Istruzioneducazione

di Simonetta Fasoli

No, non è un refuso quello che si legge nel mio titolo. È un modo per richiamare il nesso inscindibile che caratterizza, o dovrebbe caratterizzare, il nostro sistema scolastico. Dove comincia l’una e dove finisce l’altra? A mio avviso, si tratta di una questione mal posta e insomma indecidibile.
Un fatto è certo: se si perde di vista questo tratto, si va incontro a derive che hanno radici antiche e che purtroppo sembrano allungare le proprie ombre sul presente e sulle sue prospettive. Detto altrimenti: una visione unilaterale della scuola ridotta alla sua funzione di istruzione o, alternativamente, circoscritta al suo compito educativo produce effetti perversi.
La storia ce lo insegna, fino alla più stretta attualità.
Nel primo caso, ecco fiorire prese di posizione, documenti che solennemente sollecitano al ritorno alla scuola delle “conoscenze”, all’ora di “lezione” come stella polare di un sistema smarrito. Come non avvertire in questi richiami il sentore allettante quanto insidioso della nostalgia? Bisogna dire con disarmante linearità che il futuro ha radici antiche, certo!, ma non sta mai dietro alle spalle. E ricordare, semmai ce ne fosse bisogno, che quella scuola reca l’impronta elitaria (userei il termine “classista”, con buona pace di chi lo ritiene obsoleto) di un sistema pensato per la riproduzione sociale, non per l’emancipazione.


Quella scuola è sopravvissuta all’articolo 3 comma 2 della nostra Costituzione, ha ignorato nei fatti l’articolo 34 comma 1. L’istruzione enfatizzata e sconnessa dall’educazione ha permesso di usare gli oggetti del sapere come strumenti di selezione e di esclusione. A buon diritto, alla fine degli Anni Sessanta del secolo scorso, si poteva parlare degli insegnanti che si ispiravano a quelle idee come delle “vestali della classe media” (M. Barbagli, M. Dei, Le vestali della classe media, ed. Il Mulino 1969)
Analoghe distorsioni comportano, a mio parere, le concezioni che risolvono nell’educazione separata dall’istruzione il mandato della scuola. In questo caso, con qualche insidia in più, visto che si presentano nella forma suadente di un’attenzione specifica ai temi della “socialità”. Tutto un fiorire di progetti che fanno leva sulle “educazioni a…” con quel che segue; che enfatizzano il potere salvifico di percorsi programmaticamente lontani da qualsivoglia dimensione cognitiva fondata su saperi sistematizzati, quasi fosse l’origine di ogni male. Con il risultato di far mancare questi riferimenti culturali proprio a quelle fasce di scolarità appartenenti a contesti sociali che solo nella scuola possono incontrarli, forse per la prima e ultima volta. Portando con ciò a compimento quello che da sempre ho ritenuto un “doppio inganno”.
Dunque: la scuola è scuola perché “tiene insieme” istruzione ed educazione. È questa la sua caratteristica fondante, e a mio avviso la sua stessa ragion d’essere. Lo fa misurandosi con una sfida, dall’esito tutt’altro che scontato. Istruisce educando ed educa istruendo, nella medesima circolarità dei suoi percorsi: vuol dire, in buona sostanza, considerare le discipline, e i saperi che esse veicolano, come depositi culturali a cui attingono le nuove generazioni, per interagire criticamente con quel patrimonio. E, in questa azione critica che contempla la messa in questione radicale di quell’eredità, farla rivivere: interpretarla, fino all’eresia (“airesis”, non dimentichiamolo, nel suo etimo vuol dire “scelta”).
La scuola educa perché non ci siano seguaci nostalgici e fedeli di principi indiscussi, ma attivatori di nuovi significati nati dal criterio della discussione. È debitrice a Socrate e alla sua maieutica.
Diffido, e invito a diffidare, di ogni progetto di rinnovamento del sistema scolastico in cui sia contemplata, in modo esplicito o surrettizio, la separazione delle due dimensioni. In cui, per dire, ci sia “un tempo per istruire” e “un tempo per educare”, o una ordinata “divisione del lavoro” tra soggetti deputati all’una e all’altra funzione. Sono, invece, favorevole a un progetto politico-culturale che accetti la scommessa di un sistema scolastico finalmente liberato da quella dicotomia su cui si sono infrante nel tempo le varie intenzioni riformatrici. Soprattutto, si sono perse le opportunità di emancipazione di intere nuove generazioni.