Nuove Indicazioni 2025: cambia il paradigma

di Giovanni Fioravanti

Presentando la bozza delle “Indicazioni Nazionali per il curricolo – Scuola dell’infanzia e Scuole del Primo ciclo di istruzione”, trasmessa al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione per il prescritto parere, il sito del MIM riporta la dichiarazione del ministro Valditara: “Una riforma pensata per i nostri giovani, per abituarli ad esprimersi correttamente, ad essere chiari, a saper ragionare, a sviluppare creatività e sensibilità. Per imparare meglio la matematica. Per conoscere la nostra storia e, dunque, avere unidentità. Per conoscere la geografia e il mondo in cui vivono”.

Dunque le nuove Indicazioni nazionali per il curricolo costituiscono una riforma, cioè danno alla scuola “una forma nuova”, una forma che prima non aveva. Non una forma qualunque, ma una forma pensata appositamente per “i nostri giovani”. Non giovani astratti ma “i nostri giovani”. Una riforma che prende le mosse da come i suoi ispiratori pensano che siano i nostri giovani, una sorta di giovane standard.

Evidentemente l’idea contenuta nelle Indicazioni del 2012 era erronea, costituiva una fallacia, un imperdonabile abbaglio: “Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del suo percorso individuale…”

No! Abbiamo bisogno di ordine, di sicurezza, di normalità, abbiamo bisogno di un “idealtipo” di giovane. Continua a leggere

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Il declino dell’associazionismo scolastico

di Monica Piolanti

Oggi, in un mondo “sfibrato dalle guerre”, stiamo costantemente passeggiando come “funanboli” su un filo d’acciaio sospeso nel vuoto ad altezze vertiginose. Non è un’immagine retorica, ma la percezione tangibile di una sfiducia profonda che permea il tessuto sociale, minando la legittimità stessa delle nostre Istituzioni. Questa sensazione di smarrimento, acuita da un’emergenza percepita come endemica, si traduce in una “paura diffusa, sparsa, indistinta”, un’inquietudine baumaniana che ci insegue senza un volto definito, e a cui diamo il nome di “incertezza.”

La complessità del reale, sempre più “ingarbugliata”, ci priva della capacità di decifrare gli eventi, lasciandoci preda di un fatalismo che, seppur seducente nella sua accettazione passiva, è una pura costruzione narrativa della realtà. È il dramma delle profezie che si autoavverano, un meccanismo perverso dove la percezione, ancor prima del fatto, plasma le conseguenze. Pensiamo alla minaccia di un coinvolgimento devastante di conflitti globali, di sistemiche crisi economico-finanziarie, di imminenti pandemie, di irreparabili catastrofi climatiche e ambientali: l’annuncio, a prescindere dalla sua veridicità iniziale, genera la realtà temuta. E in questo vortice, le nuove generazioni, private di un’autorevolezza adulta che indichi la rotta, si trovano a navigare senza bussola, in un rapporto che chiamiamo “contrattualistico” ma che, di fatto, è un abbandono al loro stesso “io”, con tutte le ansie che ne derivano.

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Autismo in aumento, non è facile spiegarne le ragioni

di Stefano Venturino

Quando si parla di autismo, si sente dire ogni cosa e il DSM-5 non aiuta a chiarire la situazione. Soprattutto quando si analizzano i dati che dimostrano un crescere delle diagnosi, molti mostrano sfiducia nel sistema e si ritiene probabile una tendenza alla sovradiagnosi o diagnosi sbagliate che colmano mancanze o disagi educativi all’interno del nucleo familiare di riferimento.
Tali affermazioni non tengono del tutto conto però di una specifica chiave di lettura offerta dal DSM-5: ovvero che la diagnosi di una neurodivergenza viene fatta solo se in presenza di un reale e concreto disagio.
Nonostante io sia convinto che la maggior parte dei medici del SSN non abbia intenzione alcuna di effettuare diagniosi di autismo o ADHD nei loro pazienti senza valide ragioni, sono consapevole di ciò che accade invece nel privato e il mercato che si è costruito intorno all’argomento.
E l’eccessiva medicalizzazione.
E la caccia ai bimbi ADHD e autistici in alcune scuole a partire soprattutto dall’infanzia in nome di una deresponsabilizzazione educativa.

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Pensiero critico e Intelligenza Artificiale Generativa

di Patrizia Malausa

Il Debate come risposta educativa per l’integrazione consapevole e funzionale dell’IAG nella didattica

1. Introduzione

L’avvento dell’Intelligenza Artificiale nella didattica – con strumenti sempre più accessibili e pervasivi come ChatGPT, Gemini, Claude – pone alla Scuola una sfida urgente e radicale: come formare studenti e studentesse veramente autonome e ‘pensanti’, capaci non solo di usare, ma di com-prendere, valutare, mettere in discussione e integrare criticamente quanto viene loro proposto da un’Intelligenza Artificiale?

