di Rosolino Mussi

La fotografia riprende il Quartiere Castellamonte di Ivrea, fatto costruire da Adriano Olivetti per accogliere anche i dirigenti dell’azienda (la foto è depositata nel sito storiaolivetti.it ed è visibile unicamente grazie al link)
Nei primi anni cinquanta Paolo Volponi,nato nel ‘24, inizia rapporti di lavoro con Adriano Olivetti.
Il 1956 è chiamato a Ivrea, nel 1966 diventa direttore capo del personale e nel 1971 esce dall’Olivetti e va alla Fiat chiamato da Umberto Agnelli.
Ci resta alcuni anni, e negli anni 80 diventa parlamentare e poi dimissionario per malattia.
Accompagna il suo itinerario nell’industria olivettiana con l’impegno di creazione letteraria.
E’ stato, dunque, oltre che dirigente, poeta e narratore di grande efficacia: in poesia e letterature teneva di fronte a sé il mondo e il cammino e il futuro dell’uomo. Muore nel 1994 nell’epoca della fine delle ideologie e della caduta del Muro di Berlino.
Il rapporto di Volponi con il suo tempo è stato così antagonistico, di sfida: con il suo lavoro nell’industria olivettiana, prima, e come intellettuale e politico, dopo, ne ha combattuto gli aspetti negativi e ha smascherato la vera realtà, indicando le responsabilità e denunciando i poteri forti e nascosti che impedivano la realizzazione di una società migliore e più giusta.
E’ stato una figura itinerante, sempre in cammino alla ricerca di un di più umanità.
- Il posizionamento continuo di Paolo Volponi.
Fin dall’adolescenza, fa fatica a restare in casa, dentro il contesto familiare.
Esce, esplora le campagne, i fossi delle Cesane e i vicoli della città e rimane colpito dalla sofferenza di animali, piante e di esseri umani causata in parte dalla natura, ma soprattutto dagli uomini stessi. E fin da allora ha sentito l’impulso profondo, che avrebbe dato senso a tutta la sua vita, di abbracciarla, con lo scopo di contrastarla per migliorare la vita di tutti gli esseri viventi. - La disumanità nell’industria degli anni cinquanta.Volponi, dopo la laurea in giurisprudenza, parte da Urbino per andare a lavorare nell’industria.
Sceglie di lavorare nell’industria. L’industria è, secondo lui, il sistema produttivo adatto alla società moderna, l’unico in grado di produrre beni a basso prezzo per migliorare la qualità della vita di molti. Gli appare “bella” e “buona” – come ad Albino Saluggia protagonista del suo libro “Memoriale”, perché produce molto e dà lavoro a molti. Ma quando la conosce dall’interno, quando vede il terribile lavoro degli operai nelle officine ne rimane profondamente impressionato: quel lavoro fatto di gesti sempre uguali, rigorosamente uguali perché studiati come i più veloci, migliaia di volte al giorno, tutti i giorni, gli pare disumano, indegno di un uomo.
- L’irrequietezza di Volponi a servizio di nuovi tipi di rapporto di lavoro.Va poi a lavorare all’Olivetti, assunto da Adriano e, dopo alcuni anni di esperienze al Centro-Sud, nominato direttore dei Servizi sociali.
L’Olivetti è un’industria all’avanguardia per tecnologia e welfare in Italia e nel mondo; Camillo Olivetti, il fondatore, e il figlio Adriano si sono impegnati fin dall’inizio per realizzare una impresa socialmente responsabile, attenta al capitale umano, alla comunità esterna e al territorio.
Si cura all’Olivetti il capitale umano, si migliora la qualità della vita fuori e dentro la fabbrica, ma non si interviene nella organizzazione del lavoro.
Paolo Volponi si impegna così in questo settore in fabbrica.
Come dirigente dei Servizi sociali ben presto appare chiaro che il disagio profondo che molti lavoratori manifestano – nevrosi, assenteismo – è proprio conseguenza del tipo di lavoro che svolgono.
