Archivi categoria: PEDAGOGIA

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Il Censis indaga sui compiti a casa

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Maurizio Parodi

Molto opportunamente, il CENSIS ha inviato ai dirigenti scolastici un questionario che ha lo scopo di acquisire elementi di valutazione sugli effetti dei “compiti a casa”.
L’indagine muove da una drammatica constatazione:

Le prove invalsi 2004 ribadiscono il quadro di una scuola delle disuguaglianze (territoriali, per genere, ecc.)”, evidenziando come i compiti a casa possano esserne una concausa: “i compiti a casa possono essere particolarmente gravosi per gli studenti svantaggiati. Potrebbero non avere un posto tranquillo dove studiare a casa o tanto tempo per fare i compiti a causa delle responsabilità familiari e lavorative; i loro genitori potrebbero non essere in grado di guidare, motivare e sostenere i propri figli mentre fanno i compiti a causa di obblighi lavorativi, mancanza di risorse e altri fattori, I compiti a casa potrebbero quindi avere la conseguenza involontaria di ampliare il divario prestazionale tra studenti provenienti da contesti socioeconomici diversi.
Dalle indagini internazionali inoltre emerge che a un numero più elevato di ore dedicate allo studio a casa non è associato un rendimento migliore: non si fa riferimento in questo ai “troppi” compiti a casa, ma al fatto che gli studenti in difficoltà e che, magari, non sono aiutati dai genitori, impiegano un numero di ore eccessivo per fare i compiti loro assegnati. Fattore che può causare stress e frustrazione.

Già la premessa risulta oltremodo significativa per più ragioni.

Primo spunto

Si ipotizza che i compiti a casa siano particolarmente gravosi per gli “studenti svantaggiati” e che possano “ampliare il divario prestazionale tra studenti provenienti da contesti socioeconomici diversi”. Continua a leggere

Contenti così, perché sbagliando si impara

di Monica Barisone

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

Qualcosa ci turba, ogni mattina, al risveglio.
Si tratta forse di unansietta[1] infingarda, di una piccola peste iperattiva che si diverte a prefigurare solo scenari negativi che affollano tutti insieme la nostra mente e affannano il nostro cuore?
Da dove sia arrivata e come si sia accumulata in noi è, più o meno, chiaro a tutti: scenari apocalittici da un lato e ricerca della perfezione prestazionale, assoluta, dall’altro; fattori, entrambi, estremamente ansiogeni.

Possiamo partire dal fatto che da diversi anni, ormai, si susseguano eventi rilevanti dal punto di vista delle ricadute negative sulla nostra immagine reale e virtuale di finanza, occupazione, salute, clima, vita civile, vita sociale e scolastica; e che da questa rappresentazione della vita derivi quasi linearmente una percezione di precarietà costante e catastrofe imminente. Vissuti di tal fatta, protratti a lungo nel tempo, non possono che attivare reazioni e meccanismi difensivi di egual portata.

Ricordo d’aver seguito un corso di aggiornamento[2] in cui si indicavano, tra gli effetti collaterali delle pandemie e delle catastrofi di origine naturale o umana, gli atteggiamenti e i comportamenti complottisti. Recenti ricerche (Bowes et all., 2023) evidenziano infatti, come, l’adesione alle teorie complottiste, sembri motivata soprattutto dalla necessità di esercitare controllo e dare significato agli eventi confusi o poco compresi. Queste teorie fornirebbero, in altre parole, una spiegazione alternativa capace di offrire sicurezza e senso di controllo rispetto all’ambiente. Continua a leggere

Pensieri intorno ad uno smartphone cacciato di scuola

di Giovanni Fioravanti

Come volavo con la mente fuori dall’aula, oltre la finestra! Là, fuori, c’era la vita, quella vita che lì, dentro alla scuola, restava sospesa tra le mura della classe. Una vita che brulica, che vive. A scuola si va per imparare la vita, ma la vita resta sempre fuori, la vita che si impara a scuola non è quella viva, ma quella già morta da molto tempo.

A scuola bisogna astrarre la mente dalla vita, concentrarsi sulla sua rappresentazione senza alcuna distrazione, se no non si impara. Eppure è strano perché prima di mettere piede a scuola quello che ci siamo imparati ce l’ha insegnato lei direttamente, la vita, semmai senza tanti riguardi, ma da lei abbiamo appreso quello che siamo.
Si sa, alla scuola quello che siamo non gli va bene, la scuola deve formare, raddrizzare le storture, educare, condurci fuori da noi stessi assimilando il verbo docente, il verbo passivo delle parole ascoltate o lette per essere imparate, mandate a memoria, ritornate alle orecchie dell’insegnante così come sono state confezionate per la nostra mente, per la nostra età, che non siano indigeste e storte, che non vadano di traverso, ma ritte e perfette.

