Intelligenza Artificiale e Scuola, Intelligenza Artificiale a Scuola

di Stefano Stefanel

In un interessante convegno svoltosi a Trieste il 16 marzo 2025 Sandro Nigris (A.I. e Video Specialist presso Microsoft) ha mostrato i dati di alcune ricerche internazionali riguardanti l’Intelligenza Artificiale, esplosa dopo l’uscita pubblica della sua funzione generativa il 30 novembre 2022 con Chat GTP.
Secondo Nigris entro il 2030 il 70% delle competenze richieste sul lavoro saranno cambiate e influenzate dall’Intelligenza Artificiale.
Per cui alla domanda: “Come faccio a perdere il lavoro?” la risposta è semplice: “Continua a fare quello che stai facendo”. Secondo Nigris si sta passando da F.O.M.O. (Fear Of Missing OutPaura di essere tagliati fuori) a F.O.B.O. (Fear Of Better OptionsPaura di perdersi le opzioni migliori che si trasforma in indecisione cronica. Sempre più persone soffrono anche per colpa dei social).
E quindi lui suggerisce cinque soluzioni per salvarsi o cercare di salvarsi da quello che sta venendo avanti: “1. Non fare nulla. Continua così finché riesci. 2. Lavora con le A.I. 3. Lavora nelle A.I. 4. Nuota nell’Oceano blu dei nuovi mestieri. 5. Impara a fare l’imprenditore di un’azienda con un solo dipendente: tu.

Se si analizza l’opinione di Nigris dal punto di vista della scuola e della pubblica amministrazione italiana è necessario fare una correzione: tutto questo riguarda certamente tutti i giovani e i lavoratori a partire dai zero anni ai venti anni (i giovani), per passare ai lavoratori e per finire con gli ultrasessantenni ma under settantenni (i lavoratori non ancora andati in pensione), ma non i dipendenti statali italiani, assunti a tempo indeterminato, non licenziabili, non obbligati ad imparare nulla, anche se una parte della pubblica amministrazione deve fare formazione (però non valutata), mentre nella scuola esiste solo il diritto-dovere alla formazione, cioè il liberi tutti per cui la formazione la fa solo chi ha voglia di farla. Continua a leggere

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Alle origini della riforma della scuola

Quali sono le origini del dibattito sulla riforma del sistema scolastico?
Una risposta si può trovare nel volumetto “Il Problema della Scuola”
, realizzato nel 1946 dal Ministero per la Costituente.

La pubblicazione offre uno schema per l’esame e il dibattito sulla necessaria riforma del sistema scolastico italiano ed evidenzia la stretta connessione tra la struttura della scuola e quella della società. Vengono discussi i principali problemi e dibattiti riguardanti i vari ordini scolastici, tra cui la scuola media (in particolare la questione della “scuola media unica”), le scuole professionali, la scuola superiore e l’università, toccando anche la controversia sulla scuola statale e privata.

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Le Nuove Indicazioni Nazionali del primo ciclo d’istruzione e la scuola del governo Meloni

di Collettivo Legauche

Nell’articolo del Collettivo Legauche si trova anche un’ampia segnalazione/recensione del nostro ebook

Le Nuove Indicazioni Nazionali del primo ciclo d’istruzione sono un documento utile per comprendere la visione della scuola del governo Meloni. Giustamente sul sito della rivista Insegnare, legata al Cidi, Giuseppe Bagni afferma che esse si inseriscono in un contesto politico e culturale che mira a riportare la scuola indietro nel tempo, non attraverso un reale rinnovamento pedagogico bensì tramite una retorica nostalgica che celebra un passato mitizzato che si affianca a pericolosi provvedimenti repressivi nelle nostre scuole e università. Ad esempio l’inasprimento delle sanzioni disciplinari, l’introduzione di nuovi reati per i minori e la stretta sul voto di condotta (che può determinare l’esito degli scrutini e della maturità) rivelano una volontà precisa, ovvero criminalizzare la protesta giovanile, anche quando è pacifica, e normalizzare comportamenti accondiscendenti. Si tratta di una strategia che utilizza la paura per giustificare misure repressive, alimentando il mito di una delinquenza minorile in crescita, nonostante i dati dimostrino il contrario. Per quanto riguarda l’università, citiamo solamente la proposta (poi parzialmente ritirata) di obbligare gli atenei a collaborare con i servizi segreti, cosa che svela un disegno di sorveglianza generalizzata in netto contrasto con i principi costituzionali di autonomia e libertà della ricerca. L’adolescenza, con le sue domande scomode e la sua ribellione, spaventa perché mette in discussione lo status quo. I giovani, soprattutto quelli che chiedono giustizia climatica, diritti e un futuro dignitoso, sono percepiti come una minaccia. La risposta è una doppia strategia: l’esclusione attraverso percorsi formativi differenziati (come la filiera professionalizzante abbreviata) e l’assimilazione forzata a un’identità culturale presentata come superiore. Questo approccio tradisce il mandato costituzionale della scuola e rischia di alimentare ulteriore rabbia e frustrazione, come dimostrano gli episodi di violenza giovanile, spesso privi di un obiettivo preciso ma radicati in un senso di esclusione e precarietà. Sul piano didattico le Indicazioni del 2025 propongono un ritorno a un nozionismo sterile, con un’ossessione per contenuti enciclopedici e una pedagogia autoritaria che ignora le evidenze scientifiche. L’idea che esistano “talenti innati” (come il “pallino per la matematica”) è scientificamente infondata e pedagogicamente dannosa perché scoraggia l’impegno e giustifica le disuguaglianze. Allo stesso modo, la proposta di affrontare la violenza di genere con una generica “educazione del cuore” nega la dimensione strutturale del problema, riducendolo a una questione di buoni sentimenti. Il cambiamento del titolo da “Cultura, scuola, persona” a “Persona, scuola, famiglia” non è casuale. Segna un passaggio da una visione collettiva e democratica dell’istruzione a una prospettiva individualista e familista che svuota il ruolo sociale della scuola. La Costituzione parla di rimuovere gli ostacoli alla libertà e all’uguaglianza ma queste Indicazioni li moltiplicano, differenziando i percorsi in base a presunte “potenzialità” già definite.

