Homeschool, ovvero segnali di naufragio

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di Stefano Stefanel               

Il Ministero dell’Istruzione e, a questo punto, anche il Governo intero credo abbiano preso, sulla scuola, una strada che porterà in un vicolo cieco.
Incredibilmente da fine giugno il dibattito è stato spostato dalla didattica alle misurazioni, con continui monitoraggi che si smentiscono tre loro e una sottovalutazione dell’importanza di permettere alle scuole di partire da settembre in modo diverso da quanto avvenuto nel settembre 2019.
La questione dei banchi ha spostato l’attenzione da cosa ci si deve fare su quei banchi a cosa si può comprare per cercare di tornare come prima. Come prima, però, non si torna, almeno in tempi brevi.

La scuola ha dimostrato una grande forza e la didattica a distanza un forte contenuto di innovazione, utilissimo nel momento dell’emergenza.
Ad un certo punto però si è spostata l’attenzione dalla forza della scuola, della sua didattica, della sua resilienza, della sua capacità innovativa alla debolezza delle aule troppo piccole, degli organici non sufficienti, dei soldi da spendere non per la didattica, ma per mascherine e prodotti igienizzanti. E mentre si perde tempo dietro alla speranza di far funzionare spazi sbagliati e costruiti in altri tempi e per un’altra scuola ci si fa sfuggire la potenzialità del MES e l’importanza che la scuola stia con le sue competenze nel Recovery Fund (tutto questo lo si può leggere nel mio contributo apparso anche su Gessetti colorati col titolo Una scuola per l’Europa).
Il discorso che qui ho solo abbozzato è stato già condotto con grande maestria da Aluisi Tosolini nel contributo apparso su Gessetti colorati dal titolo Onlife school. Non mi soffermo dunque oltre e rimando al citato intervento.

Lo sbaglio compiuto dal Ministero e fatto proprio dall’opinione pubblica può portare a distorsioni non da poco, una delle quali è la così detta “Homeschool”, cioè una sorta di scuola familiare o scuola privata di pochi. Cento anni di grande pedagogia hanno portato una scuola non attrezzata all’innovazione ad essere fortemente innovativa e un passaggio storico che poteva essere letale per la crescita degli studenti ad essere invece un’opportunità. Questo ci ha detto l’emergenza che abbiamo vissuto e da lì dobbiamo partire. In questa estate andava cambiato tutto: spazi, tempi, contratti. Non lo si è fatto e non lo si vuole fare, ma la risposta inversa di chiudere bambini e ragazzi dentro una bolla familiare per cercare di salire nella scala dell’istruzione attraverso la segregazione è quanto di più deleterio può esserci.

La battaglia deve essere fatta per cambiare la scuola, non per eliminarla. Lo spazio comune, il ruolo del docente, la sua competenza che si sviluppa negli anni e che porta innovazione e pedagogia applicata dentro la scuola  sono valori di civiltà che una chiusura dentro la famiglia o dentro luoghi di apprendimento ristretti possono azzerare in poco tempo. Bisogna battersi perché i più piccoli tornino dentro spazi comuni, tempi comuni, saperi condivisi. La personalizzazione degli apprendimenti deve essere l’elemento che guida le diversità verso un sapere di cittadinanza e dentro una società della conoscenza aperta. Le “sette” chiudono e l’idea di “Homeschool” è quella di trasformare la crescita e il sapere in società chiusa e segreta.

Il dibattito va riportato sulla didattica, sulla flessibilità organizzativa e sui percorsi di apprendimento. Non sulle confraternite familiari che qualcuno ad un certo punto chiama scuola.