di Dario Missaglia
In attesa del testo definitivo delle nuove indicazioni nazionali per il primo ciclo, la professoressa Loredana Perla, in un’intervista al quotidiano “Il foglio”, regala una serie di sorprendenti rivelazioni. [1]
A fronte del cronista che la provoca sul terreno delle critiche piovute addosso ai contenuti del documento ministeriale, la professoressa esordisce ricordando l’incipit del documento “La Costituzione mette al centro la persona e concepisce lo Stato per l’uomo e non l’uomo per lo Stato”.
La citazione, precisa, è un passo di una relazione di Giorgio La Pira, “cara al Ministro Valditara…” per affermare che “nelle nostre premesse c’è l’influenza del personalismo cristiano di La Pira”.
Le sorprese a questo punto sono due.
La prima è l’autodefinizione della riforma di Valditara come “scuola costituzionale”, di cui non si citano mai due premesse fondamentali: la Costituzione nasce dalla Resistenza che era un movimento non solo per liberare il nostro Paese dal regime fascista e dall’occupazione nazista ma anche per ricostruire un’Italia libera, democratica, laica; che proprio per questo la Repubblica si fonda sul lavoro, sulle persone che lavorano, e sulla necessità che la Repubblica stessa (art.3) rimuova le cause che impediscono la piena partecipazione della persona alla vita democratica e sociale del Paese.
Dunque, nelle argomentazioni della professoressa Perla, non c’è la centralità della Costituzione ma la centralità del personalismo che la professoressa Perla afferma. Un personalismo trascendente che non ha nulla in comune con il personalismo presente nella Costituzione e neppure con il personalismo terreno e attivo di Giorgio La Pira. La persona, nella Costituzione, è un soggetto “storico”, vive e agisce nella società e “storiche” sono anche le cause che devono essere rimosse per la sua affermazione.
Come si fa a rivendicare un’eredità del pensiero di La Pira, di colui che ha sostenuto e per quanto possibile “protetto” don Milani, protestando duramente contro l’aggressione da lui subita dalle gerarchie ecclesiastiche sostenute dalle forze più conservatrici della Democrazia Cristiana nei primi anni 50? Come si fa a rivendicare un riferimento a chi, come La Pira, è stato animatore instancabile di quel movimento eretico del cattolicesimo sociale che contrastò apertamente la campagna sanfedista della Chiesa di Pio XII dei primi anni Cinquanta?
Ma queste domande non appartengono ai pensieri della professoressa Perla. Il suo incubo, condiviso con il Ministro Valditara, è quel regime comunista in cui “l’individuo era concepito per lo Stato”. E per sostenere le sue convinzioni cita il filosofo “cristiano” Emmanuel Mounier, teorico di un personalismo che, purtroppo per lei, non ha mai riscosso la simpatia del mondo cattolico più conservatore e della destra, perché sostenitore convinto di una “terza via” tra comunismo e individualismo capitalista, con una scelta di campo molto netta. Non a caso Mounier fu partigiano in Francia e ispiratore non secondario di una sinistra libertaria che ha concorso alla costruzione della fase più avanzata della Comunità europea. L’Europa della Conferenza di Lisbona del 2000, del libro bianco di Édith Cresson, dei contributi indimenticabili di Jacques Delors e Bruno Trentin. Insomma, un filosofo a suo modo sempre a sinistra e fustigatore spietato della società del neoliberismo e dell’individualismo. Proprio quella società che nelle premesse culturali delle Indicazioni non c’è.
Perché l’obiettivo non è ripensare i contenuti dell’insegnamento in questa fase complessa della storia del mondo e del nostro Paese, ma liquidare una volta per tutte gli ideali educativi del ‘68 e di quel don Milani volutamente ignorato e confinato in un silenzio vergognoso anche nell’anno del centenario a lui dedicato dalle più alte cariche dello Stato e onorato a Barbiana anche dalla visita e dalla parola di Papa Francesco. È questa l’ossessione che la professoressa condivide con il ministro Valditara e con questo governo di destra. Non cerca pertanto una nuova pedagogia ma riscrive una ideologia della conservazione, del ritorno al passato. Un passato chiuso nel recinto dei patrii confini, estraneo “all’ideologia universale cosmopolita” propria della sinistra e nella antica convinzione che il compito della scuola sia quello di offrire a ciascuno “la sua scuola”, ritagliata, anzi direbbe la professoressa, “personalizzata” sulle doti e le virtù del singolo.
Una scuola che “incarna” in sé il principio di autorità che tutti debbono osservare senza perdere tempo in pratiche di partecipazione, di statuti dei diritti, di autonomia professionale. In questo caso, nessuna sorpresa, è il ritorno alla scuola di classe che conosciamo molto bene: autoritaria e centralistica.
Dati questi principi, di quel documento c’è ben poco da emendare. È possibile che la pressione di qualche gruppo disciplinarista induca il Ministero a qualche modifica/integrazione, ma l’impianto del documento non è emendabile, va superato. Per questo serviranno anche un lavoro culturale di contrasto di lunga lena e la paziente costruzione nelle scuole di uno schieramento largo per sostenere le ragioni di una scuola come diritto fondamentale di tutti e di ciascuno. Per sostenere gli insegnanti nella rivendicazione della propria autonomia e della libertà di insegnamento affermata dalla Costituzione e normata dal DPR 275/99.
Misurandosi senza timidezza con i problemi complessi di questa fase della storia, con i rischi di involuzione che sono di fronte ai nostri occhi ma sempre nella ricerca incessante di un progetto per una società più giusta ed aperta.
[1] P. Suriano, Scuola e persona, i principi pedagogici delle nuove indicazioni, parla Loredana Perla, in “Il foglio” quotidiano, 23 aprile 2025, pag 2