Continuiamo sull’onda della “Ballata popolare” di Giancarlo Cerini

di Monica Piolanti

L’intervento di Loretta Lega al Convegno di Camaldoli sulle “Nuove Indicazioni 2025” svoltosi il 10 e 11 ottobre è stato un colpo di scena necessario, un invito lucido e appassionato a fermare il pendolo delle riforme autoreferenziali che periodicamente agitano il sistema scolastico.
Emerge da esse, con forza una verità ineludibile: la scuola non si cambia per decreto o a colpi di editto ministeriale, ma solo se l’innovazione didattica e culturale riesce a diventare una “ballata popolare”, un patrimonio di idee, pratiche e motivazioni condiviso dalla comunità educante, come ci ha insegnato Giancarlo Cerini, di cui la Lega riprende il pensiero. L’idea di riforma, per avere successo, non può nascere in stanze isolate, ma deve trasformarsi in una narrazione a più mani, in cui docenti, studenti e famiglie si sentano narratori e protagonisti attivi. Il dibattito in corso sulle nuove Indicazioni, purtroppo, svela una preoccupante tendenza a confondere il punto focale, rischiando un pericoloso passo indietro sul piano pedagogico e un’incomprensione profonda della missione della scuola contemporanea.

La prima chiarezza da ristabilire con vigore riguarda il rapporto mai risolto tra conoscenze e competenze. Per troppi anni, un certo mondo accademico e una parte del corpo docente hanno alimentato il sospetto che la didattica per competenze fosse una moda passeggera destinata ad andare “a scapito” dell’acquisizione delle strumentalità e delle conoscenze fondamentali, riducendo la scuola a un problem solving decontestualizzato e superficiale. Questa lettura binaria è non solo fuorviante, ma storicamente datata.
Loretta Lega lo ribadisce chiaramente, riprendendo lo spirito del documento “Indicazioni nazionali e nuovi scenari” del 2018: le competenze di cittadinanza non sono affatto una “nuova materia” o un onere aggiuntivo da incastrare in orari già saturi. Sono, invece, l’esatto opposto: esse rappresentano il valore aggiunto e lo sfondo integratore che dà un senso unitario e funzionale ai saperi di base. La vera competenza non è l’alternativa al sapere, ma la sua attivazione in contesti complessi. Continua a leggere

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Guido Petter, una memoria che non svanisce

di Giancarlo Cavinato (ex allievo di Guido Petter)

Guido Petter (1927-2011) è stato psicologo, docente  e scrittore. Dal 1958 è stato professore ordinario di psicologia dell’età evolutiva a Magistero, poi di psicologia dello sviluppo presso la facoltà di psicologia dell’Università di Padova.  Si è successivamente dedicato alla “Psicologia dell’adolescenza”.

Le sue  ‘Conversazioni psicologiche con gli insegnanti’ hanno sostenuto e motivato generazioni di maestri/e.
Così come sono stati preziosi i suoi consigli ai genitori.

Partigiano in Val d’Ossola durante la seconda guerra mondiale, ha scritto diversi volumi di memorie sui suoi trascorsi nella Resistenza.
I suoi libri rivolti all’infanzia e all’adolescenza, ad esempio I ragazzi della banda senza nome  o  Che importa se ci chiaman banditi, Giunti, 1976, sono stati imprescindibili per i ragazzi nell’epoca dei boomers per i valori di solidarietà e giustizia che sottintendevano.

