I dati (e le soluzioni) preoccupanti del PNRR

di Massimo Giugler
(psicologo, Studio Sigrè, consulenze per le famiglie Ivrea)

La Missione 4 (Istruzione e ricerca) del PNRR presenta una serie di dati preoccupanti che ci collocano agli ultimi posti in Europa: iniziamo dal rapporto tra posti disponibili negli asili nido e il numero di bambini di età compresa tra 0 e 2 anni che è del 25,5%, ossia 9,6 punti percentuali al di sotto della media europea; e che dire del fatto che ancora oggi 4 ragazzi su 100 non conseguono il diploma di scuola secondaria di primo grado? O che il 14,5% dei ragazzi fra i 18 e i 24 anni è in possesso del solo diploma di scuola media a fronte di una media europea del 10%? Se saliamo con l’età e prendiamo in considerazione la fascia 25-34 anni, vediamo che solo il 28% è in possesso di un titolo post diploma, a fronte di una media dei paesi OCSE del 44%. Il PNRR sorvola sull’abbandono scolastico che avviene nella scuola secondaria di secondo grado, ma sappiamo che siamo ai primi posti. Così come non avanza nessun pensiero in merito ai danni provocati negli alunni e negli insegnanti dalle chiusure protratte delle scuole nell’ultimo biennio.

Gli interventi che sono proposti segnano un certo sconcerto. Intanto vi è la sensazione di avere a che fare con numeri, non con persone. Il linguaggio è molto, troppo, manageriale, come se gli oggetti di lavoro fossero appunto degli oggetti e non dei soggetti in età evolutiva con le loro variabili e la relativa individualità, che, qua, pare annullata.

Le proposte sono per lo più relative a opere di ristrutturazione, per altro necessarie.

La voce formazione compare, ma con una quota di 830 milioni di euro, a fronte dei 31 miliardi del Piano. Se poi leggiamo meglio degli 830 milioni, ben 800 sono destinati a “Didattica digitale integrata e formazione sulla transizione digitale del personale scolastico” e solamente 30 milioni a “Scuola di Alta Formazione e formazione in servizio per dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico-amministrativo”.
Non possiamo sapere ora cosa si annoveri in questa voce, ma qualunque cosa ci sarà l’investimento pro capite è di nemmeno 50 euro!
Nel documento non compaiono mai termini come “pedagogico”, “psicologico”, “socialità”, “affettività”. Ho sperato di trovare qualcosa alla voce “Nuove competenze e nuovi linguaggi” relativa all’investimento 3.1 per un importo di 1,1 miliardi.
Ho sperato che nei nuovi linguaggi vi fosse quello delle emozioni, dell’affettività, di come stabilire una relazione significativa con gli studenti, di come attuare processi collaborativi, di come attivare le risorse del gruppo e invece….Invece si  legge che “occorre investire in (a) abilità digitali, (b) abilità comportamentali e (c) conoscenze applicative”.
Di che si intende per abilità comportamentali nel testo non compare traccia.

C’è poi un affondo sull’orientamento e allora spero che qui emerga una relazione umana e individuale, ma con estrema amarezza scopro che “120.000 studenti di età 12-18 anni, per ciascuno dei quali saranno previste sessioni di online mentoring individuale (3h) e di recupero formativo (per 17h ca.)”.
L’orientamento è sicuramente un’azione utile e necessaria per finalizzare al meglio le risorse e ridurre il rischio di abbandono scolastico, ma un orientamento, soprattutto in età evolutiva, non può che fare leva sulla dimensione empatica che non può che svilupparsi in presenza.

E ancora ci si auspica la “realizzazione di una piattaforma digitale di orientamento”. E qui cade il mio sdegno tombale, anzi no, ho ancora un ultimo moto di sdegno quando leggo che le prove INVALSI verranno rese obbligatore.




