Tra scuola e società il dialogo è necessario, anzi indispensabile

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di Raimondo Giunta

La scuola vive dei suoi rapporti con la società; si alimenta delle sue esigenze, si muove sulla spinta dei suoi problemi. Scuola e società reciprocamente si richiamano; si dovrebbero aiutare, ma più spesso negli ultimi tempi confliggono. Va da sé che per cogliere frutti buoni, però, è necessaria la loro stretta, solidale collaborazione, nella distinzione dei compiti e dei ruoli e nel rispetto delle funzioni professionali, culturali ed educative che in autonomia la scuola deve svolgere. Se la scuola non entra in sintonia con i problemi della società e con i temi culturali del proprio tempo, prima o poi perde la propria ragione d’essere.
La riflessione su questo nodo cruciale dell’istruzione deve essere permanente e costituirsi come principio di orientamento nell’azione quotidiana a scuola, per evitare il rischio che si avviti e si impoverisca nella sua solitaria autoreferenzialità. La scuola non può tenere né porte, né finestre chiuse. Operazione assurda e inefficace; ci penserebbero gli alunni e le famiglie eventualmente a portare dentro la scuola il mondo che sta fuori. Il problema è come la scuola debba pensare e vivere le questioni che agitano la società e questo non è di pacifica e concorde soluzione. C’è un modo proprio della scuola per svolgere questo compito e solo rispettandone stile e natura si possono avere risultati utili.
Nella costruzione del rapporto scuola-società ci sono scelte che attengono alle responsabilità generali dello Stato e scelte che sono nelle mani delle singole scuole, dotate degli strumenti che loro può dare l’autonomia.
Tutto, nel piccolo e nel grande, si sviluppa intorno al rapporto tra domanda sociale d’istruzione e capacità del sistema scolastico di soddisfarla. La composizione della domanda sociale di istruzione muta secondo i tempi, la forza sociale dei soggetti che la formulano, la natura dei bisogni collettivi che in un dato momento si pensa che possano e debbano essere soddisfatti.
Che la scuola anche quando lo voglia non riesca a tenere il passo con le esigenze della società è fatto naturale che non dovrebbe sorprendere. Le risposte del sistema di istruzione arriverebbero sempre con un po’ di ritardo… anche se fosse in grado di programmare e di applicare le innovazioni.