Insegnò come  maestro elementare alla fine della guerra. Conseguì la laurea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università Statale di Milano nel 1952, discutendo la tesi con lo psicoanalista Cesare Musatti. È attratto dalla psicologia infantile e dalla nuova scuola democratica italiana, fondata da ex partigiane e poi pedagoghe come Dina Bertoni JovineAda Gobetti (fondatrice del Giornale dei genitori). Continua a leggere

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Quando “facevo” educazione sessuale a scuola

di Rodolfo Marchisio

Riassumendo:

  1. Nelle LG Ed Civica 2024 il MIM prospettava, tra le righe, la Ed. sessuale nelle scuole come contrasto alla “violenza di genere”. La 40° educazione scaricata sulle scuole a costo zero.
  2. L’Italia è uno dei pochi paesi europei a non prevedere Ed. sessuale nella scuola (considerata “diritto alla salute”- Unesco).
  3. Il governo prepara un disegno di legge sulla Ed. Sessuale nelle scuole, previo consenso dei genitori.
  4. Per contrasti interni al governo stesso si propone di non fare educazione sessuale nella fascia dell’obbligo, ma solo ai più grandi (forse). In dubbio se avvalersi di associazioni o esperti esterni. Il governo della paura.
  5. Valditara afferma e Tecnica della scuola riprende: “la Ed sessuale fa già parte dei programmi della scuola” e via delirando.

A parte il fatto che i programmi non esistono più da tempo nella scuola, il ministro non lo sa e nessuno glielo fa notare al MIM, quelli che lui elenca come “programmi” (organi riproduttivi, loro funzionamento…) fanno parte delle tematiche da sempre trattate nell’ambito di scienze (basta leggere l’indice di un libro di testo) e c’entrano poco con la educazione sessuale tesa a formare o modificare comportamenti affettivi, di relazione corretta, di empatia e sensibilità; ma anche di accoglienza dei problemi che i giovani, soprattutto dalla preadolescenza in poi si pongono o cui cercano, da soli, in gruppo, ovviamente in rete, risposte talora sbagliate e comunque mai verificate e che creano disagi personali, generazionali o comportamenti scorretti anche violenti. C’è da domandarsi se i tecnici del MIM siano allo stesso livello del ministro o lo lascino andare avanti a fare figuracce per farsi quattro risate. Continua a leggere

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Educare all’aperto: a Forlì una esperienza pedagogica di grande interesse

di Monica Piolanti

 

Come pedagogista, osservo con particolare interesse i contesti scolastici che riescono a trasformare le sfide iniziali in punti di forza distintivi. La Scuola Primaria “Anello Rivalti” di Ronco, Forlì, parte dell’IC1 (nato nel 2016 dall’unione di quattro plessi), rappresenta un caso emblematico di questa metamorfosi, affermandosi oggi come un vero e proprio fiore all’occhiello per l’educazione Outdoor. Eppure, la sua posizione iniziale, nel contesto del nuovo Istituto Comprensivo, era complessa: “Rivalti” era una “realtà appartata/periferica” con un “corpo docenti ‘di quartiere’ disomogeneo” dove “i team lavoravano sempre separatamente”. Nonostante questa potenziale frammentazione, il plesso godeva già di un prezioso tesoro: spazi esterni ampi e docenti per la maggior parte “professionalmente preparati”. È in questo scenario che si è innestata la visione strategica e profonda della Dirigente Scolastica, la Prof.ssa Giuliana Marsico, che ha saputo riorganizzare il plesso a partire dai suoi asset. La Dirigente ha promosso una visione centrata sul principio della “cura come presa in carico” e del “benessere di tutti a scuola” – alunni e famiglie, docenti, personale – coniugata con una “qualità dell’insegnamento” che mira all’inclusione più ampia, per “promuovere il successo formativo di tutti”. Questa profonda attenzione emotiva trova la sua espressione più radicale nel motto che anima lo spirito del plesso “Rivalti”: “Amami quando lo merito di meno”. Questo non è solo un messaggio affettivo, ma un vero e proprio principio pedagogico che si fa carico del percorso educativo e si contrappone al rischio di “dispersione o quantomeno di emarginazione culturale” e alla presenza di “fenomeni di violenza (bullismo, cyberbullismo, dipendenze precoci) e di disagio sociale”. Questa interesse attento rivolto ad ogni singolo soggetto è stato poi tradotto in un imperativo di innovazione, finalizzato non solo a introdurre stabilmente le nuove tecnologie (LIM, aula immersiva, carrelli di tablet carichi e pronti per l’uso, dispositivi digitali mobili, laboratorio informatico super attrezzato di PC fissi e anche portatili) – considerate “strumenti imprescindibili” per i nostri bambini, ma utili anche per velocizzare e semplificare il lavoro – ma soprattutto a “introdurre e sperimentare nuovi modelli educativi e nuove metodologie”. L’obiettivo era rispondere a un mondo del lavoro mutato, dove le competenze richieste sono “anche di tipo sociale”, e superare la passività disattenta degli alunni, la cui motivazione è “sempre più labile”.

