Patti territoriali per la formazione: la cassetta degli attrezzi

Stefaneldi Raffaele Iosa e Massimo Nutini

 Indicazioni metodologiche, operative e amministrative sull’ampliamento dell’offerta formativa, sulla progettazione, la coprogettazione e la gestione, per la prossima estate educativa.

1. La progettazione della scuola per il ristoro educativo

1.1. Progettare in libertà

Lo sanno bene gli insegnanti saggi: un progetto educativo segue sempre un’idea e un fine. C’è la scuola, il mondo attorno, uno spazio, un tempo… e dentro ci sono loro: le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi.
Un progetto educativo mette in gioco tutto e tutti, non si rivolge a un pezzetto. Ecco perché i modelli predeterminati, i moduli prestabiliti o i progetti acquistati chiavi in mano ci stanno sempre stretti.
La schematizzazione non si adatta all’educazione. La grande intelligenza abbraccia, la piccola discrimina (Chuang-tzu in Zhuang-zi). Ecco perché l’insegnamento ha il dovere deontologico di essere libero (al pari dell’arte e della scienza).
Per la prossima estate e per il rientro a scuola a settembre progettiamo dunque in libertà e rifiutiamoci di progettare su carta millimetrata. 

1.2. Rientro alla vita della scuola e del sé

Tocca prima di tutti agli insegnanti il dovere professionale di svolgere una seria riflessione pedagogica, sociale, curricolare, esistenziale sulla condizione dei loro bambini e ragazzi dopo 18 mesi del tutto eccezionali, inediti e drammatici.

Tocca loro ri-pensarli dopo un periodo che li ha resi altri dal passato e ideare, desiderare, costruire una matassa di idee che sappia produrre un tessuto di azioni positive per un “rientro alla vita della scuola e del sé”, capace di ristorare le ferite educative del periodo Covid ed anzi, il più possibile trar frutto da un’esperienza complicata sia per i giovani che per gli adulti per migliorare la qualità dell’istruzione.

Dunque è dentro questa matassa composta da tanti fili da tirare uno ad uno che si può trarre una trama per svolgere attività didattiche ed educative a partire dalla vicinissima estate. Non un tassello casuale chiuso in sé, fatto tanto per fare, né un risarcimento emotivo, ma qualcosa di più profondo e utile.

La prossima estate potrà avere una scuola attiva come mai accaduto in passato. Attiva e non solo aperta, perché non sarà tanto l’uso fisico delle aule per imitare la solita scuola a darne il senso e il valore, ma l’attivazione di esperienze in ogni luogo possibile dove sia utile fare comunità, apprendimento in situazione, esperienza di vita e di relazioni. Recuperare cioè la vita e ridarle slancio come la giovinezza chiede naturalmente.
Ovviamente ogni scuola avrà una sua lettura specifica della condizione degli allievi. Ben diversa sarà la riflessione sulla condizione tra i bambini di un istituto comprensivo periferico e quella di un istituto tecnico di città. Ma vorremmo tutte legate da un’idea e un fine che risponda ai bisogni effettivi e diversi con risposte originali e proprie di ogni realtà. 

1.3. Puntare alla qualità

Per il collegio dei docenti e per il consiglio d’istituto, va bene (deve andar bene!), all’inizio, un progetto di massima, che sappia individuare e selezionare le idee più importanti e i fini primari da realizzare attraverso una diversa estate.
Per la scuola un progetto iniziale che già intraveda anche cosa potrebbe essere l’anno scolastico prossimo nella loro comunità educante, di cui l’estate in arrivo è il primo tassello.
Il progetto educativo non può essere stabile come un progetto edilizio. In edilizia è un caso raro che le caratteristiche del terreno si modifichino sensibilmente durante la costruzione di un fabbricato.

In educazione è normale invece che tutto cambi, cresca o regredisca, durante l’esperienza formativa: è un effetto desiderato. Certe volte si deve lavorare molto sull’ambiente, sul contenitore, sul contesto, che necessariamente si fonde con i contenuti.
Nel progetto educativo “quel che sarà” non si può sapere prima perché si lavora allo sviluppo di un qualcosa che non conosciamo mai fino in fondo e che non può e non deve essere manipolato: la persona.
Progettiamo con questo spirito anche le attività di recupero delle competenze di base, di consolidamento delle discipline e di ritrovamento della socialità, della proattività, della vita di gruppo, durante dopo il terribile periodo della pandemia.
Lavoriamo con la qualità che siamo abituati a conoscere e spendiamo meno tempo possibile a riempire moduli. 

1.3. La regia deve rimanere alla scuola

I governanti, locali, nazionali ed europei, prima o poi, dovranno imparare che la standardizzazione nella scuola equivale alla sua negazione (solo per dirne una: anche la modalità di rendicontazione europea adottata dai PON non va bene per la scuola e deve essere cambiata).
Anche per questa estate pensiamo a progetti dinamici, flessibili, personalizzabili, modulari e modulabili in relazione a tutti i variabili fattori che incideranno sui processi educativi che potranno essere messi in atto, dalla quantità di risorse che avremo a disposizione alle persone tutte, piccole e grandi, che concretamente faranno parte dei gruppi con i quali potremo trovarci a operare.
Ecco che la scuola, in un progetto come quello di cui stiamo parlando, può fare un pezzo e non il tutto ma dovrebbe tenere per sé la regia metodologica orientando le diverse attività a realizzare percorsi di sviluppo cognitivo, formativo ed esperienziale.
Infatti, nella produzione di idee e azioni per la prossima estate, la scuola ha da subito la necessità di confrontarsi con ciò che già c’è o è in cantiere nel proprio territorio. Questo per iniziare da subito a pensarsi come comunità dialogante, evitare doppioni, saper calibrare i tempi delle diverse possibili esperienze di vita e socialità dei nostri ragazzi.

Se il periodo è dal 15 giugno al 15 settembre, la scuola può gestire una piccola parte del tempo estivo, distribuita nei modi più diversi, ma può anche partecipare ad una cabina di regia pedagogica di supervisione e condivisione di tutte le attività, comprese quelle gestite da altri.
E poi, non è detto che da questi altri non possa anche arrivare qualche insegnamento per la scuola stessa. D’altra parte nessuno è più capace di noi nell’essere ricettivo. 

1.3. L’analisi del contesto e le situazioni di partenza

In questa primissima e decisiva fase di riflessione e ideazione, è anche utile realisticamente svolgere un’analisi onesta dei potenziali effettivi che la scuola si sente in grado di realizzare.
Conterà, ad esempio, molto quali e quanti insegnanti saranno disponibili volontariamente a dare corpo pedagogico a queste esperienze. Inutile negarlo, questa variabile condizionerà la quantità e la tipologia di moduli di esperienze possibili.
Conterà, inoltre, a quanti e quali bambini e ragazzi si intenderà rivolgere la proposta educativa, se a tutti o no, a partire naturalmente da chi ha più pagato il confinamento di questi 18 mesi.
Conterà anche l’adesione delle famiglie, e certamente sarebbe quanto mai prezioso se le “idee” e le iniziative in cantiere fossero condivise e magari (nel limite dell’età) co-progettate con i bambini e i ragazzi stessi. Non persone-pacchetti da spostare di qua e di là, ma persone (qualsiasi sia l’età) con desideri e pensieri da rispettare e coltivare.
Conterà, naturalmente, l’appetibilità sociale, il significato umano e di comunità che l’idea pedagogica di base diffonderà come finalità e pratica delle esperienze estive.

E a questo punto, definito in linea di massima il progetto pedagogico, conterà il dialogo interistituzionale che questa progettazione–base aprirà con l’ente locale, il territorio, la società civile, l’associazionismo per trovare le alleanze giuste, in un quadro il più armonico e unitario (la trama del tessuto di cui sopra) con tutte le iniziative locali del periodo.

2. La coprogettazione nella più recente normativa

2.1. La coprogrammazione e coprogettazione con i soggetti del terzo settore

Per quanto attiene al significato pedagogico e metodologico vale, per la coprogettazione quanto appena detto per la progettazione educativa.
Dal punto di vista amministrativo, invece, la coprogettazione apre ad un futuro che permetterà di realizzare una progettazione integrata con gli altri soggetti del territorio, anche permettendo facilitazioni importanti dal punto di vista procedurale.
Al momento non è un procedimento semplice da utilizzare perché non sempre sono presenti le normative regionali e i documenti di coprogrammazione quadro che dovrebbero essere adottati a livello di zona. Non si esclude però che sia possibile, anche in assenza di tali provvedimenti, effettuare, per chi volesse intraprendere questa strada, delle prime esperienze. 

