Se 80mila abbandoni vi sembran pochi

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di Raimondo Giunta

La ricerca “Quanto futuro perdiamo?” promossa dall’impresa sociale “Con i Bambini”, presieduta da Marco Rossi Doria, e realizzata dall’Istituto Demopolis”, nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà minorile rivela un dato sul quale si dovrebbe meditare seriamente, perché rivela un quadro di fragilità sociale, in cui può perdersi una frazione consistente delle nuove generazioni.

Nell’anno scolastico passato oltre 80 mila studenti sono stati respinti per il numero delle assenze. E’ un fatto di evidente gravità che un numero così grande di studenti abbia regolato il proprio rapporto con la scuola assentandosi; un fenomeno vero e proprio di rigetto della scuola, che dovrebbe rappresentare una sfida culturale ed educativa da affrontare con energia e con le necessarie misure di contrasto.

All’origine di questa emergenza educativa gli italiani, secondo questa ricerca, pongono i problemi relativi alle strutture, perché troppo vecchie (64%); la carenza di attività di recupero per i ragazzi in difficoltà (58%) e l’inadeguatezza delle strategie che vengono attivate (63%); la scarsa motivazione degli insegnanti (56%).
ll fenomeno della dispersione e dell’abbandono è considerato un problema dal 53% della popolazione e viene percepito in via di peggioramento. Al centro del problema vengono collocate la fragilità del contesto familiare d’origine (74%), l’inefficacia delle istituzioni locali nel trattare il problema (58%), la vacuità del sistema di relazioni famiglia, scuola, istituzioni (57%).

E’ però un dato significativo che per l’85% del campione la responsabilità educativa delle nuove generazioni debba essere distribuita tra tutte le componenti di una comunità e non appartenga solo alla scuola; senza dubbio un fatto importante che indica una crescita della consapevolezza sociale dei problemi relativi ai nostri giovani. Non è, però, irragionevole pensare che a determinare l’abbandono scolastico di tanti giovani contribuisca, oltre alla disarticolazione dei rapporti tra enti locali, istituzioni scolastiche e famiglie, anche la stessa scuola come sistema, la scuola come istituzione con le sue regole, con la sua organizzazione, con i suoi codici di valore, con la sua identità culturale.
Tuttavia non è di questo aspetto del problema che ci si preoccupa di più per aumentare la capacità di attrazione della scuola e la sua efficacia, ma del bullismo e della violenza giovanile.
Questo aspetto è invece una delle soluzioni del problema e riguarda la parte delle responsabilità proprie della scuola all’interno di quelle che la società e le altre istituzioni hanno sull’educazione delle nuove generazioni
In ogni scuola il primo argomento del primo collegio dell’anno scolastico dovrebbe essere dedicato all’analisi e alla valutazione dei risultati degli scrutini finali dell’anno precedente, soffermandosi su quei dati che rinviano all’annosa questione della dispersione scolastica, alla quale in qualche misura non c’è scuola che non dia il proprio contributo….Il proposito da formulare e da tenere sempre presente dovrebbe essere quello di vedere come e se sia possibile contenerla. In nessuna scuola dovrebbero mancare la preoccupazione e l’amarezza di vedere tanti giovani perdersi e perdere le occasioni per istruirsi, per andare avanti, per impossessarsi degli strumenti che sono indispensabili per diventare cittadini e lavoratori all’altezza dei tempi.

