TEMPO DI CORONAVIRUS

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bambini_maestraIn queste giornate drammatiche molti di noi si stanno interrogando su una questione assolutamente centrale: dove sta il confine fra il perseguimento del bene comune e la “difesa” dei diritti personali e individuali?
E’ un tema antico sul quale si sono interrogati filosofi, scienziati, politici, …
Senza nessuna pretesa di fornire una risposta ad una domanda così complessa, in questa  pagina raccoglieremo spunti di riflessione nostri e del nostri lettori.
Se volete contribuire potete scrivere a info@gessetticolorati.it

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Diceva John Fitzgerald Kennedy: “Non chiederti cosa l’America sta facendo per te, chiediti cosa tu puoi fare per l’America”  (di redazione)

Dice Joseph Conrad: “Il vero significato del crimine risiede nel suo essere un’infrazione alla fiducia della comunità del genere umano” (citazione suggerita da Daniele Scarampi)

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Con il passare delle settimane all’insegna del Covid 19 stiamo entrando nello spazio e nel tempo in cui l’emergenza si fa normalità.
Uno spazio ed un tempo molto difficile da vivere e gestire, come sanno ad esempio molto bene tutti coloro che hanno vissuto catastrofi naturali (ad esempio terremoto) o socio politiche quali guerre civili e rivoluzioni.
Uno spazio rarefatto in cui si ridisegnano rapporti, relazioni, priorità.
Uno spazio che Hobbes vedeva come rischiosissimo perchè fa saltare il contratto sociale dando la stura alla guerra di tutti contro tutti del mitico homo hominis lupus.
Ma altri filosofi rifiutano questa idea individualistica del soggetto e sottolineano invece il fatto che l’interazione e la socialità siano strutturalmente connessi persino alla possibilità di dirsi individui
Secondo questa prospettiva ci si può dire in-dividui solo dentro una relazione che fonda l’alterità. Il poeta Ovido esprime l’idea con il famoso verso “Ego nec sine te nec tecum vivere possum”(Amores III, xi, 39);
Il filosofo e psicanalista argentino Miguel Benasayag ha scritto anni fa, assieme allo psicanalista francese Gérard Schmit, un importante saggio in cui critica l’esaltazione acritica del concetto di autonomia intesa troppo spesso come liberazione da ogni legame e cedimento strutturale alla logica individualismo che connatura il paesaggio socio-economico del liberismo senza regole.
Eppure, scrivono, “​Aristotele … contraddicendo il senso comune, spiega che lo schiavo è colui che non ha legami, non ha un suo posto, che si può utilizzare dappertutto e in modi diversi. L’uomo libero invece è colui che ha molti legami e molti obblighi verso gli altri, verso la città e verso il luogo in cui vive. Paradossalmente, quindi, la nostra società è riuscita a foggiare un ideale di libertà che assomiglia, come una goccia d’acqua, alla vita di uno schiavo come la definisce Aristotele.”​
di Aluisi Tosolini

M. Benasayag, G. Schmit, ​L’epoca delle passioni tristi​, Feltrinelli, 2004, p.101

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In questo tempo di coronavirus imperante, che assedia il quotidiano vivere di tutti i cittadini, urge riflettere sulla ineludibile natura politica dell’uomo, il quale non è mai solo un individuo, ma è sempre collettività, eccezion fatta per l’eremita.

Nonostante il trionfo del consumismo e della mercificazione della vita trasformino il nostro essere nel mondo in una apparente e eterna Las Vegas esistenziale, la paura del contagio e l’incombere di una morte invisibile mettono a nudo le fragilità e le endemiche paure delle nostre società liquide globali.
Il disorientamento e la solitudine in cui incespichiamo, devono stimolare un uso critico della nostra ragione che ci permetta di mettere al centro delle nostre malate democrazie i beni comuni quali la scuola, la sanità e l’ambiente.
Il futuro delle nostre comunità politiche dipende proprio dalla difesa e dal rasaudinofforzamento di quei beni che rompono l’egemonia del profitto privato e dell’atomismo sociale, che tutto disgregano.
Nella ricchezza e orizzontalità della salute, dell’istruzione e dell’ambiente risiede la soluzione per costruire una società equa e giusta, unico antidoto per difendersi sia dagli arroganti sacerdoti di un liberismo senza scrupoli, sia dai demagogici capi di un populismo che alza muri e confini, soffiando sul fuoco del razzismo e della discriminazione.
di Matteo Saudino – autore di La filosofia non è una barba

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Il tema fornisce sicuramente molti spunti di riflessione, io inizierei con la letteratura e dalla sua funzione di aiutare i bambini ed i ragazzi a crescere. E inizierei con un libro: “Grogh, storia di un castoro” del Maestro Manzi.