2.2. La coprogettazione nel Codice del Terzo settore

La norma di riferimento è il Codice del Terzo settore (decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, artt. 55 e 56) il quale stabilisce che “In attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni […] assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di coprogrammazione e coprogettazione e accreditamento”, specificando che “La coprogettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti”.

A tal fine “l’individuazione degli enti del Terzo settore con cui attivare il partenariato avviene anche mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l’individuazione degli enti partner”.

2.3. L’espressione della Corte Costituzionale

Vale la pena di ricordare anche una recente espressione della Corte costituzionale (sentenza 26 giugno 2020, n. 131) nella quale è stata affermata l’aderenza al dettato costituzionale della previsione del codice del Terzo settore, rilevando che la coprogettazione, “rappresenta una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.” in quanto “valorizzando l’originaria socialità dell’uomo […], si è voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini”.

Il rapporto fra Codice del Terzo settore e Codice dei contratti pubblici è stato oggetto di un’ampia discussione negli ultimi anni. In particolare, si è dibattuto circa l’utilizzo di istituti quali la co-progettazione e la convenzione, con i quali la pubblica amministrazione può coinvolgere i soggetti del privato sociale nella gestione di servizi che avrebbero altresì potuto essere affidati con procedure contrattuali.

2.4. I riferimenti alla coprogettazione inseriti nel Codice dei Contratti

Su questo è intervenuto il decreto legge Semplificazioni (decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, come convertito con legge 11 settembre 2020, n. 120, art. 8, comma 5) ha inserito alcuni riferimenti al Titolo VII del Codice del Terzo settore – quello appunto che disciplina i rapporti con gli enti pubblici – nel corpo del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50).
In particolare: il comma 8 dell’art. 30, che reca i “principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni” precisa oggi che, per quanto non espressamente previsto dal Codice stesso, “alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici nonché di forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241”; il comma 1, dell’art. 59, che disciplina le procedure di scelta del contraente, il quale afferma che “nell’aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte o ristrette”, ha adesso un inciso iniziale di questo tenore “Fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117”; La stessa clausola viene inserita al comma 1 dell’art. 140, che disciplina gli appalti dei servizi sociali.

2.5. Una nuova modalità da utilizzare, in particolare per il futuro

Si apre ora una nuova possibilità per l’utilizzo della coprogettazione, che permetterà il coinvolgimento di numerosi soggetti operanti sul territorio e che permetterà di confrontarsi con la sfida della misurabilità del valore apportato da tali soggetti.
La coprogettazione, quindi, non deve essere intesa unicamente come una scorciatoia per evitare l’evidenza pubblica nella scelta del concessionario di un servizio, bensì come un istituto teso a valorizzare l’esperienza e la vocazione della sussidiarietà nella progettazione e realizzazione degli interventi, nell’ambito di una procedura che dovrà comunque essere caratterizzata di principi di trasparenza, pubblicità e non discriminazione, anche nel momento della scelta del soggetto o dei soggetti con i quali avviare un’esperienza di partenariato.

3. I patti comunità

3.1. Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa

Il “Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione – Piano scuola 2020-2021” (decreto ministeriale 26 giugno 2020), contiene la seguente indicazione: “Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa. […] Per la più ampia realizzazione del servizio scolastico nelle condizioni del presente scenario, gli Enti locali, le istituzioni pubbliche e private variamente operanti sul territorio, le realtà del Terzo settore e le scuole possono sottoscrivere specifici accordi, quali «Patti educativi di comunità»… Dando così attuazione a quei principi e valori costituzionali, per i quali tutte le componenti della Repubblica sono impegnate nell’assicurare la realizzazione dell’istruzione e dell’educazione, e fortificando l’alleanza educativa, civile e sociale di cui le istituzioni scolastiche sono interpreti necessari, ma non unici…”.

I Patti educativi di comunità trovano il loro fondamento nei principi costituzionali di solidarietà (articolo 2), comunanza di interessi (articolo 43) e sussidiarietà orizzontale (articolo 118, comma 4), per irrobustire alleanze educative, civili e sociali di cui la scuola è il perno ma non l’unico attore. Mediante i Patti educativi di comunità, le scuole “possono avvalersi del capitale sociale espresso da realtà differenziate presenti sul territorio – culturali, educative, artistiche, ricreative, sportive, parti sociali, produttive, terzo settore – arricchendosi in tal modo dal punto di vista formativo ed educativo” (Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro, 13 luglio 2020, rapporto finale del comitato di esperti istituito con decreto ministeriale 21 aprile 2020, n. 203), 

3.2 Natura e contenuti dei Patti

I Patti di comunità sono libere intese che possono essere sottoscritte fra cittadini (singoli o associati) e amministrazioni pubbliche per la realizzazione di collaborazioni volte alla promozione dell’interesse generale, mediante la tutela e la promozione di beni e servizi funzionali allo svolgimento della vita sociale delle comunità, permettendo di coinvolgere i membri della comunità stessa nelle decisioni e nelle azioni che li riguardano. La scuola è uno dei principali beni di comunità e, pertanto, costituisce ambito privilegiato per possibili collaborazioni fra cittadini e Amministrazioni comunali.

I Patti educativi di comunità: “1) favoriscono l’esercizio del principio di sussidiarietà; 2) sono fonti del diritto pubblico (tipicamente regolamenti comunali); 3) costituiscono occasioni di costruzione di comunità fra i cittadini; 4) realizzano un potente fattore di innovazione sociale, culturale e anche amministrativa. Ovviamente, i Patti di comunità (per loro natura stipulati fra soggetti pubblici e privati) differiscono dalle intese fra pubbliche Amministrazioni miranti a stabilire fra loro, mediante conferenze dei servizi, forme di cooperazione volte a snellire l’azione amministrativa. Differiscono pure dalle intese che le istituzioni scolastiche possono siglare in ragione del DPR 275/1999”. (Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna, 19 agosto 2020, nota n. 12.920)

Il “Piano scuola 2020-2021” suggerisce la stipula di patti per favorire la messa a disposizione di strutture o spazi (parchi, teatri, biblioteche, archivi, cinema, musei, etc) al fine di potervi svolgere attività didattiche complementari a quelle tradizionali e, più i generale, per sostenere la costruzione di collaborazioni con i soggetti territoriali che possono concorrere all’arricchimento dell’offerta educativa.

Il livello territoriale può essere molteplice: dal patto della singola scuola con il singolo Comune ai patti di quartiere, di reti di scuole e altri enti pubblici e privati, per ambiti tematici o territoriali, anche sovracomunali.

3.3 Le condizioni per la stipula di un Patto efficace

Come suggerisce un’importate documento predisposto e diffuso dalla rete EducAzioni, i Patti, per essere efficaci, dovrebbero essere preceduti da un lavoro preliminare relativo a:
“- ricognizione delle risorse sociali, civiche, culturali presenti nel territorio e disponibili a contribuire alla costruzione della «comunità educante», dalle organizzazioni del terzo settore e dell’associazionismo civico alle parrocchie, ai centri sportivi, fino ai vigili urbani e ai negozi di prossimità, senza limitarsi ai soggetti di rappresentanza istituzionale e sociale;
– analisi dei bisogni e delle specifiche necessità del territorio sotto il profilo dei diritti delle bambine, dei bambini e degli adolescenti, e del contrasto alle diseguaglianze educative, con una chiara definizione degli obiettivi da raggiungere, attraverso una integrazione tra i percorsi educativi curriculari ed extracurriculari; piena condivisione tra gli attori coinvolti, a partire dalle scuole – che hanno un ruolo guida nel processo – gli enti locali, le aziende sanitarie, gli studenti, le famiglie, il terzo settore, i soggetti attivi sul territorio in campo culturale, sportivo, ricreativo e soggetti del mondo produttivo interessati;
– condizioni organizzative che rendano concretamente possibile l’operatività del Patto, favorendo la flessibilità nell’utilizzo degli spazi e degli orari del personale a diverso titolo coinvolto, e la chiara definizione del quadro delle responsabilità di ciascun soggetto;
– quantificazione delle risorse finanziarie che consentano l’ampliamento non solo del tempo scuola, ma anche del tempo educativo, a cui ciascun bambino o adolescente ha diritto”

(Reti di associazioni che convergono sul documento EducAzioni, Condizioni per un buon patto educativo di comunità, 27 luglio 2020) 

3.4. La centralità della scuola

Le attività che potranno essere organizzate in quest’estate, nel periodo di interruzione del calendario scolastico, potranno essere gestite collettivamente, nel loro insieme, da tutti i soggetti, oppure gestite in parte dalla scuola e in altra parte da altri partecipanti al Patto.
Qualsiasi modalità organizzativa sia adottata è necessario che il ruolo della scuola sia rafforzato e valorizzato per la sua professionalità nel programmare e gestire progetti con valenza educativa e di ampliamento dell’offerta formativa.
Le scuole come luogo fisico, inoltre, potranno rappresentare un prezioso punto di riferimento, già conosciute dai/dalle bimbini/e e dai/dalle ragazzi/e, e dai loro genitori, per essere base logistica di tutte le attività, comprese quelle che poi potranno comportare uscite sul territorio.