L’ingresso dell’Intelligenza Artificiale Generativa (IAG) nei più svariati contesti della vita sociale, ma soprattutto nei contesti didattici-educativi rappresenta una delle trasformazioni più significative della Società contemporanea ma, soprattutto, della Scuola contemporanea che quella Società contribuisce a formare. Strumenti come ChatGPT, Gemini, Claude, Copilot hanno reso l’accesso alla Conoscenza rapido e personalizzato, e tuttavia pongono interrogativi pedagogici urgenti: che ruolo ha ancora l’insegnamento in una Società dove le risposte sono alla portata di tutti, immediate, automatizzabili? Quali Conoscenze vanno consolidate (e come?) e quali Competenze vanno sviluppate (e come?) per non correre il rischio di dipendere passivamente da ciò che l’IA genera, e da macchine generatrici di linguaggio e, forse, anche di pensiero?

In questo quadro socio-culturale in velocissima trasformazione/evoluzione, in cui ‘essere umani’ – per dirla con il mai superato Fernando Savater – diventa ancora e sempre più ‘un dovere’ e un obiettivo finale – mai un dato di fatto -, metodologie didattiche-educative veramente innovative, attive e trasformative, si configurano come estremamente necessarie, ormai irrinunciabili: in effetti, appare chiaro che non si può più rimanere impassibili osservatori, analisti ancorati a posizioni sin qui solide e funzionali, in attesa di vedere cosa accadrà… Perché tanto, tantissimo, sta già accadendo – che lo si veda o meno nelle aule scolastiche.

Ecco allora che metodologie didattiche-educative veramente innovative, attive e trasformative possono venire in aiuto: il Debate nei diversi formati, come il formato World Schools (WSD) si configura non solo come una pratica didattica innovativa, ma come una metodologia pedagogica essenziale per lo sviluppo e/o il recupero del Linguaggio complesso e articolato, e per lo sviluppo del pensiero analitico-critico, argomentativo e riflessivo, elementi sempre più rilevanti anche nei documenti ministeriali (si vedano le Linee guida MIM per le competenze digitali), che ora si possono avvantaggiare con l’apporto e l’integrazione consapevole e mirata dei nuovi strumenti basati sull’IAG. Continua a leggere

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I bambini mi mettono in silenzio

di Monica Barisone

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

Come tutti gli anni, a maggio, ho incontrato ragazzini e ragazzine delle quinte classi primarie per ragionare insieme di affettività, fiducia e sessualità. L’intervento aveva l’obiettivo di aprire un confronto e una riflessione su questi aspetti basilari della costruzione dell’identità personale, in concomitanza con l’ingresso nella pubertà. Si è trattato non soltanto di passaggio di informazioni ma soprattutto di co-costruzione di uno spazio di ascolto attivo volto a domande, curiosità, paure dei minori, ma anche degli adulti, relative a questi temi. Si è lavorato anche accostando l’area della tutela e della prevenzione del maltrattamento e dell’abuso, e approfondendo i temi del consenso, dell’immagine corporea, e delle diversità di genere[1].

Questa attività rappresenta, per me, da anni, un bagno di realtà rinfrescante e rinvigorente durante il quale scopro nuovi orizzonti. Quest’anno mi sono imbattuta in una temuta conferma, la scomparsa del futuro nel loro immaginario.

Nel rappresentare sé stessi ‘da grandi’, infatti, più della metà di ragazze e ragazzi ha raffigurato la propria persona, in versione di giovane adulto, con uno sfondo generico, il vuoto, o un vago panorama cielo/terra. In modo esplicito, uno di loro, ha proprio scritto di non sapere cosa farà ma ha anche indicato la probabile vera risposta che sentiva nella testa: ‘I do nothing!’, il niente, lo zero. Emergevano qua e là, negli altri disegni, ipotesi di vita familiare e genitoriale, desideri lavorativi e in alcuni casi la presenza degli amici di sempre accanto a sé, raffigurazioni, queste, che invece avevano costituito per anni la maggior numerosità. Continua a leggere

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L’insegnamento educativo della Resistenza per la formazione della persona e del cittadino, il contrario di oggi

di Rodolfo Marchisio

Nell’ambito della giornata di studio “Una scuola di democrazia” dedicata alla pedagogia della Resistenza c/o la Casa della Resistenza di Fondo Toce dove vennero massacrati 42 partigiani o presunti tali, tra cui una donna, fatti sfilare per tutti i paesi intorno al lago Maggiore, dopo che era caduta la Repubblica partigiana dell’Ossola, mi è stato chiesto di introdurre il tema dell’insegnamento educativo che potremmo trarre dalla Resistenza oggi. E del suo legame con la scuola, tema già trattato in occasione dell’anniversario della Repubblica dell’Ossola e del contributo allora dato ad alto livello alla riorganizzazione della scuola nel dopoguerra.

