APPRENDIMENTO PER VIA EROTICA

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CREATIVITA’

di Alessandra Anzini

Tutti siamo creativi: come dalla notte dei tempi il ragionamento è il prerequisito alla sopravvivenza degli esseri umani sulla terra così lo è la creatività, che l’uomo preistorico sperimentava magistralmente creando dal nulla.
Uno studio del 2010 di Dietrich e Kanso sfata un altro mito dimostrando che le persone più innovative e creative fanno uso di entrambi gli emisferi, infatti l’ipotesi di una lateralizzazione destra della creatività non è stata ancora confermata.

La radice etimologica di creatività è fare e Picasso l’aveva capito bene quando scriveva: “l’ispirazione esiste ma deve trovarti a lavorare”.
Il verbo inventare deriva dal latino invenio che vuol dire trovare e il suo prerequisito è cercare (a tutti una volta nella vita è stato detto chi cerca trova) che a sua volta dipende dal saper osservare.
Se questo percorso è l’attitudine che ci apre le porte alla creatività non coincide forse con quello dell’esploratore, di cui il bambino ne è la più autentica espressione?
Sempre Picasso esprimeva il suo spirito di esploratore quando affermava “Ho sempre fatto cose che non sapevo fare per imparare a farle”.
Le condizioni affinché si incentivi lo sviluppo del pensiero creativo, confermate dallo studioso Mihalyi Csikszentmihalyi (1997) sono: sorprendere e sorprendersi, approfondire e appassionarsi, impegnarsi e cercare sfide, rilassarsi e aggiungo io che il loro minimo comune multiplo è il Piacere.
Concetto confermato da un altro grande genio come Albert Einstein che affermava: “La creatività e l’intelligenza che si diverte”.
E allora chi più di un docente per sviluppare la creatività e quale contesto migliore se non quello di un gruppo classe dove ci si Ascolta senza giudizio attraverso l’osservazione quotidiana di materiale umano sempre diverso e fertile per trovare quindi creare?
Durante la mia esperienza in classe ho sempre tenuto fede ad un patto silente stretto con gli alunni il primo giorno in cui entrai in aula, ventiquattro anni fa, che in seguito sono riuscita ad onorare con la proposta de IL MIA, IL Maieutic Integrated Approach, raccontato nel libro “Se da piccoli ci avessero detto…” e solo perché non mi sono mai arresa nel voler riscattare la delusione della bambina Alessandra nei confronti del proprio percorso scolastico rispetto a quanto scritto finora e rispetto allo stesso Sistema scolastico che ancora oggi tradisce, perchè definito, salvo rarissime eccezioni, da una burocratizzazione delirante, dal dover sempre e comunque battere cassa con i voti e dall’ansia di finire il programma.

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La scuola che vorrei: insegnare a imparare

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

di Monica Barisone 

In prossimità della chiusura dello scorso anno scolastico, mi sono trovata ad osservare alcune situazioni che mi hanno incuriosito. In alcune classi di scuola primaria registravo un particolare affaticamento da parte di insegnanti che avevano trascorso l’anno fronteggiando nella propria classe, più situazioni concomitanti di ragazzini con difficoltà comportamentali e di apprendimento.
Da un lato emergevano problematiche particolarmente spinose e specifiche (psicopatologie precoci, comorbilità…) che rischiavano di cozzare con la routine dell’insegnamento riconosciuto come standardizzabile; dall’altro avvertivo la sensazione di un diffondersi a macchia d’olio, negli Istituti presso cui lavoro, di queste problematicità, il che sembrava rendere il fenomeno una tendenza in via di consolidamento.
Quella sensazione di fatica sovrabbondante, che stavo condividendo anch’io mi lasciava perplessa, col timore di essere inadempiente o di non aver bene compreso cosa stesse succedendo, qualcosa mi stava sfuggendo. Decisi di affrontare in qualche modo il disagio andando a verificare queste percezioni, misurare, seppure in modo approssimativo, questo eventuale fenomeno, per poterlo discutere poi col corpo docente.
Ad inizio settembre ho iniziato in modo sistematico la mia piccola ricerca che ha, ahimè, confermato i miei timori. Ho scelto di utilizzare motori di ricerca più accessibili e semplici, accogliere fonti altrettanto accessibili ma riconducili a contesti sanitari o assistenziali, perché insegnanti e genitori potessero eventualmente recuperarli e documentarsi anche in modo diretto. La riflessione sui dati ha sortito però anche una nuova prospettiva e ipotesi di lavoro in queste classi sempre più eterogenee.
Partirei da qualche dato emerso.
Effettivamente, le percentuali di alunni che mostrano Bisogni Educativi Speciali, così come le diagnosi di autismo e di plus dotazione, ogni anno risultano in aumento. I bambini con situazioni riconducibili ai BES, nel 2024, sono quantificati intorno al 10-15% del totale, cioè circa tre ragazzini per ogni classe; mentre coloro che risultano in possesso di una certificazione di diversa abilità si attestano intorno al 2-3%. Continua a leggere