 3.5. L’estate inclusiva

E tuttavia, i Patti educativi di comunità contengono due valori di grande valenza civile e politica, che vanno bel oltre la prossima estate, cui dobbiamo necessariamente soffermarci.
Fortunatamente, e se ci si crede, questa estate strana, con le scuole attive nel territorio, potrebbe creare condizioni sociali ed educative tali che le diverse azioni che si realizzeranno potrebbero risvegliare e valorizzare un pensiero fecondo che il tempo ha logorato, ma molto vivo nella pedagogia degli anni ’60 e ’70: il sistema formativo integrato.
I Patti educativi di comunità potrebbero essere il prologo non solo per una buona estate collaborativa ma anche di un sistema di relazioni e collaborazioni stabile tra le scuole e il loro territorio. Significa considerare tutto il territorio, nelle sue diverse forme e pratiche, come spazio educativo comune e la scuola come attore del e nel territorio per la costruzione del civismo, della relazione tra generazioni, della cultura diffusa. Una scuola che sa trarre dal territorio ispirazione, spazi e opportunità per uscire dalla aule mentali delle didattiche frontali e isolate dal contesto e farsi invece soggetto attivo di produzione culturale orizzontale.
I Patti educativi di comunità sono inoltre una spinta obiettiva a “fare squadra” a fronte delle tante e diversificate condizioni di difficoltà ed emarginazione già presenti nel territorio e accentuate dall’epidemia. Un territorio che in diverse forme, cioè, si prende in carico e in comune (avverbio, sostantivo, aggettivo) tutte le situazioni di maggiore fragilità individuali e familiari (disabilità, alunni stranieri, povertà educativa, ecc..).

L’occasione, insomma, per ristabilire, o rafforzare, una migliore alleanza per non lasciare indietro nessuno neppure i più dotati anche perché le doti richieste nell’estate potrebbero non essere le stesse di quelle dell’inverno…
Dunque, la presa in carico delle tante eterogeneità che diventa sfida culturale e civica che la scuola da sola o il territorio da solo mai potrebbero garantire.

4. Il percorso amministrativo

4.1. Le delibere necessarie

Le segreterie degli istituti scolastici dovranno mettere in atto le procedure amministrative affinché le attività si possano realizzare al meglio, anche dal punto di vista formale.
Sia il POF annuale sia il PTOF triennale dovranno essere variati e quindi il primo atto sarà una delibera del Collegio dei Docenti. Nella delibera del Consiglio d’Istituto, infatti, quando si approverà il progetto, si inizierà con “vista la delibera del collegio dei docenti del etc etc”.

 4.2. L’impiego del personale della scuola e la contrattazione d’istituto

L’approvazione da parte del Collegio, in questo specifico contesto come in generale quando si tratta di ampliamento anche quantitativo dell’offerta formativa, non significa assolutamente un vincolo per i docenti di partecipare all’attività che rimangono, per loro, facoltative. È peraltro evidente che, con molta probabilità, una buona parte delle attività saranno affidate a soggetti esterni all’amministrazione scolastica.
Ciò, naturalmente, non esclude che il dirigente scolastico abbia gli strumenti per garantire che alcuni spazi (orari? giornalieri? settimanali? un solo periodo in tutta l’estate?) siano riservati ad attività gestite dai docenti, o anche dai docenti, la cui prestazione aggiuntiva dovrà essere retribuita secondo le modalità e i termini del contratto di lavoro.

Diversa, invece, la modalità di impiego del personale ATA. Una volta definita, e approvata, la progettazione di massima, si dovrà svolgere una contrattazione con le RSU di istituto per definire le modalità di organizzazione e distribuzione delle attività extra mansionario e delle intensificazioni di lavoro richieste al personale amministrativo, tecnico e ausiliario, ed il salario accessorio che ne consegue.

Ci sarà molto lavoro per i collaboratori scolastici ma, in particolare in quest’anno, è molto probabile che la proposta trovi la loro favorevole adesione perché (tra presenza di organico Covid e sospensioni delle attività in presenza) non hanno accumulato quel numero di ore di straordinario che permettevano loro di recuperare qualche giorno di riposo in più da aggiungere alle ferie estive. Loro non potranno sottrarsi, dovranno lavorare, ma potranno ottenere qualche compenso aggiuntivo.
La gestione logistica dovrebbe in ogni caso rimanere alla scuola che potrà effettuare l’accoglienza, con i collaboratori scolastici, e non delegare il tutto (concedendo unicamente l’edificio) altrimenti non sarebbe un reale ampliamento dell’offerta formativa della scuola.

4.3. Protocolli di sicurezza

In relazione all’andamento epidemico dei prossimi mesi, potrà essere necessario anche rivedere il DVR aggiuntivo Covid-19 che gli istituti hanno già elaborato.
Per le attività estive, sempre in relazione alla situazione in cui saremo nel periodo interessato, saranno necessarie precise indicazioni nazionali, supportate da un parere tecnico del Comitato Tecnico Scientifico, affinché siano chiare le modalità da adottare per contrastare la diffusione del contagio.
In particolare, sarà necessaria massima chiarezza in relazione ai protocolli da adottare ovvero se le misure raccomandate rimangono quelle specifiche per la attività scolastiche ovvero se devono essere adottate quelle elaborate per i centri estivi ovvero, infine, se sarà predisposto un documento dedicato.

 4.4. Il Patto e la progettazione esecutiva

Una volta definiti i progetti e gli accordi sindacali, che sono condizioni preliminari di fattibilità, se è previsto il coinvolgimento degli enti locali, in relazione agli obblighi loro spettanti per legge oppure in relazione alla definizione condivisa di modalità e contenuti del progetto, sarà necessario relazionarsi con l’ente locale di riferimento e definire gli opportuni accordi nelle forme che saranno ritenute, congiuntamente, utili o necessarie. Se vi sono altre realtà operanti nel territorio, si potranno definire protocolli e accordi di massima anche con questi.

Quando saranno noti i finanziamenti di cui si potrà disporre e le altre risorse a disposizione, anche assegnate dagli altri soggetti partecipanti all’iniziativa, si disporrà di un quadro ben definito delle finalità (collegio dei docenti), degli indirizzi generali (Consiglio d’Istituto), dei vincoli sindacali (Accordo con RSU), delle risorse interne (Personale disponibile e risorse economiche ottenute) ed esterne (accordi con enti locali e terzo settore) e si potrà procedere alla progettazione esecutiva dell’iniziativa.

Una volta definito il progetto nel dettaglio si potrà passare al reperimento di quanto necessario per la realizzazione dell’iniziativa. A parte gli approvvigionamenti di beni, di consumo e non, che tutti gli uffici amministrativi sono in grado di effettuare con relativa semplicità, c’è il reperimento di risorse umane, specifiche professionalità o servizi.

Se vi sarà necessità di un esperto, non è necessario utilizzare il codice dei contratti perché sarà sufficiente utilizzare l’art. 7 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il quale prevede che “per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione” che impartisce unicamente questa indicazione: “Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”.
Si tratta di procedure molto semplificate.

