PNRR e innovazione del lavoro: una falsa partenza

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di Pietro Calascibetta

Parliamo di carriera o di lavoro? Una premessa necessaria a proposito del “docente esperto”.

L’ istituzione della figura del “docente esperto” con il “Decreto Aiuti bis” [1] è stata interpretata come l’introduzione di una carriera per i docenti e ha innescato subito un’accesa discussione.

Franco De Anna nel webinar del 17 agosto promosso da “Gessetti Colorati”[2] ci ha fatto notare che la disposizione, anche se inserita in modo inusuale in un decreto di tutt’altro tema, è frutto della Legge n. 79 del giugno 2022 che definisce la cornice di alcune delle azioni previste dal PNRR tra cui quelle relative all’istruzione ed è su questo che bisogna porre l’attenzione.

Osservando meglio la premessa della parte che riguarda l’istruzione e i rimandi normativi si scopre infatti  che l’art.38 del Decreto Aiuti e la Legge 79 in realtà dovrebbero essere finalizzati a dare una risposta nell’ambito della pubblica istruzione alla richieste della UE di avviare con il Recovery Plan italiano un processo pluriennale “ di innovazione del lavoro pubblico[3] con l’obiettivo di riqualificare la pubblica amministrazione migliorando la professionalità dei suoi dipendenti.

Se le cose stanno veramente così, piuttosto che discutere della carriera sarebbe più interessante e utile interrogarsi sulle valenze e sull’efficacia dei provvedimenti nel poter effettivamente raggiungere l’obiettivo di innovare il lavoro nella scuola come richiesto dalla UE e dare ad esso la dignità che merita e quali proposte fare per aggiustare il tiro di un provvedimento in essere che presenta già prima di essere applicato molte ambiguità in modo che non diventi l’ennesima occasione sprecata per affrontare la questione del lavoro nella scuola.

Un quadro normativo contraddittorio

Da quanto si legge la modalità scelta per innovare il lavoro nella scuola è stata l’introduzione di un “ sistema di formazione e aggiornamento permanente delle figure di sistema[4] , individuate nei “docenti con incarichi di collaborazione a supporto del sistema organizzativo dell’istituzione scolastica e della dirigenza scolastica[5] e più genericamente dei docenti di ruolo “articolato in percorsi di durata almeno triennale” e gestito dalla “ Scuola di alta formazione dell’istruzione[6] istituita contestualmente.

La norma precisa che l’attività di formazione e aggiornamento ha come obiettivo “promuovere e sostenere processi di innovazione didattica e organizzativa della scuola, rafforzare l’autonomia scolastica e promuovere lo sviluppo delle figure professionali di supporto all’autonomia scolastica e al lavoro didattico e collegiale[7]

Fin qui tutto bene. Sembrava proprio da queste premesse che tale formazione supplementare dovesse distinguersi da quella obbligatoria per tutti i docenti di ruolo già prevista dall’ articolo 1, comma 124 della “Buona scuola” e che fosse finalizzata a quella formazione appunto aggiuntiva e specifica dedicata a chi avesse voluto o dovuto per ragioni di servizio occuparsi di qualcosa di più e di diverso dal solo insegnare come è d’obbligo per tutti i docenti.

A prima vista sembrava che fosse l’innovazione si fondasse  su  una differenziazione tra i docenti non basata sulla “bravura” o l’anzianità, bensì basata da una parte sull’acquisizione e il rafforzamento di competenze addizionali per compiti particolari rispetto all’insegnare e al progettare la propria lezione d’aula, dall’altra sulle mansioni effettivamente svolte nell’organizzazione scolastica oltre la docenza.

A questa apertura iniziale non è corrisposta però nell’articolazione successiva della norma, una esplicita e chiara definizione di percorsi formativi specificatamente attribuibili alle figure di sistema attualmente presenti in tutte le scuole, né di percorsi per quei docenti che si offriranno volontari, prefigurandone un ruolo di supporto nell’organigramma di un istituto attraverso una formazione specifica, magari come “agenti di cambiamento” nei collegi o nei gruppi o come psicopedagogisti , o altro.

Le indicazioni dei percorsi di formazione sono invece deludenti e oltremodo generiche trattando di  “attività di progettazione, tutoraggio, accompagnamento e guida allo sviluppo delle potenzialità degli studenti, volte a favorire il raggiungimento di obiettivi scolastici specifici e attività di sperimentazione di nuove modalità didattiche”. Tutto e niente. La solita demagogia dell’indicare con roboanti espressioni come novità ciò che non è tale, facendo sfumare così la possibilità di uno “sviluppo delle figure professionali”   come reale, anche se parziale,   elemento di innovazione nel lavoro dei docenti.

[1] DL 9 agosto 2022, n. 115, art. 38
[2] L’intervento si può ascoltare  in: https://www.youtube.com/watch?v=n4UuYFbiC_4
[3] DL n. 36 del 30 aprile 2022  “Misure   per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Convertito con la Legge  n. 79 del  29 giugno 2022.
[4] Ivi, Art. 16 ter comma 1
[5] Ivi, Art.16 ter comma 3
[6] Ivi. Art. 16 bis
[7] Ivi, Art. 16ter comma 3

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