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Senza amicizia nel paradosso di morire di noia ed esplodere di energia

di Monica Barisone

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

Immagine che contiene disegno, schizzo, Arte bambini, calligrafia Il contenuto generato dall'IA potrebbe non essere corretto.

Qualche settimana fa, ascoltando Anna, mentre mi parlava delle sue amicizie, e delle loro fatiche, ho avvertito una sorta di sconcerto in quel che mi appariva come un senso diffuso di fatica relazionale, di interazione vischiosa, profondamente alterata. Non solo gli adolescenti ma anche i giovani adulti sembrerebbero sopraffatti da persistenti e costanti sentimenti di inadeguatezza, solitudine, precarietà, ansia, angoscia. Potenzialmente forti e pronti ad affrontare la vita, restano schiacciati dalla noia e dall’impotenza, nella ricerca della scelta giusta per il proprio futuro, senza poter fare esplodere a pieno la propria energia, né per costruire la propria vita autonoma, né per combattere un qualsivoglia nemico, difficile da identificare.

Tutto questo sembra contaminare pesantemente la loro quotidianità, ma anche ogni relazione sociale, amicale che diventa super esigente, centrata sull’esclusività o sull’utilizzo unicamente finalizzato alla soddisfazione dei propri bisogni primari.

L’amicizia, dunque, la relazione con l’altro, sembra aver perso il significato originario di reciproco affetto, costante e operoso, tra persona e persona, nato da una scelta che tiene conto della conformità dei voleri o dei caratteri e da una prolungata consuetudine (Dizionario Filosofia Treccani) per trasformarsi in un legame strumentale, dove l’altro è un mezzo per raggiungere prevalentemente un fine personale.
L’amicizia diventa allora altalenante, selettiva, poco empatica, assume forme opportunistiche, basandosi su bisogni individuali e sull’ottenimento di vantaggi, portando inevitabilmente a crisi e instabilità. Continua a leggere

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Il libro “Cuore”: perché non usarlo per “lezioni” di educazione civica?

di Monica Piolanti

Il sistema educativo italiano si confronta oggi con sfide inedite, caratterizzate da una crescente frammentazione sociale, una iper digitalizzazione che talvolta depotenzia la comunicazione interpersonale profonda e la necessità impellente di rifondare le basi dell’educazione civica come prassi esistenziale e sensibilità etica. In questo contesto, l’accelerazione dei processi culturali e la tendenza a privilegiare skill puramente tecnico-strumentali rischiano di sacrificare la dimensione formativa legata ai valori condivisi e all’identità nazionale intesa nel senso più lato di coesione civica.

L’emergenza di una diffusa anomia valoriale, spesso manifestata nel bullismo o in atteggiamenti di indifferenza verso la cosa pubblica, pone dirigenti, docenti e famiglie di fronte all’esigenza di riscoprire architravi pedagogici in grado di veicolare i principi fondamentali di solidarietà, rispetto e patriottismo civile.

La disattenzione verso le radici storico-letterarie della pedagogia italiana è un vulnus che merita una riflessione critica.
Per esempio, l’introduzione dell’Educazione Civica come disciplina trasversale (ai sensi della Legge 92/2019 nonché del Decreto Ministeriale n. 183 del 7 settembre 2024 che adotta le Nuove Linee guida per l’insegnamento trasversale dell’Educazione civica, in vigore dall’anno scolastico 2024/’25) ha evidenziato la necessità di materiali e approcci che sappiano toccare la sfera emotiva degli studenti, superando l’astrattezza delle norme, ma i “curricula” faticano ancora a integrare opere letterarie che abbiano storicamente assolto a questa funzione di collante socio-culturale.

