Docente esperto, ovvero la scuola basata sulla competizione

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di Cristiano Corsini

L’idea di scuola dietro la trovata del “docente esperto” ha il privilegio di essere chiara e orecchiabile. È un’idea basata sulla competizione: chi insegna è disposto a migliorarsi se potrà guadagnare di più e primeggiare su un gruppo, conquistando sul campo soldi e status.
Si tratta di un’idea di scuola molto diffusa nell’opinione pubblica. Non a caso chi la difende sostiene che in molti altri ambiti lavorativi le cose stanno esattamente così.
Perché nella scuola non dovrebbe funzionare?

Ora, ammesso e non concesso che in altri ambiti questo approccio funzioni davvero (non sono in grado di stabilirlo, ma immagino che in alcuni casi funzioni di più, in altri di meno, in altri non funzioni affatto), il problema è che in campo educativo l’approccio cooperativo è più efficace rispetto a quello competitivo.
Una delle cose che ho imparato nel corso del mio dottorato di ricerca sull’efficacia scolastica è che le scuole che funzionano meglio sono quelle che hanno una cultura comune. Si tratta di scuole che hanno costruito tale cultura attraverso una condivisione di pratiche incentrata sull’idea che a problemi comuni si forniscono risposte comuni. Queste scuole esistono e non rappresentano nulla di utopistico, hanno anzi i loro problemi, ma li affrontano mettendo alla prova dell’esperienza (sperimentando e imparando) soluzioni condivise da più docenti che tra loro cooperano piuttosto che competere. E, attenzione, la cooperazione non esclude affatto la differenziazione, anzi. Esclude però la competizione.

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Dunque, se davvero vogliamo migliorare la qualità delle nostre scuole, ci sono soluzioni più efficaci rispetto alla corsa dei cavalli.
Tuttavia, temo davvero che la trovata del “docente esperto” venga perseguita dalla politica scolastica con la stessa infausta e bovina solerzia che ha già caratterizzato altre soluzioni chiare, semplici e sbagliate imposte a scuole e docenti negli ultimi decenni.
Ps. Talvolta, chi difende la trovata del “docente esperto” mi fa notare che nel campo dell’istruzione c’è già un’istituzione che differenzia notevolmente i ruoli di chi insegna, ovvero l’università.
Siccome in università ci lavoro, non posso che confermare. Tuttavia, la distinzione dei ruoli in università non ha nulla a che fare con la qualità della didattica. Un professore ordinario (un professore di prima fascia) non ha raggiunto il suo status in virtù della sua qualità di docente. Molto semplicemente, è diventato professore ordinario perché è stato selezionato in virtù delle sue pubblicazioni scientifiche. La didattica in questa procedura selettiva non c’entra nulla, sebbene possa aver avuto un peso nella selezione iniziale, ovvero quella procedura che, anni fa, consentì a chi oggi è professore ordinario di diventare ricercatore. Ma in quel caso si tratta di un parametro esclusivamente quantitativo (“numero di corsi erogati”), che con la qualità della didattica non ha nulla a che vedere.
D’altro canto, è sufficiente farsi un giro tra le studentesse e gli studenti: il più delle volte non si accorgono minimamente della differenza, proprio perché dal punto di vista della qualità della didattica non v’è alcuna soluzione di continuità, e chiamano con lo stesso termine – “professore” – il docente a contratto, il dottorando, il cultore della materia, l’assegnista di ricerca, il ricercatore a tempo determinato, il ricercatore a tempo indeterminato, il professore associato (II fascia), il professore ordinario (I fascia).
In università la differenziazione competitiva non risponde all’esigenza di migliorare la didattica.