Pensavo non si trovasse più invece è ancora  reperibile online.
Lo leggevo ai miei alunni di terza o di quarta, quando la classe a mio giudizio era pronta. I bambini si appassionavano alla storia di questa colonia di castori che lotta insieme contro le avversità, la fame, la paura, l’uomo…
Erano travolti dall’avventura, dal coraggio, dallo spirito di gruppo che da quelle pagine arrivavano alla loro mente e al cuore. Ma sempre arrivavamo impreparati all’epilogo finale ed in un silenzio assoluto trattendo tutti le lacrime abbandonavano Grogh al destino che liberamente aveva scelto.
E, chiuso il libro, per giorni discutevamo in classe, in cortile, in mensa su che cos’era il bene comune e perché fosse cosi importante metterlo al primo posto. Forse è ora davvero di leggere buone cose ai bambini abbandonando principesse, vampiri e supereroi…. Magari ripartiamo da lì.
(di Riccarda Viglino)

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Le vicende di queste settimane rendono urgente con drammatica evidenza una riflessione su cosa sia il bene comune. Comincerei con l’osservare che il bene comune sta a quello individuale come l’etica sta alla morale: non due concetti contrapposti ma complementari, con l’avvertenza che l’etica o è “pubblica” o non è. L’insieme delle morali individuali, quando è strutturato secondo gerarchie di valori riconosciuti dalla comunità che ha sottoscritto il patto sociale, costituisce la trama essenziale dell’etica. Diversamente, saremmo nell’ambito dell’etica di stato, che ha fatto danni incalcolabili, come ci dice la Storia.

Il contrario di “pubblico”, perciò, non è “individuale” ma “privato”. Può, anzi deve, darsi una morale “individuale”, basata sul principio di responsabilità (nel senso letterale: ciascuno risponde di sé e delle sue azioni). Di privato c’è solo l’interesse, legittimo o meno. Quando l’interesse privato, quand’anche legittimo, lede o comunque ostacola il perseguimento del bene comune, interviene il giudizio che solo l’etica può esprimere, anche arrivando a “sospendere” la tutela degli interessi privati, pur riconoscendone la legittimità.
Mi pare che questa dinamica stia avvenendo sotto i nostri occhi, con i provvedimenti drastici, ma necessari di questi giorni e ore.
Un’educazione all’etica, che alla luce dei ragionamenti sinteticamente richiamati si sostanzia nell’educazione alla convivenza, è l’altra emergenza di questo Paese: compito della scuola? Certo, per mandato costituzionale.
Ma non di meno di tutti coloro che, per un motivo o l’altro, svolgono funzioni educative. Il patto sociale di riconoscimento dei valori si scrive, e si riscrive, nelle azioni di ogni giorno. Compito di chi ha responsabilità di governo della “polis” tradurle in un sistema istituzionale.
(di Simonetta Fasoli)

E’ dagli anni novanta che mi interesso dell’educazione ala cittadinanza come “etica pubblica”. La colonna portante di questo pecorso è l’attivazione della categoria mentale del “BENE COMUNE” per cui bisogna imparare tutti a RINUNCIARE a qualcosa per il bene della collettività.
Ho chiarito questo concetto anche nel codice etico dei Dirigenti Scolasici dell’ANDIS e ricordo il confronto con dei colleghi che nell’ultima versione hanno voluto togliere il termine RINUNCIA forse perchè connotato culturalmente dal cattolicesimo.
Ho cercato di oppormi “laicamente”anche perchè mi rendevo conto che nell’educazione genitoriale odierna il concetto di rinuncia è sparito completamente. Ho provato nel tempo a far inserire nel testo delle Indicazioni l concetto di etica pubblica ma inutilmente. Ora poi il curricolo esplicito dell’educazione” civica” è zeppo di contenuti ma non tiene conto del curricolo implicito connotato a livello profondo ancora, purtroppo, di “familismo amorale” ..
(di Cinzia Mion)

La vicenda del coronavirus mette in evidenza in modo palmare i nostri problemi come collettività. Con la diffusione di questo virus i rischi personali sono bassi (almeno per quelli non di età avanzata e con altre patologie) mentre sono altri i rischi collettivi (collasso del sistema sanitario nazionale, distruzione del sistema economico, ecc.).

Alla lunga, poi, i rischi collettivi fanno crescere anche quelli personali ma questo non viene percepito immediatamente. Questa situazione richiederebbe perciò un forte senso della collettività. Qui sta il punto: alla maggioranza degli italiani manca il senso dell’interesse collettivo. Alcuni studiosi usano, a questo proposito, l’efficace espressione di “individualismo sedizioso” , quello per cui si è diffidenti verso ogni decisione dello Stato (fino ad arrivare ai deliranti eccessi del complottismo) in nome dei propri interessi. Questo individualismo è stato esasperato negli ultimi decenni dal diffondersi di un un modello di società totalmente individualizzata (ricordate la Thatcher quando diceva “la società non esiste, esistono gli individui”?). In questi giorni tutto questo sale alla superficie mettendoci alla prova.
La nostra proverbiale capacità di reagire nelle emergenze qui non basta più.
Oggi siamo chiamati ad abbandonare le polemiche inutili e di parte per impegnarci a prevenire il collasso del nostro sistema accettando di rinunciare a molte cose per un po’ di tempo. Lo sapremo fare? E, soprattutto, avremo imparato la lezione quando tutto questo sarà finito?
(di Enrico Bottero)