I dati sulla dispersione scolastica, suggeriscono una crisi di senso che non può essere affrontata solo con riforme strutturali, ma richiede una ricostruzione identitaria a partire dai testi fondativi che hanno plasmato l’immaginario collettivo delle generazioni precedenti, ancorandoli al presente con una rinnovata metodologia didattica Continua a leggere

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Dalla tirannia del voto ad una democratizzazione del processo valutativo

di Monica Piolanti

Il dibattito sulla valutazione scolastica si colloca oggi in una fase di acuta e ineludibile crisi valutativa, un crocevia critico tra le istanze di trasparenza e rendicontazione della società e le necessità intrinseche di un apprendimento autenticamente significativo. Nell’attuale paradigma educativo, ossessionato dalla prestazione misurabile e da ranking internazionali, il voto numerico non è semplicemente uno strumento burocratico, ma è assurto a una vera e propria istituzione sociale che riflette e amplifica le pressioni esterne sul sistema.

L’attualità ci impone di superare la dicotomia sterile tra valutare e misurare, riscoprendo il profondo afflato etico che dovrebbe permeare ogni atto valutativo. La scuola, in un’epoca di rapidi mutamenti sociali e tecnologici, non può permettersi il lusso di perpetuare pratiche che compromettono il benessere emotivo e la genuina curiosità intellettuale degli studenti. L’analisi rigorosa dell’impatto dei voti rivela una serie di effetti iatrogeni non trascurabili, veri e propri pericoli che minano l’ecosistema educativo.

In primo luogo, l’enfasi esclusiva sul voto promuove in modo pervasivo la motivazione estrinseca, spostando il focus dall’amore intrinseco per il sapere al conseguimento del risultato numerico. Lo studente non si chiede più cosa ha appreso, ma quanto vale il suo apprendimento in una scala decimale o letterale, riducendo la complessità del processo cognitivo a un’unica e sintetica etichetta.

Questo determina un apprendimento superficiale e strategico, spesso limitato alla memorizzazione a breve termine e funzionale alla verifica, a discapito dello sviluppo di competenze metacognitive e di transfer duraturo. Il voto, inoltre, ha un impatto profondo sulla percezione di sé dello studente, innescando meccanismi di ansia da risultato e paura del fallimento che possono sfociare in fenomeni di burnout precoce e auto-sabotaggio. L’utilizzo di un numero singolo, spesso percepito come oggettivo e definitivo, ignora la multidimensionalità dell’intelligenza e l’unicità del percorso di crescita, contribuendo a un sistema di etichettamento che rischia di tradursi in una profezia che si autoavvera. Continua a leggere

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I Convitti della Rinascita: una storia incredibile

di Antonio Bettoni

Quella che segue è la presentazione del libro “Per una pedagogia della resistenza. L’esperienza dei convitti della Rinascita” fatta dall’autore il 7.10.2025 in occasione di un evento svoltosi presso il Polo del ‘900 a Torino.

Ringraziamenti agli organizzatori: Consiglio Regionale del Piemonte, Comitato Resistenza e Costituzione, Comitato provinciale torinese dell’ANPI e a tutti coloro che hanno collaborato all’organizzazione della mostra.

Un grazie particolare a Francesco Aceti e Antonio Cassarà che ci hanno invitati a questa iniziativa e offerto uno spazio per presentare il nostro libro PER UNA PEDAGOGIA DELLA RESISTENZA. L’Esperienza dei Convitti della Rinascita.

Perché questo libro?

Michel Foucault nel 1977 scriveva nella prefazione alla traduzione statunitense dell’Anti-Edipo di Gilles Deleuze e Félix Guattari: “Temo il fascismo che è in noi, che possiede i nostri spiriti e le nostre condotte quotidiane, il fascismo che ci fa amare il potere, desiderare proprio la cosa che ci domina e ci sfrutta”.