Irrequieto, come sempre, anche alla Olivetti vedendo questa forma di sofferenza cerca di realizzare nuovi tipi di rapporti di lavoro più dignitosi.
Restituire al lavoro frammentato delle officine la dignità di un lavoro complesso, senza tuttavia rinunciare al profitto diviene un obiettivo irrinunciabile. Ma finché rimane ai servizi sociali Volponi non può fare altro che seguire le linee di Adriano.
L’opportunità di fare di più si presenta quando viene nominato Direttore del personale, ma non vede il compimento del suo progetto perché nel 1971, alla vigilia della sua nomina ad Amministratore delegato, dopo un duro scontro con il presidente Visentini, lascia l’azienda.4.Le rotture nella sua vita a servizio di un di più di umanità.Esce dalla Olivetti, dalla Fiat, dal Consiglio di Amministrazione Rai ed, infine, dal Pci: è irrequietezza, insofferenza di situazioni mutate e non gestibili secondo i suoi progetti.
E’ una itineranza a servizio di un nuovo umanesimo fondato sul lavoro. Il lavoro, proprio e altrui, è stato centrale nella vita e nel pensiero di Volponi. Scrive poesie e romanzi e contemporaneamente lavora moltissimo: “a testa bassa”, dice di sé ricordando quegli anni in Olivetti; e i colleghi si meravigliano per la sua capacità di lavoro.
Il lavoro Volponi lo conosce bene, a cominciare da quello della fornace di Urbino, quello duro degli operai che lavorano l’argilla con le mani e quello altrettanto duro del padre che tirava avanti la piccola azienda di famiglia fra notevoli difficoltà.
Conosce il lavoro delle campagne e quello degli artigiani delle botteghe che spesso si ferma ad osservare durante il suo gironzolare per i vicoli. Questo soprattutto lo affascinava. E’ il lavoro che impegna l’intelligenza, l’esperienza, la capacità progettuale di fronte a problemi concreti; che produce oggetti completi e utili; che crea relazioni con gli altri e contribuisce a migliorarne la vita. Si fa responsabilmente irrequieto ed itinerante per liberare i vari tipi di rapporto di lavoro.
Li vuole qualificanti, liberi e liberanti, non da schiavi, ma mezzi di realizzazione delle proprie capacità e aspirazioni, occasione per migliorare sé stessi e contribuire al progresso di tutta la società. Trasforma i Servizi sociali da servizi di assistenza economica e sanitaria in servizi di formazione e crescita della persona; convince i sindacati dell’importanza di superare le rivendicazioni economiche e di lottare invece per la riqualificazione del lavoro e della vita personale: il riconoscimento delle 150 ore di lavoro retribuite per lo studio sarà una conquista delle contrattazioni sindacali per tutti i lavoratori nel 1973. - L’unico strumento di cui si serve è la cultura.Una cultura, quella del Volponi, però militante, impegnata a promuovere e un’intensa attività formativa.
Nell’ambito dei Servizi sociali ad Ivrea la incentra nella ricchissima biblioteca dove vuole che si svolgano corsi di studi, conferenze, mostre, dibattiti. Come Direttore del personale potenzia scuole, attiva corsi di formazione per tutti i livelli: operai, quadri, dirigenti.
E’ convinto che la cultura debba essere fondamentalmente cultura umanistica volta alla formazione della persona, aperta a una visione globale del mondo.
La vuole capace di divenire una voce significativa, anche libera di porsi fuori dal coro, anche se calata nel proprio tempo.
Lui, Paolo Volponi, figura itinerante ed irrequieto torna oggi a dirci dell’importanza dello sconfinare verso altri orizzonti e a sussurrarci, di nuovo, che “il mondo come lo conoscevamo non esiste più: piove da sempre” e che la scrittura “non deve rappresentare la realtà ma deve romperla… non si può fare stando seduto socialmente, accomodato, ma esige quella stessa attenzione che si adopera nell’innamoramento, quella stessa attenzione con la quale ci si accinge a studiare, a scoprire le cose e le persone nuove …non per narrare, che vuol dire sistemare, curare, ma contribuire, nelle sue libere forme, al dibattito”.