la sua ragion d’essere e il baraccone burocratico al suo seguito.

Più prosaicamente ci si poteva dedicare in modo serio e in un arco temporale non biblico a equiparare gli stipendi dei docenti italiani alla media degli stipendi dei loro colleghi UE, almeno come base di partenza e questo anche per rendere più attrattivo l’insegnamento ad una platea più vasta di professionisti.

Ovviamente non è solo una questione economica, ma c’è da chiedersi quale molla masochistica dovrebbe spingere un docente a formarsi per 9 anni prima di vedere dei vantaggi economici, quando potrebbe destinare meno tempo per una preparazione adeguata ad affrontare un concorso per dirigente scolastico o dirigente tecnico (se i concorsi si svolgessero a scadenza regolare…), con vantaggi economici molto più consistenti.

Insomma, l’impressione generale che si ricava è che la vecchia e mai abbandonata idea di creare forme di differenziazione di carriera tra i docenti sia ancora tutta da elaborare, a meno che non ci si voglia illudere che l’istituzione del “docente esperto” sia la risposta a questo problema. Sicuramente è un modo poco produttivo di utilizzare i fondi pubblici. Se a ciò si aggiunge il finanziamento necessario per il funzionamento dell’istituenda ed evanescente Scuola di Alta Formazione si può comprendere come spesso la spesa pubblica venga dirottata in opere inutili, se non futili.