Come per la luna ci sono due “facce”, anche per la valutazione ci sono due “facce”: una che vediamo e che è rappresentata dai voti in decimi che bisogna scrivere per legge sulla pagella e che per questo ci sembra l’unica e l’atra nascosta che non vediamo o non vogliamo vedere, ma che forse è ancora più importante ed è quella che ha più influenza sull’apprendimento e sul lavoro del docente.
Si tratta della valutazione in itinere.
Questo continuo ridurre il dibattito sulla valutazione ad un referendum tra chi è a favore e chi è contrario ai voti in decimi in assoluto confonde tutti, docenti, studenti e famiglie e impedisce di affrontare proprio l’altra “faccia” della valutazione quella più importante per la formazione.
Scorrendo la normativa è chiaro che la “valutazione periodica e annuale” deve essere fatta in decimi, dove per “periodica” si intende quella trimestrale o quadrimestrale e che la “ media” è solo un criterio (giusto o sbagliato, corretto o scorretto che sia) che entra in gioco solo per alcune fasi finali della “valutazione”. Se guardiamo bene la normativa, ci si rende subito conto che queste disposizioni riguardano solo i documenti formali (pagelle) e i criteri di ammissione e di promozione all’esame (di stato). Continua a leggere
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Rilanciare l’autonomia partendo dalla qualità del lavoro
di Pietro Calascibetta
“LA SCUOLA SI RIPRENDE LA PAROLA”
E’ sicuramente una buona notizia l’appello lanciato delle associazioni professionali AIMC-CIDI-MCE-PROTEO FARE SAPERE per rimettere in moto quel protagonismo del mondo della scuola che aveva contraddistinto gli anni ’70/80.
Allora si trattava di dare forma, metodologie e contenuti ad una scuola solo enunciata nella Costituzione e tutta da realizzare, oggi di rilanciare l’autonomia scolastica.
Ma perché è necessario “rilanciare l’autonomia”?
L’AUTONOMIA NON È UNA RIFORMA QUALUNQUE
L’autonomia che siamo chiamati a difendere fa parte di quelle riforme che sono state realizzate per attuare i principi della Costituzione.
In Italia il sistema scolastico del dopoguerra si è caratterizzato per una sostanziale continuità con il passato fascista e addirittura prefascista, fatta ovviamente eccezione per il maquillage degli elementi esplicitamente legati al regime tolti immediatamente.
Il dettato costituzionale ha cominciato ad attuarsi e a cambiare il nostro ordinamento scolastico solo negli anni successivi e per tappe attraverso quelle che noi chiamiamo sbrigativamente “riforme”.
Nello specifico gli organi collegiali hanno creato il quadro giuridico per “l’effettiva partecipazione” permettendo che la democrazia partecipativa da valore enunciato nell’ ultimo comma dell’art. 3 divenisse prassi anche nella scuola; l’autonomia scolastica a seguire ha creato il quadro operativo affinché la partecipazione non fosse solo formale dando “potere” e strumenti agli organi collegiali di adeguare la progettazione « ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti» nel territorio ponendo le basi per rendere possibile anche nella scuola un altro pilastro della democrazia: “l’autonoma iniziativa dei cittadini” (art.118); la rendicontazione sociale, lo Statuto delle studentesse e la valutazione di sistema attiene all’art.97 sulla trasparenza della pubblica amministrazione.
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Fascismo sì/fascismo no? Il vero problema è il ruolo del Ministero
L’esternazione di questi giorni del Ministro Valditara nei confronti della preside di Firenze è sicuramente un intervento inopportuno perché invece di stigmatizzare comunque la violenza davanti a una scuola tira fuori una sua personale valutazione storica della contemporaneità dandone un imprimatur istituzionale, una valutazione che se non compete, come lui dice alla preside, meno che mai compete ad un ministro anche se è un docente di diritto (romano) in più è un atto di per sé diseducativo nei confronti dei ragazzi da parte di un adulto gerarchicamente superiore che sconfessa un altro adulto che nel suo ruolo ha deciso di fare un intervento sui propri studenti per dare un segnale che almeno nell’istituzione scolastica che frequentano, vivaddio, c’è una figura istituzionale che si preoccupa di loro e non se ne lava le mani lasciandoli nella convinzione che se la devono cavare da soli.