Se il progetto, o una parte di esso, dovrà essere realizzato da altri soggetti si potrà tentare il percorso della coprogettazione e corealizzazione (si veda la parte di questo scritto a ciò espressamente dedicata) oppure potrà essere affidato a enti del terzo settore e imprese sociali, svolgendo una procedura aperta con un avviso pubblico nel quale l’istituto renda note quali sono le necessità e informi dell’intenzione di attribuire un punteggio alla qualità (es: sviluppo della progettazione, esperienza dell’impresa, degli operatori, certificazioni possedute, etc.) ed un punteggio, di molto inferiore, al prezzo. Anche questa è una procedura semplice. Ove necessario, non è escluso che, già nell’avviso, si informi il soggetto cui sarà affidato il servizio che dovrà lasciare degli spazi per l’inserimento di attività che saranno svolte e gestite da docenti che si rendono disponibili. 

4.5. Modulistica amministrativa

Per quanto riguarda i modelli di atti, il Ministero ha già fornito modelli di deliberazioni, di determinazioni, etc., che potranno essere adattate anche alle attività di cui stiamo parlando.
Recentemente, con nota 10 marzo 2021, n. 5465, l’Amministrazione ha informato di aver avviato un percorso per supportare le Istituzioni scolastiche nell’espletamento delle attività amministrative di maggiore complessità e ha reso disponibile il nuovo applicativo SGA (Sistema di Gestione degli Acquisti) che supporta le scuole per le fasi di Programmazione, Avvio delle procedure, Aggiudicazione, Stipula del contratto, Esecuzione del contratto, consentendo di predisporre una documentazione automatizzata, con riferimento a: Determina di acquisto per affidamento diretto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), del D.L. 76/2020, mediante richiesta di preventivi); Determina di acquisto per affidamento diretto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), del D.L. 76/2020, mediante trattativa diretta MEPA; Verbale di regolare esecuzione per approvvigionamento di beni, acquisizione di servizi e esecuzione di lavori.

 4.6. Rendicontazione

Una volta conclusa l’attività ci sarà da fare la rendicontazione qui viene un nodo dolente. Se sono soldi del Ministero si dovrebbero poter evitare le infernali modalità di rendicontazione cui gli istituti scolastici sono obbligati dai PON.

Per la rendicontazione di tutte le risorse stanziate per le iniziative di ampliamento dell’offerta formativa, quindi, sarebbe importante che fossero adottate le stesse procedure semplificate che sono state disposte per i 150 milioni che sono andati ad incrementare il fondo per il funzionamento e che prevedono l’utilizzo della piattaforma PNSD (piano nazionale scuola digitale), già utilizzata per le rendicontazioni dei diversi finanziamenti Covid-19, confermando anche la previsione secondo la quale i Revisori dei Conti accedano informaticamente alle documentazioni e appongano il visto con la stessa metodologia senza la produzione di alcun documento cartaceo.

Non sarebbe male, inoltre, che una semplificazione del genere fosse realizzata anche per i fondi PON in quanto la complessità di rendicontazione di tali fondi produce, alla fine, minore attenzione alla qualità e, qualche volta, anche rinunce a realizzare iniziative.




Patti territoriali per la formazione: il ristoro educativo

di Raffaele Iosa e Massimo Nutini

Proposte pedagogiche sull’ampliamento dell’offerta formativa per la prossima estate, da realizzare con le risorse del Decreto legge Sostegni

 Le cospicue risorse stanziate dal D.L. Sostegni (1) rappresentano un’ opportunità per realizzare pratiche educative inedite nella storia della scuola, a patto che si evitino fraintendimenti tra scuole e territori, e tra gli insegnanti stessi, sugli obiettivi  pedagogici richiesti da questa difficile epoca.(2)

Se vi sarà lo spirito giusto, dagli insegnanti al Ministero, dai sindacati agli enti locali, fino al terzo settore, potremmo pensare che i 300 milioni stanziati(3) per l’ampliamento formativo in estate e in autunno potranno rappresentare un primo ristoro civile alle ferite educative, sociali, psicologiche, e anche curricolari, che i nostri bambini e ragazzi hanno subito in questi difficilissimi mesi.

Lo chiamiamo appunto ristoro perché è una risposta dello Stato di aiuto all’educazione, e come tale simile ai ristori finora erogati alle diverse categorie che hanno subito perdite a causa della pandemia. Ristoro come boccata di energia per ripartire.

  1. Riflessioni sull’emergenza educativa

Quale azione pedagogica è necessaria affinché il ristoro educativo sia efficace e ricostituisca fiducia tra educazione e società? Per rispondere alla domanda, sarà necessario iniziare da una realistica analisi di cosa i nostri bambini e ragazzi hanno pagato sul piano del loro sviluppo da marzo 2020 ad oggi, evitando il rischio di una deriva medicale delle loro ferite, come fosse una questione clinica.

Se si osserva la scuola solo con l’arida visione del curricolo hard, cioè quello del “io spiego, tu a casa studi, poi compiti o interrogazione”, si può per paradosso dire che in questo anno scolastico, anche se tormentato, gli studenti hanno subito una sorta di iper-curricolo, sia in presenza sia online, perché le condizioni materiali  hanno ridotto le relazioni, l’attivismo nell’apprendere, lo scambio. Insomma di quell’ambiente fatto di contenuti mescolati a relazioni ed esperienze vive.

Naturalmente il prof. dell’ “io spiego, tu a casa studi, poi compiti/ interrogazione” può dire che così basta, ma sono molti gli insegnanti che invece segnalano una fatica inaudita, tra maschere e aule rigide, quarantene varie, andata e ritorno in Dad…  Il curricolo hard non è mancato, anzi!

È mancata però la scuola come luogo di vita e formazione, chiusa nel formale recinto istruttivo.

E sono aumentate le diseguaglianze, oltre che la solitudine individuale. Va ricordato che in alcune regioni non si è fatto quasi mai vita d’aula. Dei ragazzi con disabilità merita altrettanto dichiarare la sconfitta ad una qualche dignitosa inclusione, a parte qualche generosa eccezione. Ma c’è di più: nessun ragazzo italiano ha fatto uscite didattiche, visite a musei, progetti locali, ecc..

Oltre la scuola ai nostri giovani  è mancata la piscina, la palestra, le attività sociali; hanno girato se possibile nei centri commerciali,  accolti con notevole maldicenza. Sono stati chiamati untori.

Quindi? Alla luce di tutto questo chiudiamo le scuole a giugno e arrivederci a settembre? Lasciamo loro al quasi nulla del tempo estivo, se non dove possibile centri estivi e guardiania sociale senza attenzione a  ciò che è mancato? Non è  normale, questa estate, a fronte anche di milioni di italiani impoveriti che non hanno risorse neppure per farsi un po’ di ferie in famiglia fuori casa? Ritorniamo a scuola a settembre, sperando che le vaccinazioni funzionino, e riprendiamo il tran tran come se niente fosse successo?

A fronte dello sfondo esistenziale e sociale fatto di ferite  subite dalle nostre bambine e bambini e dalla nostre ragazze e ragazzi, è forse il caso di organizzare qualcosa di più e di meglio.

Il Decreto Sostegni permette di realizzare azioni di ristoro educativo inedite, che coinvolgano non solo la scuola ma anche tutto il territorio negli ormai noti “patti di comunità”.

  1. Può la scuola restarne fuori?

Può la scuola restarne fuori sostenendo che a lei tocca l’anno scolastico compiuto nella forma ma non nella sostanza pedagogica? Può la scuola sottrarsi ad una seria riflessione pedagogica sulla condizione dei propri alunni e studenti ed ingaggiare l’anima e l’azione educativa per  almeno un primo ristoro di tutte le condizioni esistenziali, formative e cognitive ferite da quest’epoca triste?

Non si tratta solo della prossima estate ma anche e sicuramente del prossimo anno scolastico e tocca anche al territorio civile e sociale riflettere su cosa sia possibile fare con azioni riparative dall’infanzia all’adolescenza, che se non leniranno tutto il dolore potranno almeno dare spinte positive e segnali che, in questo Paese, qualcuno si preoccupa davvero delle future generazioni. Non farlo confermerebbe, drammaticamente, che il nostro non è un Paese per giovani,  e spiegherebbe anche perché gli italiani non fanno quasi più figli.

Il Governo sta per assegnare fondi consistenti direttamente alle scuole per ampliamenti dell’offerta formativa che  potranno andare oltre lo stretto ambito del normale anno scolastico. Impossibile far finta di nulla. Dentro a questo finanziamento si può leggere un’idea del cosiddetto curricolo ben più ampia delle aride versioni hard di molte pratiche di quest’anno. Riguardano la dimensione dell’apprendimento e della socialità come un tutt’uno del sistema scolastico, sia nella sua dizione formale di “istruzione e formazione” sia in quella fattuale. Le azioni proposte infatti servono al ristoro non solo per “l’extracurricolo, il recupero delle competenze di base, il consolidamento delle discipline” ma si accompagnano giustamente “alla promozione di attività per il recupero della socialità, della proattività, della vita di gruppo delle studentesse/ studenti”. 