A scuola chiusa, come sarà la chiusura dell’anno scolastico?

spiraledi Massimo Giugler, psicologo  – Studio Sigre

C’è un tema che mi è parso poco trattato in questi mesi in cui sono stati posti i sigilli agli istituti scolastici: la chiusura dell’anno scolastico 2019/2020. Come sarà? Avverrà a distanza o sarà possibile immaginarsi forme non dico di contatto, ma almeno di presenza fisica?

Trovo che, tra le altre forme di disagio che si possono essere create nei bambini in questo periodo, ve ne sia una che è evidente, ma poco considerata: l’impossibilità di salutarsi tra compagni nel momento in cui la scuola è stata chiusa e l’impossibilità di salutare i loro insegnanti, così come avviene per le vacanze. I bambini sono rimasti a casa, almeno qui in Canavese, per il Carnevale, quindi per un momento ludico.
Poi una prima breve chiusura per virare a chiusure prolungate con il passaggio dei genitori a scuola a ritirare libri e quaderni, quando si è capito che la chiusura sarebbe stata di una certa durata.
E oltre a non essersi salutati prima della chiusura c’è il rischio che non possano farlo nemmeno a giugno.

Trovo necessario che i bambini riescano a vedersi, non per motivi didattici, ma psicologici e relazionali. E’ importante ritrovarsi per condividere ciò che è stato in questi mesi e per gettare un ponte per la ripresa. Trovo pericoloso lasciare aperto questo buco, che può diventare, nel corso dell’estate, una voragine. Non è sano lasciare le situazioni aperte, indefinite, incerte, come è avvenuto in questi mesi, quando si è stati attraversati da continue ipotesi di riapertura. Tutti noi abbiamo bisogno di certezze e ancora di più che vive la fase dello sviluppo. E’ stata già rimarcata da molti l’importanza di determinare i tempi, di tenere i ritmi in queste giornate tutte uguali. Così come lo è sapere quando finirà la scuola e quando e come riaprirà. Sia per noi adulti, sia per loro bambini.

Un altro punto da determinare, da chiudere è la relazione con gli insegnanti e fra di loro. Se vi sono state numerose esperienze in cui i bambini, grazie al dinamismo e all’intraprendenza dei propri insegnanti, hanno potuto vedersi attraverso un video, dialogare tra di loro e con i loro insegnati, ve ne sono altrettante in cui ciò non è avvenuto. Per entrambe le situazioni ravvedo comunque la necessità di uno/due incontri entro giugno per le ragioni che ho già esposto, a cui ne aggiungo una: realizzare un simile incontro equivale inoltre costruire un solido pilone per attraversare l’estate e per creare condizioni favorevoli per il rientro a scuola per l’anno 2020/21. Altrimenti la gittata potrebbe risultare troppo ampia e crollare.

La necessità di incontrarsi risulta ancora più cogente per quei bambini che si trovano nella fase di passaggio da un grado di istruzione all’altro. Se il bisogno di chiudere è evidente per tutte le classi, diventa cogente per quei gruppi che non si possono dire arrivederci. La chiusura del ciclo dell’infanzia, della primaria e della secondaria sono dei passaggi fondamentali nella crescita di un individuo. Credo che tutti ricordiamo l’emozione dei saluti, della consegna dei lavori svolti nel corso dell’anno dai bambini nell’infanzia, la foto di gruppo che si appende per anni in camera e che segna una pietra miliare per misurare il cambiamento negli anni (già mancherà il saggio finale!). O ancora il passaggio di consegna fra gli alunni della V elementare con i relativi investimenti sulla preparazione, la cura del passaggio e primi riti di saluto di gruppo (cena in pizzeria o in casa di genitori disponibili). Significativa è la chiusura della secondaria di primo grado, anche perché il gruppo poi si disperde. Mancheranno quest’anno le feste di chiusura, le scorribande di gruppo in città, la cena in pizzeria, le magliette personalizzate. I ragazzi della maturità avranno, così pare, la possibilità di un esame orale in situazione (pare negato per i colleghi della terza media), dove però mancherà la dimensione del gruppo. Sono anche ragazzi dotati di maggiori risorse, con pluriappartenenze e con possibilità di incontro anche in tempi successivi, in cui la situazione tornerà ordinaria.

