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Ma di quali valori parla la Sottosegretaria ? La virtù greca era anche pederastia e la democrazia escludeva schiavi, donne e non solo

di Mario Maviglia

Alcuni soggetti, pubblici e privati, hanno la grande capacità di rendere “straordinario” o “epocale” ciò che è assolutamente ordinario. È quanto fa fin troppo spesso la stampa quando qualifica come “storico” un evento sportivo di un certo rilievo, o come quando il Governo (di qualsiasi colore) enfatizza in modo “enfatico” l’approvazione della legge di stabilità che è un atto ordinario del Parlamento.

 

Questa volta il merito va alla Sottosegretaria del Ministero del Merito, Paola Frassinetti, che, nel commentare la scelta del greco antico come seconda prova scritta per gli studenti del liceo classico per i prossimi esami di Stato, si è profusa in una dichiarazione dall’ampio respiro storico, sociale e retorico, anche se la scelta (non il “sorteggio”, sig.ra Sottosegretaria) della seconda materia d’esame dovrebbe essere considerato un atto di ordinaria amministrazione per il MIM.
Ma la Sottosegretaria in questa scelta ha voluto vederci “non solo [confermata] l’importanza duratura dello studio del greco antico, ma [anche] la sua rilevanza ancora del tutto attuale nell’offerta educativa della nostra Scuola.” Questa premessa offre alla Nostra il la per esibirsi in una passionale e magniloquente dichiarazione sul valore dello studio del greco antico e più in generale sulla sua “grande e multiforme eredità letteraria”. Continua a leggere

Il manifesto per una scuola eugenetica di Galli Della Loggia

di Mario Maviglia

Questo intervento intende sviluppare in modo coerente e organico quanto ha enunciato qualche giorno fa sul Corriere della Sera un noto editorialista che denominerò EGDL per ragioni di economia di caratteri avendo egli un cognome troppo lungo per essere riportato per intero e anche per le ragioni che, in modo subdolo e implicito, verranno esposte nel corso di questo intervento.
In sostanza EGDL sostiene che la scuola italiana funziona male e i risultati scolastici sono quelli che sono perché nelle classi assieme agli “allievi cosiddetti normali” convivono anche “disabili gravi con il loro personale di sostengo (perlopiù a digiuno di ogni nozione circa la loro disabilità), poi ragazzi con i Bes (bisogni educativi speciali: dislessici, disgrafici, oggi cresciuti a vista d’occhio anche per insistenza delle famiglie) e dunque probabili titolari di un Pdp, Piano didattico personalizzato, e infine, sempre più numerosi, ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola d’italiano. Il risultato lo conosciamo.”

Questa fotografia di EGDL è ampiamente incompleta: a scuola infatti ci vanno anche rom, sinti, ebrei, ragazzi provenienti da famiglie veterocomuniste, atei, ragazzi nati in provetta, figli di separati in casa e fuori casa, sfigati di ogni genere. Tutta questa congerie di soggetti subumani o al limite dell’umanità reca un grave danno a chi invece (gli allievi normali) ha diritto di seguire il corso di studi con profitto e regolarità e a prendere in mano, un domani, la guida del Paese. Continua a leggere

Un ricordo di Luigi Berlinguer

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Luigi Berlinguer al convegno Tablet School

E’ morto poco fa Luigi Berlinguer.
Pubblichiamo il primo ricordo che ci è arrivato.

di Marco Campione

Con la morte di Luigi Berlinguer se ne va uno degli ultimi esponenti della più grande stagione di riforme in ambito scolastico seconda solo a quella di Giovanni Gentile.
Per questo lo ricorderanno nei prossimi giorni i suoi compagni di partito e qualche avversario. Spero non con lingua biforcuta: non se lo meriterebbe.
Per me però se ne va un secondo padre, un maestro, un mentore. È stata probabilmente la persona, esclusi i legami familiari o di coppia, alla quale mi legava l’affetto più profondo.
Due cose, in particolare, che ho appreso, anzi compreso, da te sono ancora oggi la guida del mio agire politico e tecnico: la scuola è per gli studenti; governare vuol dire trovare soluzioni, risolvere problemi.