Non si tratta quindi di un banale recupero (le solite ripetizioni) ma di ben altro. E’ il riconoscere che istruzione senza educazione, l’assenza di relazioni significanti tra pari, la conoscenza senza esperienze condivise e ricerca sul campo sono la fine della scuola. Perché viene a mancare il mix basico e non accessorio su cosa sia una scuola democratica e  la comunità educante che  in questi mesi è sfiorita. Apprendere è un fatto sociale, ci insegna Lev Vigotsky, e tocca tutti i lati umani.

SI tratta  di un impegno straordinario ma anche strategico. Se la scuola non si muovesse in qualche modo, pur con i limiti del tempo, si confermerebbe la tendenza politica, in atto da tempo, che considera la scuola ormai  incapace di formazione, ma un soggetto di mera istruzione.

  1. Può la scuola delegare altri?

Vediamo il rischio di rimpicciolirne la funzione civile della scuola a banale trasmissione, affidando ad altri (il terzo settore? Le cooperative sociali?) la dimensione educativa e formativa. L’assenza di uno slancio pedagogico della scuola, proprio in questi momenti, sarebbe l’anticipo di un suo declino pubblico e la conferma che aveva ragione chi si era ripromesso di rimpicciolirla. C’è un mondo fuori dalla scuola che non vede ora di impossessarsi della gioventù, un pullulare di soggetti oltre i tradizionali schieramenti politici. Vogliamo delegare a questo le finalità educative?

Naturalmente il ristoro per bambini e giovani non riguarda solamente la scuola, ma tutto il territorio, sia pubblico (l’ente locale) sia sussidiario (il sociale), ma ciò deve avvenire in una logica di co-progettazione e partecipazione, di arricchimento delle opportunità e non di separazione.

I patti di comunità, territoriali  ed educativi, sono l’alveo in cui la scuola esercita il suo ruolo non separando a canne d’organo le diverse azioni né lasciando stare perché ci pensano gli altri.

Non sono poche le difficoltà da superare, e c’è ancora spazio e tempo per sperare che i provvedimenti attuativi del Decreto  operino per semplificare la parte amministrativa affinché questa rimanga, com’è giusto e necessario, in secondo piano. Si devono rendere abbordabili le modalità di accesso ai finanziamenti, sveltire le procedure, prevedere modalità di rendicontazione non burocratiche ma qualitative. Molto dipenderà dal previsto decreto interministeriale.

Fin da adesso, però, è necessario affrontare gli aspetti più squisitamente pedagogici che devono essere elaborati dagli insegnanti per realizzare un’azione efficace.

Tocca infatti in primis ai nostri insegnanti questo lavoro, nella consapevolezza che non potranno mai realizzarsi esperienze di ampliamento dell’offerta formativa con lo spirito indicato dalla norma, senza una relazione di comunità con le risorse del loro territorio. Ma, al contempo, gli insegnanti non potranno mai realizzare con successo queste esperienze se non nascono da loro, dalla loro professionalità e sensibilità civica. È ben chiaro che gli insegnanti potrebbero anche non fare nulla e che lo scenario attuativo prevede inevitabilmente azioni di volontà, pur giustamente incentivate, ma nelle prossime settimane si opereranno queste scelte.. Molto potrà dipendere dalla qualità (e non dalla quantità) delle idee e delle proposte che sarà possibile portare avanti.

  1. Iniziare a progettare

Lo sguardo  per progettare queste attività parte  ovviamente dai nostri bambini e ragazzi e da un’attenta riflessione sulla loro condizione esistenziale,  familiare, sociale, scolastica, delle reti amicali. Meglio ancora sarebbe se più attività possibili fossero condivise e progettate insieme a loro. Riconoscendo  un’emergenza educativa senza precedenti,    per cui  agire il meglio possibile. Non una gabbia afosa a fare noiose ripetizioni, non una guardiania per farli correre nei giardini, né banalità amene per far passare il tempo. Ma socialità creativa, esperienze inclusive che lascino il segno. Perché i bambini e i ragazzi possano dire “ma allora contiamo qualcosa!”.

Ci vogliono idee il più possibile creative ed emozionanti anche per noi adulti; ci vuole un’attenta riflessione sui punti crisi dei nostri studenti che non sono certo solo quelli curricolari, ma la relazione educativa e amicale, il loro stato d’ animo  di straniamento dentro la pandemia.

Dunque serve una cura  a monte per decidere iniziative che servano davvero, non per re-imbottirli di ripetizioni, né per fare animazione da loisir tanto per fare. No: esperienze formative vere, nelle dimensioni socio-educative che sono non solo emozioni ma anche conoscenza, riflessione, ricerca.

  1. Regole essenziali  per la qualità educativa

I paradigmi organizzativi e pedagogici che dovrebbero stare alla base della progettazione educativa di queste attività sono per noi molto semplici

a. Non possono essere fatte scimmiottando la scuola del tran tran

Non si tratta infatti di allungare l’anno scolastico, ma di allargare le opportunità educative e di socialità. Quindi, anche se si trattasse di attività che contengano un qualche “recupero”, vanno pensate in contesti di apprendimento quasi esclusivamente diversi dall’aula in senso stretto. E’ quindi l’occasione per utilizzare gli spazi aperti, evitando anche l’alibi delle aule calde e senza tende, e vivere invece l’aperto come spazio educativo che allarga la scuola

b. Non è necessario che durino a lungo

Conta la qualità, non la quantità. Dunque: non si tratta di progettare periodi lunghi, ma tempi mirati a realizzare esperienze significative e di intensa valenza formativa. Così sarà anche possibile non entrare in competizione con le altre attività estive previste in molti comuni, ma essere un valore aggiunto, complementare e magari integrato alle altre iniziative.

c. Devono essere attività inclusive.

Pare strano doverlo scrivere, ma lo sottolineiamo. Devono essere centrate  sul gruppo classe o, comunque, di coetanei della stessa scuola, ma nessuno deve mancare, in primis  quei ragazzi con disabilità che più di tutti hanno pagato il confinamento con l’esclusione. La nuova situazione in cui le scuole si troveranno ad  agire sarà ottimale  per realizzare la migliore inclusione di  tutti.
Devono inoltre, il più possibile, essere progettate assieme ai nostri ragazzi, perchè vivano questa nuova esperienza come una cosa loro, con creatività e  non come attività imposta dall’alto.

d. Se fatte con altri, che siamo co-progettate e condivise.

Potrebbe anche accadere il caso della scuola che appalti una qualche attività ad altri soggetti esterni. Ma la scuola non dovrebbe mai tenersi fuori del tutto, non dalla programmazione ma neppure dall’attuazione. Diversamente sarebbe una sconfitta. Merita piuttosto pensare a co-progettazioni di attività svolte sia da insegnanti che da altri operatori, capaci di fare squadra e condividere l’esperienza, insieme, sia di gestire momenti temporali (alcune ore, un giorno la settima, una settimana al mese) in modo autonomo ma coordinato e unitariamente progettato.

e. Sfruttare con intelligenza tutte le risorse del territorio.

È opportuno definire patti di comunità anche per integrare le realtà sociali e culturali del territorio. Il nostro Paese ha spazi, monumenti, cammini, parchi naturalistici, musei a volontà. Spesso non sono usati come e quanto si potrebbe. E’ l’occasione giusta, quindi, perché  si mettano in rete con le scuole e si sentano felicemente sfruttati per aiutare le scuole a realizzare progetti con loro individuati, e anche per molti di questi enti potrebbe essere un risveglio dopo mesi di chiusura.

