MERITO, RESPONSABILITA’ DEI FALLIMENTI E POVERTA’ EDUCATIVA

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di Franco De Anna

Il dibattito/confronto che si è sviluppato sulla questione del “merito” (e della possibile temuta deriva “meritocratica”: non hanno medesima semantica …) in seguito al cambiamento del nome” del Ministero dell’Istruzione, mi pare carico di potenziali equivoci che, a mio parere occorre disciogliere.

Sia per questioni di principio iscritte nel pensiero pedagogico, sia per ragioni immediatamente politiche. Equivoci che rischiano di sottrarre al confronto politico serrato la questione nodale: quali “programmi di politica scolastica” verranno messi all’ordine del giorno e posti in realizzazione oltre la suggestione della terminologia? E quali possibili alternative per opporvisi?

Vorrei che, in merito alle responsabilità relative ai cattivi e diseguali risultati della scuola italiana, si assumesse un rigore ed una correttezza analitica capaci di togliere alimento ad ogni equivoco. (Troppo semplice, altrimenti, “dare la colpa” a questo Governo…)
Il Sistema di Istruzione italiano ha una normativa relativa a problematiche di accoglienza ed integrazione tra le più avanzate a livello internazionale ed essa è parte costitutiva delle stesse Istituzioni.
La ispirazione costituzionale dell’art. 34 nella essenzialità delle sue affermazioni è senza dubbio altrettanto chiara circa gli impegni fondamentali delle istituzioni pubbliche.

Ciò che si opera concretamene a livello di “Sistema” per dare realizzazioni a tali ispirazioni conosce invece non solo fallimenti (gli errori accompagnano sempre la operatività concreta) ma spesso delle contraddizioni strutturali, culturali e istituzionali che rappresentano un vero e proprio “tradimento” di tali ispirazioni e impegni.

Specialmente nella scuola superiore e nei suoi diversi indirizzi (e spesso proprio a partire da quello che vene ancora considerato il “più qualificato” come i Licei), tale “tradimento” appare strutturalmente sedimentato nella “cultura sociale” e spesso purtroppo anche in quella “professionale” della scuola stessa.A partire da tale considerazione, il costrutto “povertà educativa” si sta diffondendo con interesse e preoccupazione in molte analisi che guardano sia alle problematiche culturali (e non solo) delle nuove generazioni, sia al funzionamento del nostro sistema di istruzione.Lo stesso uso del termine “povertà” sottolinea che si indichino come necessari impegno e iniziative per colmare assenze, ritardi, insufficienze, disparità e differenze inaccettabili.

Il costrutto ha il pregio di indicare sinteticamente un intreccio di oggetti e significati diversi, ciascuno con specificità che richiedono(erebbero) approcci analitici distinti, ma che nella loro combinazione, mescolanza, interrelazione e sovrapposizione delle aree di “confine” dei significati stessi, consentono una rappresentazione di grande efficacia comunicativa.
Come non essere infatti d’accordo sulla necessità di combattere, superare, colmare “la/le povertà educative”, in particolare (ma non solo…) se riferite alle nuove generazioni?

Come spesso accade la efficacia comunicativa di proposizioni che, come aforismi, vorrebbero proporsi come sentenze conclusive di analisi e riflessioni approfondite “precedenti”, cela in realtà molte approssimazioni delle analisi stesse sacrificandone l’approfondimento rispetto al successo comunicativo.
Temo che anche nel caso del costrutto in questione vi sia questo rischio.
Tanto più grave quanto proprio la metafora della “povertà educativa” vorrebbe avere valore di richiamo ad impostare interventi operativi mirati ed efficaci per porvi rimedio. (Dunque, a partire da una definizione rigorosa di obiettivi, strumenti, risultati attesi, valutazioni)
Vi è comunque da notare immediatamente che tali approcci paiono essere sagomati “sui minori”, sui “bambini”, al massimo sugli adolescenti.

È priorità comprensibile se da essa si generano “priorità operative” sul “da dove cominciare…”. Ma occorre non trascurare il fatto che vi sia una dimensione della “povertà educativa” che va ben oltre e che investe il mondo degli adulti, e che ne condiziona la vita nelle loro diverse interpretazioni con riflessi su ciascuna di esse: come lavoratori, come cittadini, come genitori.
Un rilievo che ha un significato particolare in un Sistema di Istruzione come il nostro, nel quale la formazione continua e la formazione per gli adulti hanno, sia pure con esperienze significative, uno sviluppo residuale e un interesse sociale che non ha grande udienza nella comunicazione e nelle scelte di politica dell’istruzione.
Inoltre, occorre ricordare che comunque la “povertà educativa” osservata nella popolazione adulta (e dunque possibile oggetto di iniziative ad essa dedicate) ha ricadute e riflessi complessi e spesso peggiorativi sulle fasce giovanili, sia attraverso la riproduzione famigliare, sia nelle interazioni ambientali e contestuali.

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