Ecco, tecnico e politico: giocavamo ogni tanto su questo mio stare sempre un po’ di qua e un po’ di la della linea che divide questi due miei modi di intendere il lavoro per la scuola. Secondo te è l’unico modo per occuparsi seriamente di scuola essere un po’ tutte e due le cose.
La tua prefazione al libro che ho curato con Emanuele Contu è un esempio, l’ennesimo, di questo e molto altro.
Grazie Luigi per tutto quello che mi hai insegnato, che è molto di più e che tengo per me.
Grazie per aver contributo a fare di me l’uomo che sono.

Mancherai. A me certamente.

Le buone parole della scuola: EFFICACIA ED EFFICIENZA

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Raimondo Giunta

Il modello della scuola efficace ed efficiente è quello che in un certo momento, dopo le riforme che hanno segnato il mondo dell’istruzione a partire dagli anni sessanta fino a tutti quelli degli anni ottanta del secolo passato, ha incominciato a mietere consensi tra i responsabili delle politiche scolastiche.
In poche parole, dandosi per risolto il problema dell’equità con l’irruzione in massa delle nuove generazioni nelle classi dell’istruzione secondaria e nei corsi dell’ università e ritenendo economicamente ingiustificabile un aumento costante delle spese per l’istruzione, si è cominciato a porre il problema di razionalizzare sia la spesa pubblica per l’istruzione, sia l’organizzazione del sistema scolastico e anche le stesse procedure didattiche per avere a parità di costi e di risorse impiegate migliori risultati.
Si è passati da una situazione in cui si pensava che ci fossero solo obblighi di fornire mezzi e risorse alla scuola per espanderla ed arricchirla ad una situazione in cui si è incominciato a pensare che la scuola debba essere obbligata a dare precise risposte in termini di risultati socialmente apprezzabili, su cui commisurare la bontà dei finanziamenti e delle politiche scolastiche.
Raggiungere i risultati sperati e programmati, utilizzando nel modo migliore i mezzi disponibili, dovrebbe far parte del buon senso e della buona amministrazione. La spesa pubblica dell’istruzione deve essere commisurata ai compiti che gli vengono assegnati e alle sue crescenti e nuove responsabilità; sicuramente non dovrebbe essere ridotta, anche se ragionevolmente può essere modificata nella sua composizione.
Una politica scolastica, d’altronde, concentrata solo sulla razionalizzazione dei costi e dell’impiego delle risorse può incidere negativamente sulla portata e sul significato sia dei problemi educativi, sia dei problemi di democrazia e di giustizia a scuola. Rimanendo solo in un ambito di economia dell’istruzione non è difficile perdere di vista le finalità che deve perseguire il sistema di istruzione; è facile dimenticare che l’istruzione è un bene comune che va tutelato e reso disponibile per tutti.
La spesa per l’istruzione non può essere giustificata solo per il contributo che darebbe alla costituzione e allo sviluppo del capitale umano di cui deve alimentarsi una società proiettata nella competizione mondiale dei mercati. Una considerazione del genere può giustificare l’espansione dei costi dell’istruzione, ma può anche alimentare il convincimento della necessità di una stretta subordinazione del sistema d’istruzione e formazione a quello economico. Una tendenza (mai allontanata…) che ridurrebbe il valore della cultura e del sapere e che comporterebbe una strumentalizzazione dei saperi a danno della ricchezza e varietà delle esigenze di sviluppo e di crescita della persona e della società. Continua a leggere

Grammatica valenziale: di che si tratta?

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Una delle attività formative di maggiore interesse fra quelle proposte dalla nostra associazione riguarda la grammatica valenziale.
Di recente la nostra esperta Daniela Moscato ha rilasciato alla rivista DIRE FARE INSEGNARE una intervista in cui spiega le basi di questo approccio ancora poco frequentato, precisandone i vantaggi didattici e alcuni possibili contesti di applicazione.