6. Alcuni casi-tipo come esempi di azioni possibili

Meglio andar per esempi che per teorie. A seguire quattro spunti, direttamente ripresi da scuole che già stanno elaborando prime progettazioni, casi-tipo utili per la riflessione pedagogica che rivelano, oltre che per stimolare  la creatività degli insegnanti, che  non manca.
Non si tratta solo di copiare ma anche di ispirarsi a qualche caso-tipo per inventare progetti propri. Naturalmente (ma questo è altro tema) nei limiti dei protocolli di sicurezza che dovranno essere adottati in relazione alla situazione epidemiologica in cui ci troveremo la prossima estate.

a. In cammino insieme per un buon addio

In una cittadina romagnola, le prof. e i ragazzi delle classi terze, che sono in uscita dalla scuola, faranno tra giugno e luglio un cammino di 5 giorni (e quattro notti) nello stile “Compostela”. Cioè andare tutti insieme lungo un “cammino”, finalmente dopo tanto tempo fuori di casa, tutti insieme giorno e notte, liberi di vivere e comunicare.
L’ipotesi è percorrere un pezzo del  “cammino di Dante” nel vicino Appennino tosco-romagnolo. Una camminata dove incontrare (studiare dal vivo: curricolo en plen air) una natura strepitosa, visitare vestigia del nostro medioevo e rinascimento, ma anche saltare fossi, fare il bagno sotto la cascata di Acqua Cheta (citata da Dante), la notte a vedere più stelle che nella nostra afosa pianura. Non è difficile pensare che servano almeno due insegnanti a classe, meglio se amanti dei “cammini”, ma anche pieni di entusiasmo a rivedere i loro ragazzi tutti insieme. Ma bello sarebbe se ad una tappa passasse il/la dirigente scolastico/a (e perchè no il sindaco?) a salutarli.
La riflessione pedagogica è evidente: a quei ragazzi cui abbiamo tolto la relazione tra pari per lunghi mesi, che a settembre non vedremo più, ma che ci lasciano con la nostalgia del non avvenuto, offriamo un’opportunità di camminare con noi, di condividere giorno e notte gli ultimi giorni di vita insieme. L’anno prossimo si separeranno. Ecco un’avventura che appartiene all’indimenticabile, tarata per preadolescenti che già sognano (e temono) cosa sarà di loro.

E’ ovvio che non è una proposta turistica, ma propria del curricolo dell’andare  nella vita, capace di mescolare contenuti ed esperienze, che loro (di loro c’importa) non dimenticheranno mai.

Naturalmente il patto di comunità trova il Comune partecipe,  il CAI studierà il percorso ed offrirà un’eventuale guida. Per i ragazzi con disabilità si cercherà di superare le barriere e trovare i facilitatori, così si imparerà nei fatti la logica ICF  e l’accomodamento ragionevole della Carta dell’ONU per i diritti delle persone con disabilità. Verranno anche gli educatori già attivi nella scuola, ma rigorosamente nessun genitore al seguito. Da soli, finalmente fuori di casa, a sudare e gioire insieme. Ma perché non anche le altre classi? Perchè no?

A proposito di cammini: in Italia sono in grande sviluppo, si pensi ai tratti della via Francigena o al cammino degli dei tra Bologna e Firenze o la via di S. Francesco in Umbria. Non mancano!

b. la barca come aula di vita

Questa idea può andar bene dai bambini di scuola primaria in su fino alle superiori, nelle città affacciate sul mare o che hanno il mare vicino. O anche un lago.
Conoscere il mare da dentro, viverlo non solo dalla spiaggia, è un’esperienza formativa assoluta, non solo dei termini marinari, la conoscenza dei venti, la tecnica di vela, ma anche il controllo emotivo del sé, del fare squadra. Un curricolo integrale onnicomprensivo.
Dunque: un  corso di vela, durata media una settimana, assieme agli istruttori e agli insegnanti. E alla fine magari un’uscita in barca attrezzata per una notte intera a veder le stelle.

Tra mare e laghi  non mancano scuole di vela, manca spesso un rapporto con le  scuole, per far diventare questa esperienza  formativa e non solo sportiva. Tra l’altro, spesso le scuole di vela hanno costi elevati, e con il Decreto Sostegno si potrebbe allargare la platea dei partecipanti, Stessa possibilità di organizzare il tutto facendo in modo che, per chi vuole, si tratti solo di un modulo di un’offerta temporalmente più estesa, da completare nel centro estivo.

c. Volontariato giovanile, perché no? 

Per i ragazzi più grandi può essere interessante svolgere insieme esperienze di volontariato. Darsi un obiettivo (es. raccolta viveri alimentari, assistere persone deboli,  azioni concrete a favore dell’ambiente). Con una progettazione fatta insieme tra studenti, insegnanti e associazioni.
Fare i conti con il dono gratuito di sé come valore civico inestimabile. E verificarne poi il significato con una riflessione culturale comune nella scuola. Educazione an civismo nei fatti.

Questo agire è  un vero patto di comunità nel senso generale: il giovane  si sente comunità e la fa in concreto. La complementarietà con altre iniziative  estive, in questo caso, potrebbe realizzarsi anche con l’inserimento di queste mini attività al loro interno,  prevedendone momenti ad hoc: un giorno la settimana? due giorni in tutto il mese? Altro?), con  la partecipazione  degli insegnanti a trarre il significato formativo delle attività  per una loro riflessione comune sull’esperienza.

d. Tra sagre e feste paesane

In estate e fino al primo autunno nel nostro paese vi sono numerose feste paesane. Alcune hanno poco di tradizionale, altre invece coinvolgono la comunità locale ed hanno radici antiche. La prossima stagione, se il vaccino ci aiuterà, potrebbe essere la ripresa di molte di queste.

Per il periodo in cui si realizzano non hanno quasi mai la partecipazione delle scuole  con propri eventi ed attività da offrire a tutta la comunità. Potrebbe quindi essere la volta giusta in cui i bambini e i ragazzi  si offrono alla comunità con tutta quella congerie di eventi culturali, estetici, che spesso le scuole producono durante l’anno, ma solo per i genitori. In questo caso si tratta di organizzarsi, ritrovare i nostri ragazzi, lavorare insieme. E il patto di comunità sta nelle cose.

Conclusioni non concluse

I nostri due articoli sul tema del Decreto Sostegni intendono offrire riflessioni, idee e proposte  per una stagione molto difficile che può essere innovativa e un primo ristoro effettivo di carattere formativo ai nostri studenti. I lettori attenti avranno colto il fatto che le quattro esperienze-tipo qui presentate non hanno mai come protagonista la scuola come edificio fisico, ma come strutture base. Contano le persone, la loro voglia di stare insieme e di fare qualcosa di utile.

Naturalmente ci impegniamo a diffondere le buone pratiche che troveremo lungo il paese, e siamo  disponibili a dare una mano se vi sono difficoltà e intoppi di tutti i tipi. Seguiremo anche i decreti attuativi e ne consiglieremo a chi ce lo chiederà la gestione più intelligente e facilitata possibile.

La scuola in comune (aggettivo, sostantivo, avverbio) è la nostra idea di autonomia scolastica. Che questa volta può avere uno slancio come mai prima.

  1. Decreto legge 22 marzo 2021, n. 41, art. 31, comma 6
  2. Raffaele Iosa e Massimo Nutini, Patti formativi per la formazione: dalle parole ai fatti, Gessetticolorati.it, 21 marzo 2021
  3. Oltre ai 150 milioni stanziati dal decreto legge sostegni, ve ne sono almeno altrettanti, utilizzabili per la stessa finalità, dal Programma operativo nazionale «PON Per la Scuola» 2014-2020



Patti territoriali per la formazione: dalle parole ai fatti

Stefaneldi Raffaele Iosa e  Massimo Nutini

Un commento pedagogico e alcune indicazioni operative sull’ampliamento dell’offerta formativa possibile, per la prossima estate, con i 150 milioni di euro previsti dal “Decreto legge Sostegni”

 

 

Dunque, dal Decreto Sostegni del governo Draghi arrivano 150 milioni direttamente alle scuole come primo segno di carattere squisitamente sociale ed educativo per i nostri bambini e ragazzi che da febbraio 2020 ad oggi hanno patito gli effetti sconvolgenti della pandemia da Covid nell’esperienza scolastica, nella vita sociale, nella dimensione esistenziale di crescita.
Tali risorse si aggiungono ad una cifra di circa 175 milioni destinabile alla stessa finalità nell’ambito del Programma operativo nazionale PON “Per la Scuola” 2014-2020.

Una novità assoluta che deve essere ben compresa e attuata

E’ una novità che rischia di non essere capita in tutta la sua potenzialità da molte scuole ed enti locali e forse anche fraintesa. Non siamo più infatti nel periodo delle passioni generose della primavera del 2020, ma in quello (con la seconda e terza pandemia) delle passioni tristi di questo anno scolastico, in cui il clima sociale ed educativo si è complicato e raffreddato anche con la nuova grande chiusura di tutte le scuole delle zone rosse, di cui oggi non è nota la fine, anche se il Governo garantisce che le scuole saranno (auguriamocelo) le prime ad essere riaperte.