Clicca qui per leggere l’intero saggio nel sito del Collettivo

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Un’ora sola ti vorrei, per dirti quello che… NON SO

di Marco Guastavigna

La deputata Tenerini ha depositato una proposta di legge per introdurre l’intelligenza artificiale nel curriculum della secondaria: un’ora alla settimana nell’area STEM, con modalità da definire da parte dei singoli OO.CC.

Non è necessario essere un addetto ai lavori per intuire che la firmataria del documento non sa bene di cosa parla. Mancano i dovuti riferimenti all’intelligenza artificiale generativa e – soprattutto – non vengono declinate le “nozioni (sic!) di base che governano i processi che governano l’intelligenza artificiale”.

Impresa che sarebbe per altro velleitaria, dal momento che le macchine statistico-predittive su base induttiva si traducono pervasivamente in una gigantesca filiera di applicazioni in continuo adattamento ed evidente perfezionamento, grazie al pullulare di utenti che accettano e apprezzano interazioni fondate sulla cattura e sulla recinzione della conoscenza collettiva.

Tra questi ci siamo notoriamente anche noi: abbiamo perciò pensato di anticipare i tempi fornendo a chi sia interessato materiali didattici confrontabili tra di loro, ovvero due letture della proposta di Tenerini realizzate in chiave sarcastica da ChatGPT e da Gemini.

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Una riflessione critica sulla intelligenza artificiale

di Marco Guastavigna

Il percorso di riflessione di Guastavigna sull’intelligenza artificiale si intensifica a partire dal 2022con contributi come “Autorialità ibrida per lo sviluppo umano” pubblicato su Insegnare Online
.Nel febbraio 2023, in “Formare i docenti all’Intelligenza Artificiale? Si può fare ma…”, Guastavigna esplicita la necessità di “decostruire i concetti che attualmente vanno per lamaggiore, esito di marketing economico e veicolo di dominio lessicale”. Questo articolo rappresenta una delle prime analisi approfondite dell’autore sul tema, dove mette in discussioneil riferimento stesso all’intelligenza nei dispositivi IA.

Ascolta il podcast

Il documento completo è disponibile qui

 

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Nuove Indicazioni 2025: l’analisi del MCE

Il Movimento di Cooperazione educativa ha prodotto un ampio documento di analisi del testo delle Nuove Indicazioni 2025 della “Commissione Perla”

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Nuove Indicazioni 2025: i principi pedagogici

di Dario Missaglia

In attesa del testo definitivo delle nuove indicazioni nazionali per il primo ciclo, la professoressa Loredana Perla, in un’intervista al quotidiano “Il foglio”, regala una serie di sorprendenti rivelazioni. [1]

A fronte del cronista che la provoca sul terreno delle critiche piovute addosso ai contenuti del documento ministeriale, la professoressa esordisce ricordando l’incipit del documento “La Costituzione mette al centro la persona e concepisce lo Stato per l’uomo e non l’uomo per lo Stato”.
La citazione, precisa, è un passo di una relazione di Giorgio La Pira, “cara al Ministro Valditara…” per affermare che “nelle nostre premesse c’è l’influenza del personalismo cristiano di La Pira”.
Le sorprese a questo punto sono due.

La prima è l’autodefinizione della riforma di Valditara come “scuola costituzionale”, di cui non si citano mai due premesse fondamentali: la Costituzione nasce dalla Resistenza che era un movimento non solo per liberare il nostro Paese dal regime fascista e dall’occupazione nazista ma anche per ricostruire un’Italia libera, democratica, laica; che proprio per questo la Repubblica si fonda sul lavoro, sulle persone che lavorano, e sulla necessità che la Repubblica stessa (art.3) rimuova  le cause che impediscono la piena partecipazione della persona alla vita democratica e sociale del Paese.

Dunque, nelle argomentazioni della professoressa Perla, non c’è la centralità della Costituzione ma la centralità del personalismo che la professoressa Perla afferma. Un personalismo trascendente che non ha nulla in comune con il personalismo presente nella Costituzione e neppure con il personalismo terreno e attivo di Giorgio La Pira. La persona, nella Costituzione, è un soggetto “storico”, vive e agisce nella società e “storiche” sono anche le cause che devono essere rimosse per la sua affermazione.