Ultima annotazione: viviamo in una società dove i riti di passaggio sono pressoché scomparsi, in cui si rimane in una condizione di eterna gioventù. Conosciamo la valenza di questi riti: danno struttura , identità e legittimazione sociale: rappresentano gli scalini da percorrere nella crescita individuale e nel posizionamento sociale. Non creare almeno un’occasione di incontro significa privarli di un ulteriore sostegno evolutivo.

Mi auguro pertanto che si possano creare le condizioni per cui attraverso un’alleanza fra insegnanti, scuola, genitori, enti locali, si riesca a realizzare almeno un momento di incontro fra i compagni di classe e i loro inseganti, sfruttando gli spazi all’aperto di cui, almeno da noi, tutte le scuole dispongono. E se non fosse possibile per tutte le classi, mi auguro che possa esserlo per quelle che si apprestano a chiudere un ciclo. E ad aprirne un altro.




Educare e insegnare ai tempi del Covid-19. Parla lo psicologo

spiraledi Massimo Giugler, psicologo
Studio Sigre – Ivrea

In Canavese l’ultimo giorno di lezione è stato il 21 febbraio. La chiusura delle scuole per le vacanze di Carnevale si è tramutata in chiusura per la prevenzione della diffusione del Covid-19. Da allora sono trascorsi quasi due mesi e altrettanti ne trascorreranno prima di un’altra chiusura: quella di un anno scolastico decisamente anomalo.

Ma come cambia la scuola in questo nuovo scenario e come cambia di conseguenza il ruolo degli insegnanti? Credo sia necessario porsi questa domanda, prima di declinare le azioni che gli insegnanti possono attivare in questi mesi di chiusura forzata.

E’ necessario partire dal contesto: le scuole, ribadiamo, sono chiuse per un motivo sanitario e gli allievi sono a casa in una situazione di forte restrizione. Convivono forzatamente con i propri familiari in un contesto in cui si respira un’aria di preoccupazione per la salute propria e dei propri cari, per il futuro personale e collettivo, per le conseguenze di questa pandemia, per il lavoro, per la situazione economica. In molte famiglie la preoccupazione è ancora più elevata laddove vi sono dei componenti che svolgono delle professioni sanitarie. In altre famiglie si sono vissuti dei lutti o dei momenti di significativa preoccupazione dovuti ai ricoveri di famigliari in ospedale o per la contrazione della malattia.

I bambini si trovano in mezzo a una tempesta emotiva: anche se i genitori si impegnano a erigere un cordone protettivo, le preoccupazioni transitano e si sedimentano in loro. Spesso i bambini non possono vedere i nonni, o altri componenti della famiglia, con i quali avevano un rapporto significativo. Se hanno i genitori impiegati in professioni sanitarie devono mantenere le distanze di sicurezza: non possono abbracciarli ed essere abbracciati. Possono aver subito un trauma, come i propri genitori, nel caso in cui il nonno sia deceduto. E non lo hanno nemmeno potuto salutare, né accompagnare al cimitero: un sparizione incomprensibile e un vuoto che pesa in famiglia e che aumenta il carico emotivo.
E ancora: non possono uscire per giocare, non possono vedere i propri compagni di scuola, non possono praticare lo sport preferito e frequentare altri compagi di gioco, non possono più seguire fisicamente i corsi ai quali erano iscritti. Il ritmo della giornata è allentato e ciò crea in loro ulteriore disorientamento. Convivono in spazi e situazioni a volte carichi di tensione per le difficoltà di relazione tra e con i genitori o con i fratelli, hanno dovuto adattarsi, in poco tempo, a una nuova modalità di organizzazione della propria vita e, in particolare, di approccio allo studio e alla scuola.
Quando questa è stata chiusa non hanno potuto salutare né gli insegnanti, né i compagni. Non si sono detti arrivederci, né dati un appuntamento certo, come quando la scuola chiude per le vacanze estive. Vivono, come tutti noi, un tempo sospeso, senza una data certa per il ritorno a scuola.