Eppure questa novità arriva giusto al momento in cui emerge, giorno dopo giorno, la drammatica emergenza sociale ed educativa fatta pagare ai nostri bambini e ragazzi con ferite non solo curricolari ma anche e forse soprattutto sociali, emotive, esistenziali, proattive.
Tutti aspetti che hanno (eccome) a che fare con l’educazione e con la scuola nel suo offrire quotidianamente, e insieme, istruzione e formazione.

Lo scopo di questi 150 milioni, che si uniscono ai fondi del Programma operativo nazionale PON “Per la Scuola“, è infatti definito con precisione. Si propone alle scuole di attivarsi direttamente per “potenziare l’offerta formativa extracurricolare, il recupero delle competenze di base, il consolidamento delle discipline, la promozione di attività per il recupero della socialità, della proattività, della vita di gruppo delle studentesse e degli studenti” (inserendo a questo punto un “anche” un po’ pericoloso che potrebbe vanificare, almeno in parte, la finalità perseguita) “nel periodo che intercorre tra la fine delle lezioni dell’anno scolastico 2020/2021 e l’inizio di quelle dell’anno scolastico 2021/2022”.

Per tale periodo, si invitano le scuole ad ampliare l’offerta formativa ad ampio orizzonte, facendo riferimento (appunto) ad un celebre articolo del Regolamento autonomia (il 9) molto poco utilizzato (ahimè), in questi venti anni di scarsa autonomia reale, dalle scuole e spesso utilizzato per “progetti” di contorno accessorio e poco connessi alla parte hard del curricolo.

Le risorse in campo, i procedimenti e le tempistiche

Si apprende dalla Relazione tecnica che il finanziamento previsto sarà mediamente pari a circa 45.000 euro per ogni istituto scolastico, considerato che con le risorse PON 2014-2020 si darà copertura a circa il 60% degli istituti mentre il rimanente 40% sarà finanziato, appunto, con i 150 milioni del decreto sostegni.
Tali risorse saranno assegnate, sulla base di un avviso pubblico, prioritariamente alle istituzioni scolastiche statali che manifestano il proprio interesse e che non abbiano già ottenuto un finanziamento, per le medesime finalità, a valere sulle risorse del Programma operativo nazionale “Per la Scuola” 2014-2020.
Se il decreto attuativo del Ministro dell’Istruzione sarà adottato in tempi brevi, si può dire che il finanziamento, questa volta, non arriverà troppo tardi, ma tre mesi prima del suo utilizzo. C’è dunque tempo per riflettere, progettare, diffondere l’idea.

Il successo o meno di questa idea però dipenderà da molti soggetti. In primo luogo, naturalmente, si tratterà di vedere quale sarà la gestione del Ministero e quanta dose di centralismo e di burocratizzazione si vorrà continuare a seminare nel processi attuativi. Da questo punto di vista sarà un banco di prova per il nuovo Ministro e per il nuovo Capo Dipartimento per dimostrare un cambio di passo. Ma dipenderà anche dai sindacati, dagli enti locali, dalla società civile, dal terzo settore, se cioè tutti gli steackholders coinvolti a diverso titolo nell’educazione proveranno, o meno, a costruire e condividere (assieme alle scuole) sinergie significative e di qualità per tentare di restituire quanto perduto e per offrire ancora speranza e risanamento del dolore vissuto.

Risulta evidente infatti che le ferite delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi vissute in questo periodo non sono solo tema della scuola (come fosse l’unico ospedale rieducativo) ma di tutta la società adulta, a partire da quella orizzontale e del territorio composta dai tanti diversi soggetti che si occupano di educazione e giovani.

Vediamo, quindi e innanzitutto, alcuni temi squisitamente pedagogici e sociali, oltre alle prime indicazioni operative,  anche per offrire spunti e idee alle scuole che saranno interessate a candidarsi per questo finanziamento, che è di libera scelta di ogni singola scuola autonoma. Esempi riguardanti l’estate prossima, per quelli durante l’autunno ne parleremo più avanti.

L’estate, i bambini e i ragazzi

Superato il troppo demagogicamente discusso “proseguimento dell’anno scolastico a fine giugno”, il Decreto fa una svolta inedita, mai avvenuta prima e persino coraggiosa: propone alle scuole di essere aperte da metà giugno a fine agosto per realizzare (appunto) originali ampliamenti dell’offerta formativa. Lo richiede quest’epoca così dura ed emergenziale ma è una grande opportunità per praticare, dopo averne parlato tanto, una nuova progettazione e azione educativa sul territorio e con il territorio.

Ma cosa c’è nelle nostre città per l’estate dei bambini e dei giovani? C’è spesso già molto. Non sono pochi i comuni grandi e piccoli che hanno una lunga tradizione estiva di opportunità, anche se, qualche volta, un po’ appannata come qualità. Pullulano le iniziative di carattere animativo-sociali, in primis quelle delle parrocchie e della cooperazione sociale che occupano volontari e educatori, a partire da quelli che seguono gli alunni con disabilità a scuola durante l’anno.

Sono iniziative molto spesso svolte in scuole pubbliche, possibilmente con ampi spazi e giardini, concesse dalle amministrazioni comunali che, tra l’atro, sono anche un modo per mantenere a tanti educatori un salario nei mesi estivi, altrimenti perduto perché il loro lavoro è a cottimo, centrato sull’anno scolastico e sulla presenza o meno dell’alunno con disabilità.

La maggioranza delle attività estive sono a pagamento (si paga per settimana o per mese) e le tariffe variano secondo la tipologia e in relazione all’orario che prevalentemente copre tutta la giornata pur essendo presenti centri che offrono opportunità solo mattutine o solo pomeridiane. In genere si offrono uno/due giorni settimanali in piscina o in montagna o al mare, con almeno uno o due gite interessanti a mese, e varie attività sportive. Se c’è nelle vicinanze un grande parco giochi, non ci si lascia perdete l’occasione…  Spesso, le attività si interrompono nelle settimane centrali di agosto, ma possono offrire servizi anche fino alla prima settimana di settembre. La frequenza è ovviamente calibrata sulle esigenze delle famiglie e sulle loro ferie familiari.

I Comuni garantiscono un finanziamento alle attività che rispondano a determinati requisiti e, anche avvalendosi di contributi statali e regionali, aiutano le famiglie a basso reddito pagando, di fatto, una parte della quota di compartecipazione, naturalmente in base all’ISEE. Tutte le opportunità del territorio sono utilizzate, dalla visita al museo alla giornata al centro equitazione, dalla pomeriggio alla fattoria all’incontro con l’artigiano che effettua lavorazioni in via di estinzione. La maggioranza delle iniziative accolgono bambini dai 3 ai 14 anni, con diverse articolazioni di attività secondo l’età. Si può perfino creare per ogni bambino una specie di estate à la carte. Sono comunque attività a valenza di socialità, proattività, amicizia, esperienze culturali, ma anche di apprendimenti curricolari informali (es. l’inglese, l’arte).

Ci sono poi i nostri giovani da 14 anni in su, e qui la forbice si apre: i figli del ceto medio-alto si fanno la stagione al mare o vanno (andavano prima del Covid) all’estero per corsi di inglese o in vacanze ancora più raffinate in giro per il mondo. Invece I giovani degli istituti professionali e dei ceti medio-bassi si trovano lavoretti estivi (nelle zone in cui questo è possibile) e diverse attività di passatempo. Se ci sono, utilizzano spazi di aggregazione giovanile, offerti spesso dalle parrocchie e da qualche circolo, dove non è richiesto il pagamento di una tariffa.

In conclusione: attività che nulla finora hanno avuto di relazione con le nostre scuole. Tutto questo per dire che dalla fine della scuola e fino all’anno scolastico successivo non c’è il deserto educativo nelle nostre città. Ci può essere un sud (e non tutto) con un’offerta più scarsa, e qui la presenza della scuola può essere davvero determinante, ma in altre parti del paese la situazione è del tutto diversa. Il problema, ed è questa una grande occasione da non perdere, è abbattere i costi, in particolare per i più bisognosi, e far fare un salto di qualità a quest’offerta che, con l’ingresso della professionalità e dell’esperienza delle scuole, è sicuramente realizzabile.