Compito della scuola non è la previsione delle esigenze della società, ma quello di interpretarle quando queste vengono esposte. Ogni realtà ha i propri tempi di funzionamento e il proprio statuto e prenderne atto è operazione dovuta e opportuna. Come comprendere che non esistono soluzioni definitive per i problemi della scuola. Le risposte del sistema di istruzione e formazione ad ogni buon conto sono nell’ordine del ragionevole e del plausibile. Questo non vuol dire volere una scuola effimera, ridiscutibile anno per anno.
La scuola deve avere un impianto solido, offrire curriculi strutturati e rigorosi con una parte ovviamente stabile e una riprogettabile che apra una finestra sul mondo
Nella domanda sociale di istruzione tende ad assorbire ogni spinta e a rappresentarla per intero quella che proviene dal mondo economico.
E’ una pretesa ricorrente dalla quale bisogna sapersi difendere, perché, se è impossibile teorizzare l’indipendenza dei processi di scolarizzazione rispetto a quelli economico-sociali, è altresì impossibile farne l’unico destino, perché la funzione professionale non è l’unica che deve svolgere un sistema scolastico.
Il mondo del lavoro e delle occupazioni, tra l’altro, per i processi continui di profonda, tumultuosa trasformazione che lo distinguono, non è un punto di riferimento stabile come nel passato e nessun sistema di istruzione può essere insensibile ai cambiamenti di costume, psicologici e sociologici dell’utenza scolastica. La scuola deve essere, infatti, sempre all’altezza del compito di socializzazione e di formazione culturale e umana delle nuove generazioni, al quale per nessun motivo può abdicare.
Nel leggere il rapporto tra scuola e società molti si soffermano sul loro scarso grado di integrazione; altri si lamentano dei tentativi di subordinare il sistema di istruzione alle leggi del mercato e delle imprese e di violarne l’autonomia. Per il sistema scolastico è quasi impossibile la simbiosi con la società; inaccettabile la sua subordinazione; convengono e sono proficui solo il confronto e il dialogo aperto e permanente nella diversità dei ruoli. Nel trattare questo problema non si può dimenticare che quando si parla del sistema di istruzione e formazione ci si deve riferire alla condizione attuale di pluralismo formativo, alla condizione, cioè, che vede la scuola in posizione di centralità fra tante altre agenzie formative, ma con connotati diversi rispetto a quelli che un tempo ne disegnavano l’indiscutibile supremazia.
E’ il tempo dell’industria culturale e della pervasività dei nuovi media. E’ il tempo dell’apprendimento lungo tutta la vita. E tutto questo rende molto difficile indicare una sola linea di confronto tra scuola e società, tra scuola ed esigenze individuali delle persone.
Ad ogni buon conto la scuola non può perdere il controllo del proprio programma culturale, ha la responsabilità di non disperdere la propria identità nell’allargarsi e nell’infittirsi dei suoi intrecci con la società; il mestiere della scuola consiste nel sapere escludere e selezionare i contenuti che devono entrare nei curricoli. Non deve rischiare di soffocare per ingordigia. La scuola non deve limitarsi ad assicurare una semplice continuità con la società che l’attornia o con le esperienze quotidiane.
”Essa è quella particolare comunità in cui si fa l’esperienza di scoprire le cose usando l’intelligenza e ci si introduce in nuovi e inimmaginati campi d’esperienza”(J. Bruner).
”La scuola è un luogo dove si svolge un particolare tipo di lavoro intellettuale che consiste nel ritirarsi dal mondo quotidiano, al fine di considerarlo e valutarlo;un lavoro che resta coinvolto con quel mondo, in quanto oggetto di riflessione e di ragionamento”(L. Resnick).
Il funzionamento del sistema formativo dovrebbe essere speculare all’apparizione di una nuova e consolidata tendenza esistenziale non più strutturata a blocchi (scuola/lavoro/pensione) ma segnata dall’alternanza di fasi di lavoro e momenti di formazione e dalla crescente importanza della capacità di apprendimento, dalla capacità di apprendere ad apprendere come si dice sempre più spesso.
Bisogna chiedersi, allora, che genere di cultura e di formazione debbano avere le nuove generazioni, che cosa debbano saper fare i giovani appena usciti dalla scuola, come sia possibile tenere il passo nei confronti delle trasformazioni della società e del mondo del lavoro.
Il sistema di istruzione svolge la sua funzione, se è in grado di progettare i curricoli che formano, a partire dalla scuola primaria fino all’università, le competenze richieste in questa fase storica dalla società nel suo insieme e non solo dal sistema economico-aziendale. Si parla da alcuni decenni di flessibilità, adattabilità, mobilità ed oggi di competenze chiave, di competenze trasversali, di soft-skills. Sono problemi di prima grandezza, bisognosi di risposte che devono contemperare l’immediato e la prospettiva, cioè difficili e nello stesso tempo transitorie. Nel mondo dei problemi con cui bisogna confrontarsi entrano da protagonisti nuovi contenuti, nuovi saperi, nuove tecnologie, nuovi media, personalizzazione dei percorsi formativi, ricerca di radici locali, conoscenza del mondo, momenti di creatività e di espressività. Vi restano con la loro forte presenza la lotta alla dispersione scolastica, la consistenza della cultura comune, le metodologie adatte ad esaltare l’iniziativa di chi apprende. Resta, inoltre, immutata la necessità di conciliare obiettivi di promozione umana e culturale con quelli di professionalizzazione e quella di evitare scelte precoci e socialmente inique.
Alla conclusione del corso di studi i giovano dovrebbero avere la capacità di riconoscere e controllare le condizioni e le modificazioni della propria condizione sociale e di lavoro. Dovrebbero sapere formulare ragionamenti chiari e fondati, compiere processi di astrazione, fare ordinate classificazioni, immaginare modelli ed enunciare generalizzazioni, procedere ad applicazioni del proprio sapere a casi nuovi e particolari.
La loro preparazione dovrebbe essere connotata da conoscenze specifiche e da metodologie tecniche relative alla professione di riferimento, se hanno frequentato scuole tecniche e professionali. La missione educativa della scuola non è più solo quella di arricchire una persona di conoscenze sempre più varie e complesse, ma anche quella di renderla sicura dei propri mezzi per affrontare in qualsiasi nuova situazione le proprie responsabilità di cittadino e di lavoratore.