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Apprendere ad apprendere, ma per che cosa?

di Raimondo Giunta

La molteplicità delle agenzie formative come anche il ritmo inesauribile di innovazione e di sviluppo delle conoscenze che bisogna possedere per non restare ai margini dell’attuale società ridisegnano i compiti che la scuola deve affrontare.
La complessità del problema è costituita dal fatto che le altre agenzie (media soprattutto) hanno qualcosa che la scuola non sempre possiede: la capacità di seduzione e di coinvolgimento.
A prima vista sembra quasi impossibile vincere la sfida per coltivare nei giovani il desiderio e il piacere di apprendere. Si dice con monotonia sempre più assillante che per inserirsi in una società, segnata dalle continue trasformazioni dei suoi assetti economico-sociali e dalle innovazioni permanenti del patrimonio tecnologico e scientifico, e per essere capaci di dominare l’incertezza che per questi motivi si viene a determinare occorra un considerevole bagaglio di saperi e di competenze e soprattutto che si debba essere capaci di imparare ad apprendere.
Se ne è fatto un principio, uno scopo e anche uno slogan.

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Gianni Milano, quando a Torino nasceva la pedagogia cooperativa

di Gianni Giardiello

Ho conosciuto Gianni Milano, tanti, tantissimi anni fa. nei primi anni ’60, entrambi insegnanti elementari alle prime armi, entrambi frutti un po’ acerbi degli insegnamenti di Francesco De Bartolomeis. Lui più precoce di me di un paio d’anni aveva già ricercato e contattato alcuni esponenti del movimento italiano che faceva riferimento alla pedagogia popolare di Celestin Freinet, il Movimento di Cooperazione Educativa.
Aveva già capito che le idee di quel movimento pedagogico erano assai simili alle sue, al suo modo libertario di intendere il rapporto fra maestro e alunni, a cominciare dalla capacità/ necessità che il maestro si metta al servizio degli apprendimenti di tutti gli alunni a partire da quelli più deboli, alla importanza di costruire un ambiente educativo favorevole alla cooperazione, alla analisi critica degli avvenimenti e al confronto delle idee, proponendo tecniche e strumenti di lavoro in classe capaci di favorire tutto ciò. Ci ritrovammo insieme nel nascente gruppo MCE di Torino con Fiorenzo Alfieri, Daria Ridolfi, Silvana Mosca, e altri.
In quel gruppo Gianni portò subito i suoi interessi per le problematiche dei gruppi umani più indifesi per le questioni del sottosviluppo, dello sfruttamento, delle guerre. Scoprimmo subito di avere un comune interesse per la didattica della storia nella scuola elementare e media, e ci mettemmo insieme a lavorare sui problemi di quegli insegnamenti. Continua a leggere

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Gianni Milano, il “maestro capellone” non è più con noi

Gianni Milano (foto dalla sua pagina FB)