Spero che non si cada nella solita polemica fascismo sì, fascismo no perché la vera questione che spero emerga in questo caso non è il pericolo fascista dove molti della destra vorrebbero portare il discorso per meglio controbatterlo, ma il ruolo del Ministro e del Ministero nell’insegnamento della storia nella nostra scuola. Perché di questo si tratta.
Giorni fa commentavo un articolo di Mario Maviglia su Nuovo Pavone Risorse che stigmatizzava l’intervento della Sottosegretaria Paola Frassinetti che contestava ufficialmente la partecipazione dello storico Eric Gobetti ad un incontro dedicato alle foibe con gli studenti di una quinta ( secondaria di secondo grado e non della primaria !) di un istituto superiore calabrese etichettando lo storico come negazionista, quando in realtà lo storico non nega affatto le foibe, ma cerca di collocarle nel contesto storico di quegli anni individuando le co- responsabilità di quanto è avvenuto prima e dopo quegli avvenimenti.
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PNRR e innovazione del lavoro: una falsa partenza
Parliamo di carriera o di lavoro? Una premessa necessaria a proposito del “docente esperto”.
L’ istituzione della figura del “docente esperto” con il “Decreto Aiuti bis” [1] è stata interpretata come l’introduzione di una carriera per i docenti e ha innescato subito un’accesa discussione.
Franco De Anna nel webinar del 17 agosto promosso da “Gessetti Colorati”[2] ci ha fatto notare che la disposizione, anche se inserita in modo inusuale in un decreto di tutt’altro tema, è frutto della Legge n. 79 del giugno 2022 che definisce la cornice di alcune delle azioni previste dal PNRR tra cui quelle relative all’istruzione ed è su questo che bisogna porre l’attenzione.
Osservando meglio la premessa della parte che riguarda l’istruzione e i rimandi normativi si scopre infatti che l’art.38 del Decreto Aiuti e la Legge 79 in realtà dovrebbero essere finalizzati a dare una risposta nell’ambito della pubblica istruzione alla richieste della UE di avviare con il Recovery Plan italiano un processo pluriennale “ di innovazione del lavoro pubblico” [3] con l’obiettivo di riqualificare la pubblica amministrazione migliorando la professionalità dei suoi dipendenti.
Se le cose stanno veramente così, piuttosto che discutere della carriera sarebbe più interessante e utile interrogarsi sulle valenze e sull’efficacia dei provvedimenti nel poter effettivamente raggiungere l’obiettivo di innovare il lavoro nella scuola come richiesto dalla UE e dare ad esso la dignità che merita e quali proposte fare per aggiustare il tiro di un provvedimento in essere che presenta già prima di essere applicato molte ambiguità in modo che non diventi l’ennesima occasione sprecata per affrontare la questione del lavoro nella scuola.
Un quadro normativo contraddittorio
Da quanto si legge la modalità scelta per innovare il lavoro nella scuola è stata l’introduzione di un “ sistema di formazione e aggiornamento permanente delle figure di sistema” [4] , individuate nei “docenti con incarichi di collaborazione a supporto del sistema organizzativo dell’istituzione scolastica e della dirigenza scolastica”[5] e più genericamente dei docenti di ruolo “articolato in percorsi di durata almeno triennale” e gestito dalla “ Scuola di alta formazione dell’istruzione”[6] istituita contestualmente.
Perché è difficile (o forse impossibile) “convincere” i no vax. Il ruolo della scuola
Parlare di no vax a scuola può essere un argomento spinoso in questo momento perché può sembrare divisivo, ma mi domando se è più divisivo parlarne o non parlarne e lasciare che sia il convitato di pietra della relazione educativa. Nelle superiori ci saranno sicuramente studenti no vax e in tutti i cicli genitori no vax.
Il non parlare con gli studenti di un problema che li coinvolge come persone e come cittadini non è mai una buona soluzione a tutte le età. Proprio per questo è necessario a mio avviso trattare comunque la questione, ovviamente con i dovuti modi nei diversi cicli.
