C’è proprio bisogno del tutor?

   Invia l'articolo in formato PDF   
image_pdfimage_print

di Raimondo Giunta

Il ricorso a parole anglosassoni (seppure riprese con varianti semantiche dal vecchio latino..) accompagna talvolta qualche innovazione o qualche idea pedagogica,  con la speranza che forniscano un adeguato corredo di prestigio …Una di queste parole è “Tutor”.

Nel mondo giuridico, in cui è nata la parola,  il tutore è la persona che si prende le responsabilità di proteggere e guidare i minori,  in assenza o in sostituzione dei genitori .E’ la persona che deve assicurare la salvaguardia dei diritti e degli interessi del tutelato nel contesto sociale in cui vive e deve crescere.
E nella scuola?

A scuola la persona da tutelare è l’alunno, in posizione di minorità rispetto agli insegnanti e rispetto all’istituzione scolastica e chiaramente solo rispetto agli uni e all’altra.

A rigore, una figura terza come il tutor, tra l’insegnante e l ‘alunno, che sostenga quest’ultimo nell’esercizio del diritto a essere formato ed educato non dovrebbe esserci, perché questa cura dovrebbe essere indissolubilmente legata all’attività di docenza di qualsiasi docente.
Ciò nondimeno, in diverse forme dell’attività formativa (formazione professionale, educazione degli adulti, corsi di aggiornamento,  etc) questa figura si è resa necessaria, come supporto alla docenza e come aiuto all’apprendimento; figura di mediazione e di accompagnamento.
Ma c’è questo particolare bisogno nell’attività didattica di ogni classe di ogni tipo e grado di istruzione? A quale tipologia di alunno dovrebbe essere dedicata questa particolare figura professionale?
A quelli che restano indietro o anche a quelli che marciano da soli in avanti come vorrebbe il ministro? La preoccupazione per le sorti del “minore” in educando è ancora in capo ad ogni insegnante o viene delegata al tutor?

Le funzioni di guida e di orientamento sono costitutive dell’adulto e del genitore, figure finora e ancora ambedue assorbite e interpretate in modi particolari dal docente nell’esercizio dei suoi compiti. Non sarà più così?

Il Ministro dell’Istruzione e del Merito(?) sicuramente sa che un tentativo di introdurre il tutor nella scuola italiana c’è già stato e che  per vari motivi non se ne è più fatto cenno.

Prima di riparlarne non bisognerebbe partire dalle ragioni di quel fallimento? La cura, l’attenzione ai problemi degli alunni, la guida nel loro processo di apprendimento, l’affiancamento nel loro processo di crescita non sono azioni possibili del e nel processo educativo, ma azioni doverose. Fanno parte delle responsabilità di ogni figura professionale che entra in una classe per svolgervi il proprio lavoro,  sapendo  che senza di esse non si genera la formazione, l’educazione, la crescita umana dell’alunno.

Non è sufficiente  sollecitare ed esaltare  queste responsabilità per affrontare i problemi che sorgono nella gestione quotidiana di una classe?

Si è vissuta una lunga stagione in cui con superbia intellettuale questi problemi sono stati giudicati marginali nella professione docente, tutta centrata sulle tecniche didattiche e organizzative.

Si sono sminuiti come superflui il mondo delle relazioni e la dimensione affettiva del lavoro, deresponsabilizzando il docente dal suo dovere di “cura” e di attenzione nei confronti di ogni singolo alunno.

Si è insistito con protervia nella formalizzazione di un processo dinamico, complesso, ricco, intrigante, emotivo, sentimentale come quello dell’educazione.  Molti, abusivamente a mio parere, hanno ridotto l’insegnamento alla sola dimensione conoscitiva, alla professionalità,  al culto della disciplina.

La dimensione educativa è stata spesso rinviata alla famiglia o nella versione più laica all’equipe psico-pedagogica.

Il problema è che le famiglie non sempre ci sono e se ci sono, spesso latitano, ma i ragazzi e i giovani ci sono e quindi non può essere eluso, da chi se li trova davanti per la gran parte del tempo della loro crescita,  il loro bisogno di “tutela”.

Se non si fosse giocato parecchio con la separatezza tra educazione e istruzione, se gli insegnanti non si fossero trincerati dietro il loro specialismo e non avessero difeso ad oltranza il loro insindacabile individualismo, rendendo di fatto impossibile l’assunzione della responsabilità collegiale di fare crescere armoniosamente l’alunno, a nessuno sarebbe venuta e verrebbe in mente l’idea di parlare di tutor.

Al massimo si sarebbe parlato dei nuovi compiti del coordinatore di classe, del coordinamento dell’azione unitaria dell’educare e dell’istruire.
Con la figura del tutor di fatto si scompone la figura del docente e se ne gerarchizzano le funzioni.

Il tutor a condizioni immutate del normale esercizio dell’insegnamento, senza una riconsiderazione radicale del suo svolgimento, potrebbe essere una pezza peggiore del buco che vorrebbe coprire, perché  professionalizzarebbe la funzione d’accompagnamento (con i rischi di impoverimento culturale ed umano del restante personale) e accentuerebbe e giustificherebbe la deresponsabilizzazione educativa dei docenti .In una parola è meglio lasciar perdere.