Inevitabile “buttarla in politica”, schematizzando cosa succede oggi e il momento che stiamo vivendo a livello mondiale, nel nostro paese e purtroppo sempre più nella nostra scuola.

Il momento attuale: bullismo politico e revisionismo storico
Come già ricordato, un potente politico trumpiano, Thiel affermava: non sono più sicuro che la democrazia sia compatibile con la libertà (ovviamente quella dei ricchi e dei potenti). Abbiamo cercato di analizzare questa impostazione, ideologica prima che politica, facendo una breve storia della democrazia USA. Dalla Dichiarazione di indipendenza alla Costituzione confrontata con la nostra. Continua a leggere

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Si chiama Esame di Stato e…

di Marco Guastavigna

… abbiamo raccolto un po’ di contributi degli accrocchi di intelligenza artificiale generativa alla liturgia di celebrazione dell’evento.

  1. ChatGPT agli studenti

🎓 Ragazzi, in bocca al lupo per l’esame di Stato! Ecco i miei consigli sintetici:

🧠 Ripassate con metodo – focalizzatevi su ciò che conta davvero, non tutto ha lo stesso peso.

📝 Simulate le prove – scrivere aiuta a chiarire idee e gestire i tempi.

📚 Siate trasversali – collegate discipline e attualità: fa la differenza.

😌 Gestite l’ansia – dormite, respirate, e ricordate: non è un giudizio su chi siete.

🗣️ Durante l’orale, parlate – meglio una riflessione imperfetta che il silenzio perfetto.

💡 Mostrate pensiero critico – non recitate, ragionate.

Ce la potete fare. E anche bene. 💪

Ecco due slogan motivazionali pensati per chi affronta l’esame di Stato:

🧭 “Non dimostrare quanto sai, ma chi sei quando pensi.”
(per incoraggiare la riflessione personale)

🔥 “L’esame è un ponte, non un giudizio: attraversalo a testa alta.”
(per ridimensionare la pressione e guardare avanti)

  1. ChatGPT agli insegnanti
  2. 🎓 Care e cari docenti,
  3. non temete i chatbot durante le prove scritte: non sono il nemico. Ecco perché:
  4. 🧠 Il pensiero non si copia – Un testo generato può offrire spunti, ma non sostituirà mai l’intelligenza viva di uno studente che sa rielaborare, collegare, sorprendere.
  5. 📌 Le prove ben costruite smascherano l’automatismo – Domande autentiche, con riferimenti concreti al percorso svolto in classe, rendono inefficace l’uso pedissequo dell’IA.
  6. 🎭 L’originalità non è simulabile – Chi copia da un chatbot resta piatto. Chi ha pensato con voi, invece, brilla per voce, stile e profondità.
  7. 📚 L’esame valuta un cammino – Un elaborato non è che un frammento: lo sguardo dell’insegnante riconosce il passo di chi ha davvero camminato.
  8. 💬 Dialogare con l’IA non è barare – Se uno studente ha imparato a usarla criticamente, ha acquisito una competenza in più, non in meno.
  9. In fondo, la vera sfida non è evitare le scorciatoie, ma rendere il viaggio troppo interessante per volerle prendere.

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Vietato l’uso dello smartphone nelle scuole superiori

di Aluisi Tosolini

Era stata ampiamente annunciata ed è alfine giunta.

Parliamo della circolare ministeriale n. 0003392 del 16 giugno 2025 con cui “facendo seguito alla nota ministeriale n. 5274 dell’11 luglio 2024, riguardante il primo ciclo di istruzione, si dispone anche per gli studenti del secondo ciclo di istruzione il divieto di utilizzo del telefono cellulare durante lo svolgimento dell’attività didattica e più in generale in orario scolastico”.

La circolare cita a supporto della decisione 3 studi ed una proposta Continua a leggere

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Orientamento Scolastico: bisogna CAMBIARE

di Monica Piolanti

L’orientamento scolastico, in Italia, è un vero caos. Ci troviamo davanti a un bivio: da una parte, i nostri ragazzi, freschi di scuola media, con un’esperienza del mondo pari a zero, e dall’altra, un sistema che chiede loro di decidere il proprio futuro in un lampo. Il risultato? Spesso si naviga a vista, si fanno scelte che, anziché spalancare porte, finiscono per chiuderle.