Chi, se non la scuola può affrontare l’argomento in modo formativo al di fuori dalle strumentalizzazioni, abituando i ragazzi ad argomentare piuttosto che ad affermare certezze recuperate con il taglia e incolla dai social. Vogliamo lasciare questo compito ai talk show?
Un approccio orientato alla ricerca su questo tema è quello che meglio può permettere di costruire un percorso di riflessione in grado di favorire un confronto democratico senza correre il rischio di rinfocolare le divisioni. Provo allora a toccare quelli che possono essere gli snodi strategici di un percorso.
I MOTIVI DELL’ALTA TENSIONE
Per prima cosa penso sia importante partire dalla presa d’atto della tensione che si è creata nel Paese in questi mesi, cercando di capire se e come gli studenti la percepiscono è successivamente perché si è creata.
L’opposizione di molti alla somministrazione dei vaccini era ben presente da tempo in Italia, soprattutto l’opposizione all’obbligo vaccinale per i bambini, come il mondo della scuola sa bene poiché ha dovuto far fronte al problema delle famiglie che non volevano sottoporre i propri figli alle vaccinazioni obbligatorie, tanto che la Ministra Lorenzin ha dovuto predisporre il decreto n. 73/17 per ribadirne l’obbligatorietà e fissare le modalità di controllo e sanzione per i non adempienti.
Avverso il decreto è stato addirittura presentato un ricorso alla Corte Costituzionale dalla Regione Veneto, non da un cittadino qualunque, ma da un’istituzione.
Il fantasma della libertà e i no vax
In un recente post il prof. Luciano Corradini commentando l’atteggiamento dei no vax ci ricorda che “ la libertà senza la fratellanza e l’uguaglianza ha portato anche i francesi al terrorismo della ghigliottina e al dispotismo napoleonico”. Come si fa a non essere d’accordo con tale affermazione e a non essere amareggiati come il professore di fronte a discorsi che di fatto “ difendono la libertà di morire e di far morire gli altri”.
La questione però a mio avviso è ben più grave perché non è circoscritta alla contingenza del vaccino o alle misure di protezione per potersi quindi considerare un incidente di percorso nella nostra vita democratica, ma ha radici profonde e diffuse nella nostra società.
Non a caso si trovano frange di destra e di sinistra unite, come fa notare il professore, dietro lo stesso striscione con in mezzo però una massa indistinta e variegata di persone attratte dal desiderio di partecipare ad una rivoluzione in nome di una “libertà” che in realtà è la propria.
E’ certamente triste pensare come i nostri nonni e padri abbiano lottato per un’altra libertà, quella di tutti che ora viene messa in discussione.
I no vax oggi rappresentano solo l’avanguardia visibile di un movimento che piano piano sta costituendo un nuovo blocco sociale. Non penso di esagerare; se solo unisco i puntini di situazioni che sembrano lontane ne esce un quadro preoccupante per il futuro.
Solo alcuni esempi.
Autonomia e libertà. Un ricordo di Giulio Giorello
In questi giorni il mondo della scuola festeggia Edgar Morin ricordandone il pensiero cha ha avuto una grande influenza su tutta una generazione di insegnanti. Un altro filosofo che ha ispirato la formazione di molti docenti è stato Giulio Giorello, purtroppo morto prematuramente poco più di un anno fa.
Desidero ricordarlo approfittando della recente la pubblicazione a cura di Antonio Carioti del volume dal bel titolo “Le avventure della libertà” che raccoglie i suoi contributi per #laLettura , supplemento culturale del Corriere della Sera.
Carioti nella prefazione tiene a sottolineare come il rapporto con Giorello non fosse stato casuale , ma frutto di una scelta precisa perché Giorello era la firma più adatta per collaborare ad un progetto culturale come quello de “la Lettura” che voleva «combinare il sapere umanistico e quello scientifico […] contaminare espressioni culturali elitarie e produzione per il consumo di massa».
Un progetto, continua Carioti, che «sembrava cucito su misura per Giulio Giorello […] perfettamente in grado di sparigliare il gioco, trovando sempre lo spunto per incuriosire il lettore o per cogliere nessi tra argomenti apparentemente distanti, con una versatilità più unica che rara».
Da dove derivava tutta questa poliedricità nell’approccio alla conoscenza?