Il rapporto tra progetti delle scuole e progetti del territorio

Dunque   la scuola si troverà nuovamente, ma con risorse proprie e alla pari, a dialogare con altri soggetti pubblici e privati che già offrono opportunità educative, già utilizzate dalle famiglie, e non è escluso che si possano verificare episodi di competizione infelice e di conflitti, anche politici.

Le alternative sono quattro:

– la scuola tende a lasciar perdere perché ritiene il “mercato locale” di opportunità già saturo e non avanza alcun progetto per chiedere il finanziamento;
– la scuola procede separatamente e si affianca alle tante iniziative separate di altri soggetti, a canne d’organo ognuna per conto suo;
– la scuola semplicemente “appalta” qualche iniziativa già pronta dalle varie cooperative e associazioni, magari mettendoci come prezzemolo qualche insegnante volenteroso;
– la scuola si offre come partner (e anche investitore) in iniziative progettare e realizzate assieme ad altri soggetti del territorio, nella logica “paritaria” del “patto di comunità”.

È evidente che la quarta alternativa è l’unica che può realizzare un ruolo della scuola nel territorio che, se non è ancora quel “sistema formativo integrato” che abbiamo imparato da Bruno Ciari negli anni 70 dello scorso secolo, ci si avvicina molto, attivando una sinergia educativa che potrà aiutare tutti i soggetti a crescere e migliorare. E così l’educazione esce dalle sole aule di scuola e attraversa le strade delle nostre città. E, ovviamente, in questa filosofia pedagogica, l’ente locale può agire come coesore di comunità, dunque il primo partner che la scuola dovrebbe avere.

Tutto questo porta a pensare che, sia al nord sia al centro sia al sud, la scuola debba fare i conti, per eventuali attività estive, da un lato con i bisogni esistenziali e le ferite dei propri alunni e studenti, ma dall’altro anche con l’offerta qualitativa del territorio già presente. Ed è per questo che appare essenziale, per dare successo alle iniziative possibili con le significative risorse che stanno per essere erogate, che le gli istituti scolastici agiscano come soggetti attivi ma non unici o solitari nel programmare le attività estive proposte dal Decreto.

D’altra parte lo dice e favorisce lo stesso articolo 9 del Regolamento Autonomia DPR 275/99 che esplicitamente afferma:

“Art. 9 (Ampliamento dell’offerta formativa)

  1. Le istituzioni scolastiche, singolarmente, collegate in rete o tra loro consorziate, realizzano ampliamenti dell’offerta formativa che tengano conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali. I predetti ampliamenti consistono in ogni iniziativa coerente con le proprie finalità, in favore dei propri alunni e, coordinandosi con eventuali iniziative promosse dagli enti locali, in favore della popolazione giovanile e degli adulti.
  2. I curricoli determinati a norma dell’articolo 8 possono essere arricchiti con discipline e attività facoltative, che per la realizzazione di percorsi formativi integrati le istituzioni scolastiche programmano sulla base di accordi con le Regioni e gli Enti locali.
  3. Le istituzioni scolastiche possono promuovere e aderire a convenzioni o accordi stipulati a livello nazionale, regionale o locale, anche per la realizzazione di specifici progetti.”

Come operare concretamente

Innanzitutto c’è da augurarsi che le circolari  ministeriali non mettano lacci e vincoli formali, che i sindacati condividano la presenza dei docenti, pur su base volontaria e contrattualmente regolata, in queste iniziative, che gli enti locali partecipino ad una progettazione condivisa portando il loro apporto di esperienza e conoscenza sull’attività educativa sul territorio ed una comune regolamentazione delle modalità di utilizzo degli edifici di cui sono proprietari e dei servizi di supporto che potrebbero essere utilizzati anche per le attività estive, che si definiscano accordi locali di integrazione e collaborazione tra i diversi soggetti istituzionali e con il coinvolgimento degli altri soggetti presenti sul territorio.

Si tratta, insomma, di una vera opportunità per iniziare a coniugare la risposta ai bisogni dei singoli (di crescita e sviluppo di ciascun individuo, di cui si occupa tradizionalmente la scuola) con i bisogni emergenti dal contesto socio economico locale (di sviluppo della comunità, appannaggio degli enti locali). Peraltro, la sottoscrizione di “Patti educativi di comunità” è oggi esplicitamente sollecitata dal Piano Scuola 2020/21, approvato con decreto ministeriale 26 giugno 2020, n. 39, contenente le indicazioni per la ripartenza delle attività didattiche in presenza dopo le chiusure obbligate dall’emergenza sanitaria.

Tali “Patti” possono rappresentare, anche in relazione a attività da svolgersi nei periodi di interruzione del calendario scolastico, un’importante occasione per potenziare e qualificare i rapporti tra le scuole e gli enti locali. Il decreto legge 14 agosto 2020, n. 104 (decreto Agosto), al comma 2, lett. a), dell’art. 32, ha già stanzia specifiche risorse per sostenere finanziariamente i “patti”. La norma prevede che “le istituzioni scolastiche stipulano accordi con gli enti locali contestualmente a specifici patti di comunità, a patti di collaborazione, anche con le istituzioni culturali, sportive e del terzo settore, o ai piani di zona, opportunamente integrati, di cui all’articolo 19 della legge 8 novembre 2000, n. 328, al fine di ampliare la permanenza a scuola degli allievi, alternando attività didattica ad attività ludico-ricreativa, di approfondimento culturale, artistico, coreutico, musicale e motorio-sportivo, in attuazione di quanto disposto dall’articolo 1, comma 7, della legge 13 luglio 2015, n. 107”.

Dal punto di vista procedurale c’è un po’ di lavoro per il dirigente scolastico e il direttore generale dei servizi amministrativi. Per prima cosa si deve fare una delibera del Consiglio di Istituto e approvare un progetto di massima che già preveda la necessità della sottoscrizione di un “patto” territoriale” e autorizzi il dirigente alla sottoscrizione, poi sarà necessario definire questo “patto territoriale” assieme all’ente locale e agli altri soggetti del territorio che potranno concorrere alla realizzazione del progetto, sarà quindi opportuno condividere con le rappresentanze sindacali nella scuola i criteri per raccogliere le adesioni del personale scolastico all’iniziativa e le modalità di incentivazione e definire, con il responsabile del servizio prevenzione e protezione, le indicazioni utili per contrastare la diffusione del contagio da Covid-19, tenendo conto dei protocollo nazionali e regionali che trattano tali questioni.

A monte, naturalmente, non appena sarà pubblicato l’avviso pubblico per richiedere il finanziamento, la scuola dovrà avanzare la sua candidatura. È un lavoro che non deve impensierire più di tanto. Si deve pensare a documenti semplici, essenziali, asciutti, e non a voluminosi e complicati elaborati che, ove necessari per la parte operativa, potranno essere rinviati ad un momento successivo e delegati a chi si occuperà dell’attuazione. Inoltre, per la stesura di alcune parti, ci si potrà avvalere di collaborazioni anche utilizzando le altre risorse messe a disposizione delle scuole con l’altro articolo dello stesso decreto sostegni che stanzia ulteriori 150 milioni per acquisti di forniture e servizi necessari ad affrontare l’emergenza sanitaria e le azioni da intraprendere da parte degli istituti.

Ma lo sguardo che dobbiamo avere per realizzare queste attività rimane quello che si muove a partire dalle bambine e dai bambini, dalle ragazze e dai ragazzi, con un’attenta riflessione sulla loro condizione esistenziale, ma anche familiare, sociale, scolastica, di reti amicali. Meglio ancora sarebbe se più attività possibili fossero condivise e progettate assieme loro, avendo però nel cuore l’onesta sensazione che siamo in un’emergenza educativa e sociale per la quale dobbiamo dare il meglio. Non una gabbia afosa a fare noiose ripetizioni, non una guardiania per farli correre nei giardini, né banalità amene per far passare il tempo. Ci vogliono idee creative, divertenti ed emozionanti anche per noi adulti, che le scuole assieme alle altre agenzie educative del territorio sapranno sicuramente trovare.

Le riflessioni contenute in questo testo sono dedicate a Francesca Sivieri, l’insegnante che nella prima ondata ha “riaperto la scuola” nei giardini pubblici della sua Città e a Iselda Barghini, promotrice della rete delle scuole senza zaino che si è detta convinta che i cambiamenti indotti dall’emergenza sanitaria genereranno una risorsa stabile e condivisa tra la scuola e il territorio.