di Maria Carla Micono

La notizia della scomparsa di Gianni Milano, il maestro Gianni, mi ha trascinata sulla strada dei ricordi.
Erano gli anni ’70, insegnavo nelle classi differenziali a Ciriè, e Gianni si era trasferito in città; egli aveva ottenuto la titolarità nel plesso Bruno Ciari, appartenente alla mia stessa Direzione Didattica. Erano gli anni dell’espansione del Tempo pieno, e questo nuovo maestro, capellone, che portava i bambini a conoscere la natura e gli animali, stava “rompendo gli schemi” rispetto alla classica figura dell’insegnante, in una conservatrice cittadina di provincia. Non sempre concordavamo nelle ide e nelle programmazioni, ma piano piano mi accorsi che mi capiva quando avevo difficoltà con i bambini disabili, ed io capivo lui quando parlava di Freinet e della scuola attiva.
Ci fu sempre stima reciproca, tanto che, quando presi servizio come Direttrice Didattica a Ciriè, e Gianni ottenne il trasferimento all’Istituto Magistrale di Lanzo, portava nella scuola che io dirigevo i suoi studenti a “fare il tirocinio”.
E cosi mi incontravo spesso con lui, e parlavamo di scuola, delle nuove metodologie, e, già allora, di un rinnovamento del tempo pieno….perche, diceva, bisogna aiutare gli insegnanti altrimenti realizziamo un “doppio tempo normale!” Grande Gianni!
L’ho ritrovato circa un anno fa: era in sedia a rotelle, ma gli occhi vispi del “maestro capellone” erano ancora gli stessi. Ci siamo abbracciati ricordando le esperienze passate.
Grazie Gianni. Buon viaggio!

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Adriano Olivetti e il suo messaggio educativo

di Silvia Sartorio

Quello che proponiamo è il testo dell’intervento che Silvia Sartorio, insegnante di scuola primaria che da tempo studia il pensiero e l’opera di Adriano Olivetti, ha svolto  nella mattinata del 31 gennaio in occasione del Congresso provinciale di Cisl Scuola presso le Officine H a Ivrea.  

Siamo a Ivrea,  nel cuore delle architetture olivettiane, vita pulsante della “Fabbrica” Olivetti, come di consueto la definiva l’ingegner Olivetti (in realtà era un’industria multinazionale con consociate sparse in tutto il mondo).
La mia sarà una introduzione sintetica con brevi cenni al luogo dove oggi ci troviamo riuniti per poi condurvi attraverso alcuni concetti ricorrenti dell’etica olivettiana relativi alla formazione integrale della persona in un’ottica pedagogica e andragogica e di life long learning.

Per necessaria brevità i miei saranno solo cenni, spero significativi, e mi scuso fin da ora con coloro che già conoscono la storia di Adriano e della Olivetti perché radicati sul Territorio, o per esperienze di vita o di lavoro o per studi di interesse.

Partiamo dunque dal luogo in cui oggi si svolge il Congresso.
Siamo ospitati nel Polo Officina, cosiddetta, H, una sede che raccoglie enti formativi e culturali che sono certa Adriano avrebbe apprezzato.
L’officina H è situata nel cuore del distretto di architettura industriale olivettiana che a partire dal 2001, è diventato sede del “Museo a cielo aperto dell’architettura moderna” , MAAM, e fa parte del Quarto Ampliamento progettato dagli architetti Figini e Pollini e rimaneggiato da Eduardo Vittoria che progettò per sopravvenute esigenze di spazio la copertura del cortile interno per ospitare grandi lavorazioni con torni automatici e presse e le linee di montaggio. Continua a leggere

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Intelligenza artificiale: come usare robot-collaboratori per fare una ricerca

Abbiamo assunto due collaboratori in prova.

Hanno un contratto in linea con i tempi: 24/24, 7/7, nessuna retribuzione salariale. Ma raffinamento del loro addestramento originale con i nostri materiali culturali.
Abbiamo loro affidato questa rubrica sperimentale e presentiamo i primi due contributi.

Pattern chiari, amicizia lunga – con ChatGPT, stimolato da Marco Guastavigna

Il primo neoassunto aveva in realtà già lavorato estemporaneamente per noi e gli abbiamo perciò proposto di continuare il proprio tirocinio con un breve saggio analogo al precedente, ovvero l’analisi di una mappa concettuale, che potete qui vedere.

 

L’Intelligenza Artificiale nella Docenza: Analisi Critica e Prospettive Pedagogiche – di ChatGPT Continua a leggere

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La strategia della distrazione e la contro-riforma della scuola

di Rodolfo Marchisio

Concordo con Tosolini che parlare tutti i momenti di ciò che dice (e poi però intanto fa, magari) Valditara sia da un lato noioso.
Dall’altro anche cadere nella trappola della “strategia della distrazione” di cui il ministro del MIM e della provocazione è maestro, al fine di depotenziare l’impatto delle sue pesanti e significative contro-riforme di impronta chiaramente ideologica, dopo che ci siamo sfiancati a discutere inseguendo tutte le sue provocazioni sarebbe sbagliato.