E’ questo il fascismo che si sta affacciando oggi in tante nazioni.
Basti citare gli Stati Uniti di Trump, e Israele di Natanyahu.
“Il fascismo, oltre che fenomeno storico può essere visto come categoria politica” scrive Massimo Baldacci nella Postfazione del libro da qui nasce la necessità di una Resistenza permanente.
E oltre aggiunge: Il fascismo moderno, nella maggior parte dei casi non si esprime più attraverso l’oppressione e la coercizione, ma cerca di realizzare un’egemonia politico-culturale e come ha scritto Gramsci “Ogni rapporto di egemonia è necessariamente un rapporto Pedagogico”.

Diciamo che da queste riflessioni è nata l’idea di costituire un Gruppo di lavoro denominato “Per una pedagogia della Resistenza, dell’antifascismo e della Costituzione” in seno all’Associazione Proteo Fare Sapere per contrastare sul piano pedagogico l’operazione di egemonia politico-culturale in atto nel paese.
Siamo debitori a Guido Petter, che ha lavorato attivamente nei Convitti Scuola della Rinascita, di aver richiamato in un documento dell’Istituto Pedagogico della Resistenza dal titolo “Per una Pedagogia della Costituzione e della Resistenza”, firmato insieme ad Angela Persici dell’importanza di parlare di “Una Pedagogia della Resistenza” e ciò – si legge nel documento – per almeno due ragioni: una di carattere teorico e storico, l’altra di carattere più contingente.”

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Sergio Neri: come si sono incrociati i nostri sentieri

di Cinzia Mion

In occasione dell’anniversario (25 ann) della scomparsa di Sergio Neri desidero anch’io stendere un piccolo ricordo pieno di affetto e riconoscenza verso  di lui e provare a rievocare come i nostri sentieri si siano incrociati.

Non ricordo con precisione quando ci siamo conosciuti. So però di certo che ciò che l’aveva colpito all’inizio è stato il mio interesse per la corporeità e la psicomotricità. Avevo infatti curato nel 1983, scrivendo anche la prefazione, un piccolo saggio dal titolo “L’adulto di fronte al bambino”di Andrè Lapierre, per una casa editrice poco conosciuta di Treviso, (più tardi ri-editato da Armando) ma che divenne presto noto a chi si interessava ai nidi e alla scuola materna; e a chi, insieme a queste istituzioni, aveva a cuore anche la prevenzione delle difficoltà relazionali dei bambini molto piccoli. Lapierre definiva questo intervento precoce “PSICOPROFILASSI”.

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Integrazione sociale in classe: dalla osservazione alla pratica

di Monica Piolanti

Dalle osservazioni che ho svolto in classe come pedagogista ho dedotto la necessità di operare per attivare un percorso di integrazione sociale, avviato dalle insegnanti, ma non perseguito con la necessaria sistematicità. Non basta infatti dire ad Andrea quando disturba di tornare al posto o di fare silenzio, ma occorre programmare un percorso di ascolto dell’altro, che si ottiene lavorando insieme agli altri con strumenti adeguati. Il comportamento disturbante di Andrea, che si alza dal banco, parla ed interviene in modo non pertinente, rappresenta sicuramente un elemento problematico, ma lo è altrettanto il fatto che la classe non rispetti le basilari regole di comunicazione come: alzare la mano quando si interviene, aspettare che un compagno finisca di parlare, ascoltare, intervenire in modo pertinente.

Inoltre, tutta la classe percepisce i momenti di riflessione e di discussione come situazione di disagio e di forte impatto emotivo, ragione per cui la maggior parte degli alunni non partecipa alle discussioni, risponde in maniera non pertinente o, come è emerso dalle osservazioni, risponde a bassa voce avvicinandosi alla cattedra della maestra. Tale atteggiamento non aiuta a creare un clima di partecipazione e di aiuto reciproco tra compagni che dimostrano di avere paura del giudizio degli altri. Il rumore sempre piuttosto forte che si sente in aula, provoca disagio a tutta la classe.

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