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La sindrome del 3%, la progettazione pedagogica degli ambienti di apprendimento

di Nicola Puttilli

In un convegno dell’ANDIS svoltosi recentemente a Montegrotto si è parlato di rigenerazione urbana e di come l’intreccio virtuoso fra protagonismo degli enti locali e progettazione delle autonomie scolastiche sia in grado di produrre piccoli gioielli di partecipazione democratica, cura del territorio e proposta pedagogica.
Esperienze che si stanno realizzando su tutto il territorio nazionale, senza distinzione tra nord e sud, città metropolitane e piccoli comuni, ordini di scuola.

Nel sentire parlare con giustificato entusiasmo docenti, dirigenti scolastici e architetti di queste brillanti esperienze non ho potuto non ripensare con una certa dose di rammarico a quanto accaduto nell’area torinese a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.

A seguito delle grandi innovazioni pedagogiche introdotte negli anni ’60/’70 nella scuola elementare e in parte anche nella scuola media, a partire dal tempo pieno e dalla didattica per laboratori ispirata in gran parte a Francesco De Bartolomeis, docente di pedagogia nell’università di Torino, furono progettate e costruite nei quartiere periferici della città, una decina di scuole che rispondevano in buona misura ai criteri di questo modello pedagogico: pareti mobili per trasformare le aule in atelier/laboratori, “buca” circondata da gradinate per le attività teatrali, spazi esterni da adibire ad orto e attrezzature per attività, si direbbe oggi, outdoor.
Anche la città, sotto la regia di due assessori ex direttori didattici come Gianni Dolino e Fiorenzo Alfieri, si dispose come un immenso laboratorio mettendo a disposizione delle scuole teatri, musei, spazi di incontro e perfino ex colonie marine trasformate in laboratorio mediterraneo.

La “verve” innovativa durò alcuni anni, poi, complice anche la tragedia dell’incendio al cinema “Statuto” nel 1984 con i suoi 64 morti, cominciò lentamente ma inesorabilmente a declinare. La più che giustificata attenzione alla sicurezza divenne , in alcuni casi, vera e propria ossessione inducendo molti capi istituto a logiche più che prudenziali. Le prime ad essere “chiuse” furono le buche teatrali, troppo il rischio che qualche bambino un po’ distratto facesse qualche brutta caduta, poi si rinunciò alle pareti mobili, ritornando un po’ alla volta alla più tranquillizzante routine della classe e lasciando all’attività laboratoriale qualche specifico spazio specializzato, utilizzato sempre più sporadicamente.

Le principali ragioni del ritorno a una “architettura” e a una didattica tradizionale non furono, ovviamente, legate solo a ragioni di sicurezza ma soprattutto all’incapacità del nuovo modo di fare scuola di tradursi in un processo consolidato e duraturo e, soprattutto, fatto proprio dalla generalità, o quasi, del corpo docente.

Nel convegno di Montegrotto qualcuno ha detto che le scuole innovative che rompono il rapporto classe/aula attraverso una serie di spazi formativi in grado di disarticolare la didattica puramente trasmissiva, costituiscono circa il 3% dell’intero patrimonio scolastico italiano. Continua a leggere

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Nuove Indicazioni 2025: un testo di Washburne di 70 anni fa era forse più avanzato

Il bene nel mondo è un testo non molto noto di Carleton Wasburne, il pedagogista statunitense al quale si devono i primi programmi post-fascisti della scuola elementare.
Il capitolo introduttivo di questo libro è di una attualità straordinaria.
Ecco le parole con cui si apre.
“Gli uomini di tutto il mondo si sono legati gli uni agli altri. Attraverso lo scambio di idee e di beni, dovunque gli esseri umani sono venuti a dipendere da innumerevoli altri esseri umani in tutte le parti del mondo. Adesso, come mai prima d’ora, noi siamo letteralmente tutti membri l’uno dell’altro. Questo fatto è così facile da dimostrare e così universale che è difficile capire perché tanti di noi pensino e sentano e agiscono e agiscano come se esso non fosse vero”.
E, più avanti.
“Questo libro alla luce delle conoscenze e delle esperienze disponibili suggerisce vie che possono essere provate da insegnanti, in collaborazione con i genitori, per aiutare i fanciulli e la gioventù a crescere in modo tale da essere in grado di contribuire ad una società mondiale in cui vi sia un massimo di cooperazione pacifica e in cui i problemi non risolti siano affrontati costruttivamente e in un modo che trattenga il mondo dal precipitare in una guerra suicida”.
Forse, per migliorare il testo delle Nuove Indicazioni 2025 predisposto dalla “Commissione Perla”, potrebbe bastare fare riferimento a qualche pagina di questo libro di Carleton Washburne, scritto nel 1954, più di 70 anni fa.

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La lingua nelle Indicazioni 2025

Questo il documento elaborato e diffuso dal Giscel (Gruppo intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica).

 

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