Vi ricordate quella studentessa sveglia, brillante, con un’ottima media in tutte le materie? I suoi genitori, arrivati da poco in Italia, la volevano subito in un professionale. Un po’ per il lavoro “subito”, un po’ perché pensavano che il liceo fosse “troppo difficile” per lei. E noi lì, con il dubbio che non fosse una scelta libera e consapevole. Alla fine, si è iscritta al professionale, e a noi è rimasta l’amarezza di non aver insistito abbastanza.

Certo, ci sono i docenti tutor, le 30 ore di orientamento, il portfolio digitale. Roba nuova, si dirà. Ma siamo onesti: quanto è cambiata la situazione? Il 92% degli studenti delle scuole secondarie di I grado ha fatto orientamento, ma meno della metà l’ha trovato utile. Alle superiori va anche peggio, con appena il 61,5% che ha partecipato a queste attività. E sapete perché? Perché il vero problema non è quante ore si fanno, ma come si fanno, e soprattutto, il contesto in cui i ragazzi sono costretti a scegliere.

Il fatto è che a tredici anni, prevedere la propria traiettoria di vita è semplicemente impossibile. E in questo caos, gli insegnanti fanno quel che possono: tirano a indovinare, spesso sottovalutando le capacità degli studenti e sopravvalutando fattori esterni come il reddito dei genitori o il genere. Ed ecco il dramma: a parità di rendimento, i figli di migranti o operai vengono indirizzati verso un tecnico o un professionale, anche se potrebbero fare benissimo il liceo. E le ragazze? Più facilmente verso l’umanistico, che lo scientifico. È la struttura stessa del sistema scolastico, con la sua rigidità e la sua tendenza a “incanalare” troppo presto, a limitare le opportunità e a esacerbare le disuguaglianze. Continua a leggere

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Nuove Indicazioni 2025, utima edizione: il diavolo è nei dettagli

di Simonetta Fasoli

Premetto che ho molto apprezzato l’analisi di Mario Ambel, su cui largamente concordo.
Ciò premesso, non vorrei sottrarmi all’impegno, contratto anzitutto con me stessa, di dare qualche contributo nel merito, nella convinzione che il concorso di più voci può arricchire lo scambio e sostenere il percorso delle scuole.
Per cominciare: l’edizione del documento diffusa ieri è stata contestualmente inviata al CSPI (a proposito: il testo ministeriale di presentazione sul sito ufficiale parla di CNPI, designando l’organo consultivo con la vecchia denominazione: una “svista” da correggere…).
Si tratta di un restyling non proprio pleonastico, come bene argomenta  Ambel, evidenziando le modifiche apportate e i rispettivi risvolti.
Detto questo, mi sembra opportuno fare qualche riflessione su ciò che, invece, resta fermo rispetto al testo diffuso giusto tre mesi fa e oggetto di un ampio dibattito nel mondo culturale e professionale della scuola e della ricerca.
È interessante, dunque, andare a vedere “cosa” resta e “perché” siano state tracciate proprio quelle soglie: ci aiuta a capire ulteriormente il senso politico-culturale dell’operazione.
Cosa resta, dunque? Io direi l’IMPIANTO, su cui molt* di noi, critici “a ragion veduta”, avevano da subito sollevato molte questioni ed esposto altrettanti dubbi. Se è l’impianto il problema, un restyling, per quanto avveduto nei suoi singoli interventi, non può essere e non è la soluzione.
Se l’impianto, nei suoi tratti essenziali, configura un’idea ben precisa di scuola, di educazione, di strutture sociali e di professionalità, e ne emerge nel suo insieme un profilo di INEMENDABILITA, che lo rende irricevibile, allora non basta una revisione ragionevole e, per gli estensori non meno che per i committenti, per così dire “a costo zero” in termini di ricadute politico-culturali.
Se questo è lo stato dell’arte, cosa resta da fare se non attrezzarsi per affrontare le fasi che si aprono?
Nel titolo di questo mio contributo, ho scritto che “Il diavolo è nei dettagli”. Per uscire dalla metafora che appartiene al detto popolare, vorrei aggiungere che l’insieme dei dettagli compone un disegno, e una struttura (l’impianto, appunto…).
Ho attentamente letto le parti del testo che, nel loro articolarsi, costituiscono una sorta di “Premessa”.
E ho seguito un criterio di lettura analogo a quello che ho adottato, ai fini di un’analisi circostanziata, a stretto giro dalla diffusione della prima edizione (11/12 marzo): ho insomma cercato le “spie” culturali e dunque anche lessicali che tre mesi fa indicai nei miei contributi sulle IN 2025 (scritti, relazioni, interventi pubblici…). Continua a leggere

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