L’amore per chi resta. Riti di passaggio

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

di Monica Barisone 

Da tempo volevo cercare di affrontare il tema dei processi che si articolano attorno all’esperienza del lutto e della morte, era nell’aria da mesi, era nei discorsi dei ragazzi, nei disegni dei bambini, nei visi inespressivi di chi mi parlava, esprimendo rassegnazione e senso di precarietà.
Poi ho incontrato Marybel dai dolci sorrisi, che mi chiedeva come preparare i suoi tre bambini alla incombente dipartita della nonna tanto amata, e l’urgenza è diventata necessità, ma una necessità che conteneva anche la chiave di lettura: l’amore per chi resta.
Spesso gli adulti, presi nella morsa del loro dolore e dalla negazione per difendersi da quanto sta accadendo, dimenticano la necessità del bambino di elaborare il proprio lutto.
Per proteggerlo dal dolore e dall’angoscia, cercano di tenerlo all’oscuro, a volte perfino d’ingannarlo su ciò che è accaduto o sta accadendo.
Il bambino può percepire però d’essere stato imbrogliato (A.Marcoli,2014), può imparare a non fidarsi dei grandi e a non mostrare il proprio vero sentire; può costruire teorie bizzarre sulla vita e la morte, a volte altamente patogene. Al contrario, il bambino, la bambina vanno supportati e accompagnati nel tempo e nello spazio per capire, esprimere ogni emozione (stupore, curiosità, dolore, angoscia, paura, rabbia, senso di colpa o d’impotenza…).
A volte possono persino pensare d’esser loro i ‘colpevoli’, allora occorrerà rassicurarli, parlar loro dell’inevitabilità della morte e del fatto che non verranno abbandonati a breve anche dagli altri adulti cari.

Costruire con loro riti di passaggio aiuta a costruire senso! Permettere loro di partecipare ai momenti commemorativi, può aiutarli ad imparare o ricordare che dopo la caduta delle foglie arriva sempre la primavera.
I momenti in cui ci si trova in famiglia, ad elaborare un lutto comune, sono preziosi per la loro forza integrativa nella mente di ognuno (C. De Gregorio 2011). Continua a leggere

E portò via anche l’origano…

di Raimondo Giunta

Non ci sono parole per esprimere il disgusto per quello di cui è stata accusata la dirigente dell’ICS GIOVANNI FALCONE, situato nel quartiere Zen a Palermo.
Il danno arrecato alla scuola e al principio di legalità in terra di mafia è incalcolabile e non sarà per nulla facile riedificare ciò che è stato distrutto, soprattutto se si considera quanti vengono colti in questioni di malaffare ,regolarmente coperte da quotidiane esternazioni contro la mafia.
Questa orribile vicenda mi spinge a fare qualche riflessione sul ruolo del dirigente in regime di autonomia scolastica,perché credo che ci siano tanti modi e tante ragioni per evitare che possano ripetersi fatti come quelli verificatisi allo Zen di Palermo.
In una scuola che vuole essere una comunità educativa l’autorità del dirigente scolastico si dovrebbe fondare sulla capacità di fare della propria scuola un modello di convivenza collegiale e culturale e non sull’esercizio arbitrario dei poteri che gli affida la legge.
Non sono pochi, purtroppo, i dirigenti scolastici che ritengono di non potere fare bene il proprio mestiere ,perché sarebbero molestati dagli insegnanti che sollevano obiezioni e perplessità sul loro operato, e perché devono tenere conto di quello che ancora si decide nei collegi degli insegnanti e nei consigli di istituto.
Ricordo ancora la dichiarazione pubblica “LASCIATECI LAVORARE”, sottoscritta da alcuni dirigenti scolastici, in piena pandemia, come se il lavoro a scuola consista nell’esecuzione dei loro ordini di servizio.

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