di Raimondo Giunta
E’ giusto che si torni a parlare del Codice di Camaldoli, del suo significato e della sua possibile attualità, soprattutto nella fase politica in cui si proclama di volere mettere ancora una volta mano alla Costituzione, per farla diventare altra da quella che è e da quella che era stata pensata e desiderata.
Il Codice di Camaldoli è a distanza siderale dalla situazione di oggi, dalle scelte di oggi, dallo spirito di oggi, dagli uomini di oggi.
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Parlare di Camaldoli non è però inutile.
Significa parlare del modo in cui si fa una Costituzione, del modo in cui si pensa una Costituzione e anche del tempo che ci vuole per avere UNA BUONA COSTITUZIONE.
Tutto comincia in una settimana del mese di Luglio del ‘43. Parte del mondo cattolico sente ”l’urgenza di prendere posizione di fronte alle più vive e dibattute questioni sociali ed economiche”(Codice) per essere preparata, quando si sarebbe presentata l’occasione, a dare soluzioni ai problemi di una nazione, che già era prostrata da tre lunghi e sanguinosi anni di guerra e si trovava le truppe straniere in casa.
Venne organizzato un convegno nell’Eremo di Camaldoli, cui partecipò una trentina di studiosi laici ed ecclesiastici. I partecipanti ai lavori, che durarono una settimana, si proponevano di dare forma organica e scientifica e anche sintetica alle enunciazioni del Magistero della Chiesa sui principali problemi della vita economica e sociale; di sceverare tra le affermazioni quelle più adatte alle contingenze del tempo con particolare riguardo ai problemi della ricostruzione di un ordine sociale dopo il collasso della guerra; di tentare una prudente opera di esegesi e di interpretazione e se necessario di integrazione e sviluppo del pensiero espresso nei documenti ufficiali. Continua a leggere