Indicazioni nazionali: le tre ossessioni

di Italo Fiorin

Il Consiglio di Stato ha rimandato al mittente le ‘nuove’ Indicazioni nazionali, considerandole, per ora, non valutabili. Il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzioni, nel suo obbligatorio parere, ha suggerito necessarie modifiche; un largo movimento non identificabile con una parte politica, costituito dalle associazioni disciplinari, professionali, da istituzioni culturali, da dirigenti, insegnanti, pedagogisti, accademici ha avanzato critiche, denunciato la mancanza di dialogo, l’assenza di pluralismo, le forzature che sono state operate attraverso pseudo consultazioni avviate da questa impalpabile Commissione ‘Perla’, o Commissione ‘Galli della Loggia’ ( se si vuol essere più precisi), e la risposta del ministro del ‘buon senso’: tiriamo dritto.
E’ evidente che siamo di fronte non a una riscrittura di un testo pur autorevole, come dovrebbe essere quello delle Indicazioni, ma al tentativo di riscrittura della cultura pedagogica del nostro Paese. La nuova narrazione muove da tre grandi ossessioni:
1. L’ossessione Occidentale’
2. L’ossessione Identitaria
3. L’ossessione Autoritaria


1. Lo storico Franco Cardini, a proposito di ‘Occidente’ e della sua presunta superiorità, che viene presentata come naturale e diventa la misura di tutte le cose, scrive che, “la mentalità storica occidentale, usa a pensar se stessa come la misura di atteggiamenti mentali normali, naturali e universali, è invece un’eccezione piuttosto che una regola. Un’identificazione assoluta con un tale modo di pensare è estremamente pericolosa: essa rischia di condurre a quel che Massimo Cacciari ha definito (…) il “Male radicale”: la convinzione cioè che alla civiltà occidentale sia intrinseca un’“obiettiva” (!) superiorità morale che rende tout court universale i suoi valori, e che costituisce il vero pericolo spirituale che noi stiamo correndo.

2. L’ossessione identitaria porta a curvare la didattica in funzione della costruzione di questo cittadino ‘italiano- occidentale’ ideale, al punto da snaturare certi insegnamenti, come accade soprattutto alla storia, disciplina che offre la chiave per scoprire l’anima retorica e nazionalistica dell’intera operazione.
La volontà di mettere l’insegnamento della storia al servizio della costruzione dell’identità nazionale è palese. Non è un caso che in questa ottica venga riproposto il libro Cuore, e si inviti a riscoprirne il valore patriottico e civicamente edificante. E in che modo si dovrebbe insegnare la storia, a cominciare dalla scuola primaria? Come una grande narrazione, capace di suscitare amor patrio, fierezza di appartenere a un Paese così mirabile per il suo passato, le sue opere d’arte, i suoi paesaggi. Un Paese che, se ben raccontato, non potrebbe non rappresentare un modello desiderabile anche per i tanti alunni di origine non italiana, che così più facilmente potrebbero integrarsi. Ma sarà proprio così?
Scrive M. Scarpati: ““penso che sin dall’inizio della scuola gli alunni debbano essere abituati a pensare con una visione più ampia di quella che richiede il documento ministeriale. La conoscenza della storia italiana non può che essere prioritaria, ma occorre un approccio inclusivo verso le altre culture. I bambini, nell’incontrarsi con compagni di origine straniera, devono capire chi hanno di fronte, con il relativo retroterra storico. Occorre insomma creare nei più piccoli la predisposizione all’apertura all’altro”.

3. La didattica della nuova pedagogia ministeriale è trasmissiva. Compito della scuola è la trasmissione delle conoscenze, in questo consiste il cambio di paradigma.
Si ritorna alla scuola dell’insegnamento, della quale è emblematica la figura del Maestro Magis.
Scrive la professoressa L. Perla: L’attacco al Magister ha le sue cause anche nelle pagine appassionate dei ragazzi di Lettera a una professoressa che, loro malgrado gettarono le basi di un fraintendimento grave: quello che ha confuso il carattere ottusamente classista della scuola col carattere non immediato, non strumentale, astratto, che è e deve essere della cultura”. ( in: La Stampa, 30/7/25).
Liquidato così don Milani e bocciati nuovamente i suoi ragazzi, la Professoressa rimanda al mittente la Lettera dei Ragazzi di Barbiana e ripropone come grande rivoluzione una scuola intesa come luogo di trasmissione delle conoscenze, anzi, il cambio di paradigma rivendicato consisterebbe proprio in questo: rimettere le conoscenze al centro dell’insegnamento. “La scuola è la sede principale della trasmissione delle conoscenze”.
Questa ossessione trasmissiva è stigmatizzata anche dal CSPI , nel suo parere obbligatorio ( che è stato tenuto in nessun conto): “L’accento marcato sulle conoscenze fa emergere, inoltre,
una scuola dell’insegnamento trasmissivo, che contraddice non solo la funzione docente – come delineata dalla normativa – ma limita e comprime la ricchezza delle competenze che a detta funzione si riconnette. La conoscenza meccanicamente memorizzata e restituita ha, tra l’altro un impatto residuale sul processo di maturazione delle competenze, poiché di fatto non è una vera “conoscenza”, ma si configura come una semplice nozione o informazione.”

SI PUÒ, SE SI VUOLE

Si può fare qualcosa? Certo, si può fare molto. E, sembrerebbe sorprendente, lo si può fare non andando contro la normativa, ma pienamente rispettandola.
Forse questa congiuntura così negativa può rappresentare l’occasione per ricordarsi che le Istituzioni scolastiche sono autonome e che la legge che riconosce questa autonomia è di rango costituzionale.
Ricordiamoci che il Piano dell’offerta formativa (il cui cuore didattico è il curricolo) “ è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia.” (DPR 275/99 ART.3, )
Le istituzioni scolastiche hanno tutta la possibilità di ‘compensare’ i limiti delle nuove Indicazioni, senza doversi molto preoccupare dei numerosi aspetti che non condividono, perché questi riguardano non la parte prescrittiva del testo ( che deve limitarsi alle finalità generali e alle competenze) ma quel ‘di più’ esortativo, di raccomandazione, di suggerimento, che non si è affatto tenuti a seguire.
Il ministro Valditara tira dritto? E perché le scuole non possono fare altrettanto? Questa non è solo una legittima possibilità, ma una patriottica responsabilità.

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