Se esprimiamo quanto detto in termini di BISOGNI dei bambini, li possiamo così sintetizzare:

–          BISOGNO DI RELAZIONE CON FIGURE ADULTE SIGNIFICATIVE “SCOMPARSE”
–          BISOGNO DI CONDIVISIONE CON I COETANEI in forme “NUOVE” proposte dagli adulti
–          BISOGNO DI EMPATIA (DI EMOZIONARSI CON…)
–          BISOGNO DI PROSEGUIRE il proprio PROCESSO di APPRENDIMENTO” (ATTRAVERSO nuovi             STIMOLI alla RICERCA)
–          BISOGNO DI RITMI (anche rituali) CHE LI STRUTTURINO DURANTE LA GIORNATA
–          BISOGNO DI PENSARSI IN UNA PROSPETTIVA FUTURA DI RITORNO ALLA NORMALITA’

Viene allora da chiedersi come possano gli insegnanti riuscire a colmare, almeno in parte, questi bisogni. Ritengo che questa debba essere la sfida, la nuova frontiera. Dal mio punto di vista agli insegnanti viene chiesto un cambiamento significativo, che non è basato sull’apprendimento delle nuove tecnologie. La sfida è come riuscire a rimanere empaticamente connessi ai propri alunni, come continuare ad essere quel punto di riferimento significativo come lo sono stati negli ultimi mesi (o anni), come trasformare la didattica della distanza a didattica della vicinanza.

Provo a suggerire alcune attenzioni, convinto però che l’agire dell’insegnante passa necessariamente dalla connessione con la condizione emotiva dei bambini di questi giorni o, in altre parole, dalla risposta alla domanda posta in premessa: quale diventa il ruolo dell’insegnante ai tempi del Covid-19?
Cito due funzioni: una a livello di singolo bambino, una a livello di gruppo classe.
Credo che sia molto importante che i bambini percepiscano i docenti, che li sentano non solo e tanto attraverso i compiti, ma sentano la loro voce, li possano vedere. La voce è calda, suscita emozioni, conduce a ricordi, lega al contesto scuola che oggi manca. Se poi potessero sentire che la voce, in alcuni momenti, è solo per loro (messaggi personalizzati), si sentirebbero ancor più gratificati e legati alla voce stessa. E ritroverebbero un significativo punto di riferimento.

A livello di gruppo: gli insegnanti possono agire azioni che facciano percepire che la classe c’è ancora, che i compagni sono vivi e stanno bene. Ciò vale soprattutto per la fascia delle infanzia e primaria, dove, almeno fino alle classi V°, non vi è, sanamente, autonomia nell’uso di smartphone e social e quindi contatto diretto con i compagni. Come può essere mantenuta la dimensione classe in una situazione in cui ognuno è a casa sua? Ideale sarebbe la presenza di tutti sullo stesso monitor, con i loro volti, le loro voci: un luogo virtuale che diventa un contenitore. Ma se ciò non è possibile ci si può immaginare altre forme di comunicazione, purché si abbia presente anche l’esigenza dei bambini di percepire il gruppo classe.

Ci tengo ancora ad evidenziare una funzione trasversale che possono agire gli insegnanti: recuperare il legame con il recente passato e dare prospettiva. I bambini hanno una dimensione del tempo concentrata sul presente, fanno fatica, per costruzione cognitiva, a sviluppare un pensiero ipotetico deduttivo che li porti a immaginare il tempo futuro e pongono i ricordi temporali in modo disordinato. Gli insegnanti possono da un lato riproporre, seppur in forma virtuale, abitudini, consuetudini, rituali che erano propri del loro tempo scuola; dall’altro assegnare compiti quali tracciare un ricordo di questi giorni (con foto, disegni, scritti, vocali, video) da tenere e portare poi al rientro a scuola. Un modo per creare una continuità orizzontale che colleghi il presente con il passato e trovare un punto da cui ripartire nel prossimo anno scolastico e ricucire lo strappo che c’è stato.