Però credo che la strategia del Min. Istruzione Merito Propaganda sia ormai evidente e consolidata, come evidente è dove vuole andare a parare (dalle LG 2024 di Ed Civica – meglio alla cittadinanza – non più consapevole) alle modifiche di indicazioni/programmi di cui parla ai giornali.

È evidente che sta:

  1. Semplificando il complesso
  2. dando punti di riferimento (occidente/occidenti?) che non hanno fondamento e rispondenza nella realtà. Quale Italia (“tanto di più i nostri bambini non capiscono”)? Quella percorsa da centinaia di popoli stranieri della cui influenza e del cui contributo noi siamo il prodotto (anche genetico, oltre che culturale?). L’Italia e l’Occidente del ministro non esistono sono un prodotto della mescolanza e comunque oggi non contano proprio più di tanto, vaso di coccio nel mondo. E per alcuni secoli hanno contato poco da soli.
  3. In una operazione che mentre critica le “ideologie” è in realtà tutta ideologico-politica.

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Il voto: un oggetto nazional-popolare

di Giancarlo Cerini

Prima e dopo il voto, dentro e fuori la scuola

Le vicende di questi mesi in materia di valutazione (come il ripristino del voto in condotta e il ritorno dei voti numerici nella scuola di base, aboliti nel lontano 1977) segnalano un rapporto difficile tra le esigenze “interne” degli addetti ai lavori e le aspettative “esterne” della società. Ormai sembra che i valori che ispirano coloro che operano all’interno della scuola (pensiamo alle idee di inclusione, accoglienza, pari opportunità, solidarietà) siano assai lontani dalle tendenze della società civile (ove sembrano prevalere l’affermazione dell’individuo, la competizione, il successo). Anche la questione del voto (e più in generale della valutazione a scuola) non sfugge a questo dilemma. Chi sta a scuola, soprattutto in quella dell’obbligo, è legato ad una prospettiva di valutazione formativa, orientata a riconoscere e valorizzare l’apprendimento, piuttosto che a giudicarlo e sanzionarlo. Questi principi pedagogici stanno scritti anche nel testo delle Indicazioni per il curricolo del 2007 (e nelle linee guida del nuovo obbligo scolastico). In poche righe si delinea un coerente sistema, dall’osservazione diagnostica alla valutazione in itinere e a quella sommativa, con il preminente obiettivo di stimolare il miglioramento continuo degli allievi e di regolare l’iniziativa didattica degli insegnanti. Questa filosofia si estende anche all’azione della scuola e del sistema educativo nel suo complesso.

La valutazione, in sintesi, è finalizzata ad introdurre elementi di riflessività in tutti gli attori del sistema, a partire da insegnanti e allievi, per consentire loro di prendere decisioni a “ragion veduta”.

Dall’esterno, invece, proviene una spinta diversa, quella del controllo, della verifica, del rapporto costi/benefici, della tenuta del sistema, riassumibili nella domanda “quanto mi costi, quanto mi rendi?”. Sono istanze che risalgono all’introduzione dell’autonomia, alla legge 59 del 1997, là ove si ricorda che la scuola che gode di autonomia è tenuta a “render conto” della propria produttività culturale. Oggi la rendicontazione sociale (c.d. accountability) è ormai il cardine fondamentale di ogni sistema valutativo, capace di coniugare l’esigenza di trasparenza verso l’esterno, di affidabilità e leggibilità dei dati, di feed-back indispensabile per la scuola (che non può chiudersi a riccio nell’autoreferenzialità delle sue pratiche autovalutative).

Domande impegnative, ma indispensabili

Ma che cosa si valuta? Quali sono gli “oggetti” della valutazione? Tutto è misurabile o nulla è misurabile? C’è il rischio che l’apprendimento sia visto come una scatola nera inespugnabile, che ci si debba limitare a rilevare qualche prestazione/abilità parziale e visibile, mentre le competenze sarebbero condotte della persona ben più profonde, che chiamano in gioco risorse non solo cognitive, ma affettive, sociali, emotive (e quindi assai difficili da descriver, standardizzare, certificare). Da un lato occorre rifuggire da una idea naturalistica dell’apprendimento (a quel punto dove starebbe il valore aggiunto dell’istruzione a scuola, il guadagno di ciascuno rispetto al proprio punto di partenza?), ma anche dalla facile semplificazione che impoverisce la ricchezza dei processi di conoscenza a mere prestazioni comportamentali.

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