Se Il problema della dispersione è senza dubbio di prima grandezza, non bisogna dimenticare, però, che non è di facile soluzione, perché non si dà una sola ipotesi interpretativa di questo fenomeno sociale e perché non c’è una sola causa di inconciliabilità tra istituzioni scolastiche e nuova popolazione scolastica, peraltro accresciuta dalla presenza di centinaia di migliaia di ragazzi di famiglie di recente immigrazione.
Sono varie le forme di disagio, scaturite dai contesti umani e culturali di provenienza degli alunni che si riversano sulla scuola e con cui si dovrebbero fare i conti .Nell’affrontare il problema della dispersione è opportuno considerare (e questo lo fa dire l’esperienza diretta della vita scolastica) che ad una certa età scolare, per lo più dopo il biennio delle superiori, non è tanto il possesso di specifici saperi di famiglia a determinare un migliore rendimento scolastico, ma la percezione del valore sociale dell”investimento in cultura, la conoscenza della profittabilità del sapere in tutto l’arco della vita, la pratica quotidiana dell’importanza delle competenze, della professionalità nella vita.
Nel processo di formazione il giovane che conosce il guadagno ricavabile dallo studio è in grado di sostenere la sfida quotidiana tra soddisfazione immediata e sacrificio, di intendere cioè il senso dello scambio tra sacrifici attuali ed eventuali vantaggi futuri.
Questo tipo di alunni conoscono le ragioni più rilevanti che motivano nello studio, conoscono i tempi, i ritmi e le difficoltà del percorso da compiere. Questo sapere esperienziale che la scuola possiede non sempre viene messo a disposizione di quei gruppi consistenti di giovani, che dal proprio ambiente non riescono ad avere questo importante sostegno. Vi è, inoltre, un problema di corrispondenza tra comportamenti individuali, acquisiti in ambienti sociali deprivati, e regole interne della scuola. La formalità dei comportamenti esigiti per assicurare un regolare svolgimento delle attività didattiche contrasta con le abitudini di molti alunni, soprattutto nella scuola dell’obbligo, molto vicine all’ indisciplina e questo impedisce spesso l’accettazione della scuola e del suo mondo. Il gruppo più numeroso di problemi è costituito, però, dal contrasto forte tra le procedure naturali di apprendimento e i processi di astrazione, di formalizzazione delle procedure d’apprendimento richieste dai saperi scolastici e dai linguaggi in cui questi si esprimono. In una parola dal contrasto tra cultura giovanile e cultura scolastica.
Rendere il processo di apprendimento attraente per le nuove generazioni è la sfida più impegnativa da affrontare a scuola. In questa contraddizione si concentrano gli insuccessi, i ritardi; si forma la consapevolezza della propria incapacità e matura molto spesso la decisione di abbandonare.
E allora quali saperi? Quali metodi? Quali tempi ? Quali metodi di valutazione? Come recuperare?
La scuola non può essere ritagliata su misura del primato logico-linguistico o peggio ancora sulla particolare figura di studente, estratta dall’ambito sociale che sul possesso del codice linguistico, ampio e ricco ha fondato e legittimato le proprie posizioni sociali.
La scuola si deve misurare con la pluralità dei linguaggi, dei saperi e delle intelligenze e dare a questa complessità il rilievo che merita e trarne le conseguenze.
Per gli alunni che si sentono fuori casa, estranei nel mondo scolastico è importante partire dai problemi che danno un senso al sapere che bisogna acquisire.
Bisogna adottare metodologie attive e realistiche che lancino un ponte con le pratiche sociali in cui gli alunni sono immersi. Bisogna tentare, nei limiti in cui è possibile, andare oltre l’aula per ritrovare tutti gli elementi possibili di contiguità tra saperi scolastici e i processi della vita quotidiana. Non si recupera lo svantaggio che denunciano molti alunni con l’aggiunta di ore di attività, che ripetono quelle che l’insuccesso hanno determinato, ma col cambiamento delle relazioni docente-saperi-alunno; con l’implementazione del patrimonio linguistico, chiave di accesso ai saperi; con metodologie dove il parlare abbia la stessa importanza del fare, il muoversi la stessa importanza dello stare fermi.
L’aula non è un auditorium e la cattedra un palcoscenico dove qualcuno recita la parte del sapere; l’aula deve essere un laboratorio che deve impegnare tutte le energie degli alunni, suscitare emozioni e il piacere della scoperta personale, attivare l’immaginazione. L’alunno deve rapportarsi al sapere con spirito amichevole e curiosità (D.Nicoli). Bisogna lavorare con dibattiti, con situazioni-problema, con esperimenti, con progetti di ricerca; bisogna dare spazio al dialogo, alla negoziazione, alla riflessione.
Non si deve avere paura di attivare processi di partecipazione e di coinvolgimento
A scuola si deve lavorare senza rassegnarsi ai dati acquisiti della “dispersione” come se fossero naturali e immodificabili.
La scommessa è quella di condurre i giovani alla conquista del sapere; una scommessa che va fatta ogni giorno e in ogni lezione. Ma senza amore, senza passione per il sapere e per il proprio mestiere non può essere vinta.
Testimoniare concretamente l’amore per il sapere che si vuole far possedere agli altri è la regola aurea per superare a scuola molte difficoltà nel lavoro di insegnamento.
Lunga è la vita dei precetti; corta e infallibile quella degli esempi (Seneca).