Perché la scuola è per carattere riservata, non ha mai amato confondersi con il succedersi degli avvenimenti di fuori, perché il sapere a scuola ha una sua aristocrazia, tramandata di generazione in generazione e più è tramandata più il sapere è nobilitato. Non esistono i quarti di sapere, qui la nobiltà è del casato a cui il sapere appartiene, ognuno con le sue arme, sono discipline, sono materie d’antiche discendenze, già dai Trivi e dai Quadrivi. Continua a leggere

Un allenatore per la scuola italiana

di Pietro Calascibetta

Ho seguito come molti italiani lo straordinario percorso della pallavolo maschile ai tempi di Velasco, non solo per le vittorie, ma anche per il modo di gestire ( scrivo gestire e non solo allenare) le squadre.
Il mio interesse è cresciuto per questo personaggio quando, ritiratosi dalle competizioni, ha cominciato a fare l’opinionista, il conferenziere e il consulente sulla gestione dei gruppi di lavoro e sul ruolo del coach di una squadra aziendale o sportiva che fosse.
Mi ha colpito in particolare la risposta data già molti anni fa in un’inchiesta televisiva ad un giornalista preoccupato della sfrenata passione dei ragazzi per i videogiochi.
Velasco, per spiegare il perché i ragazzi stanno attaccati ore e ore alla console, gli fece notare che quando sbagli in un videogioco devi tu stesso trovare il modo di capire come trovare il modo per superare l’ostacolo e così salire di livello imparando dagli errori e riprovando in un modo diverso.
La soddisfazione, la parte ludica se vogliamo, sta proprio nell’ affrontare la difficoltà e nell’essere stati capaci di avercela fatta da soli da qui la voglia di continuare . Quando sbagli o il tuo avatar muore , diceva Velasco, il videogioco non ti giudica, non viene fuori una scritta lampeggiante del tipo “ sei stato incapace” o non sei stato sufficientemente bravo”, il videogioco non dice nulla , ti mette alla prova nuovamente, ti sfida continuamente. Il merito di chi gioca sta nell’aver imparato a superare gli ostacoli, di ’essere diventato capace di farcela.
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La pantera identitaria

di Giovanni Fioravanti

Quando si incita ad affermare la propria identità, in sostanza si invita a sventolarla in faccia agli altri e questo certo non si può dire che sia un gesto di amicizia.

Pensare oggi di porre a coronamento del curricolo del primo ciclo di istruzione l’acquisizione della propria identità nazionale, come sembra nelle intenzioni dell’attuale ministro dell’Istruzione e del Merito, ispirato dal pensiero della coppia Galli della Loggia, Loredana Perla, rischia di mettere in serio pericolo l’impellente necessità di formare le nuove generazioni a viversi come cittadini di un mondo in cui difendere la convivenza comune e il proprio comune ambiente di vita. Significa non aver appreso la lezione della storia che è apprendimento della “grammatica della civiltà”, la propria e quella degli altri, per non ricadere nelle barbarie del passato.

Non ci sono distinguo che tengano, pretestuose denunce sull’ignoranza della storia e della geografia del proprio paese da parte di studenti e studentesse formati agli apprendimenti e alle competenze prescritte dalle attuali Indicazioni curricolari nazionali per le scuole del primo e del secondo ciclo di istruzione. Se tali carenze ci sono, le cause vanno ricercate altrove, non tanto perché non sia chiaro a cosa debba servire la scuola pubblica, ma, se mai, perché non è chiaro cosa e come la scuola pubblica debba essere.

Agitare l’identità come elemento di compattazione di un popolo nel terzo millennio del mondo dovrebbe rendere avvertiti dei pericoli che oggi comporta, rispetto ai vantaggi che si presume possano derivare. Continua a leggere

L’empatia perduta

di Cinzia Mion

I recenti fatti di cronaca ci portano a fare delle considerazioni desolanti e insieme molto dolorose, indotte da moti di orrore e direi quasi di ripugnanza. La soggiacente formazione pedagogica però mi porta a cercare di piegare tali emozioni all’interno di una riflessione tesa alla ricerca di un riscatto o almeno ad una svolta educativa correttiva. Non posso darmi per vinta. Non posso…
Tra le derive sociali più preoccupanti da tempo noi persone di scuola segnaliamo l’INDIFFERENZA intesa come NON-CURANZA che sta crescendo in modo preoccupante.
Il filosofo lituano di origine ebraica Levinàs trent’anni fa affermava che il “volto dell’altro mi interpella”, volto dell’uomo sofferente e morente, e dove “l’interpellare” aveva un significato profondo e quasi viscerale di richiamarci alla nostra umanità…
Beh oggi il volto dell’altro non solo non ci interpella più con questo significato ma stiamo purtroppo spesso verificando che invece di sollevarci pietà, lascia via libera non alla semplice indifferenza ma addirittura al “sadismo”, alla “crudeltà”, e addirittura alla “perversione”.
Da troppo tempo stiamo assistendo al fenomeno delle baby gang, formate da preadolescenti carichi di rabbia, ma ora ciò che è successo a Pescara da parte di due sedicenni, nei confronti di un altro sedicenne, ha superato di gran lunga i limiti. Non possiamo tutti noi adulti non auto-interrogarci: famiglia e scuola. Continua a leggere

Spiragli di luce. Qualcosa sulle paure dei ragazzi di oggi

di Monica Barisone 

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

Non è facile far parlare i ragazzi delle loro paure, non lo fanno spontaneamente, ma a ben guardarli, a volte si coglie come una sorta di pallore, di smarrimento e allora, la fantasia che, sottotraccia, ci sia un lieve senso di paura diffusa, si coagula nella mia mente. Se provo a chiedere, formulando una domanda diretta sull’attuale periodo storico, allora decidono di aprire il vaso di Pandora, ed ecco che l’indicibile comincia a scorrere fuori come una lava incandescente e, attorno, rischia di rimanere solo la cenere.

C’è chi mi racconta di sentirsi messo in difficoltà dal boom mediatico rispetto ad alcuni eventi di cronaca, di vergognarsi di essere uomo. Chi denuncia quanto il contesto mondiale sia ansiogeno, disarmante, e muova soprattutto sentimenti di impotenza. Chi sostiene che sia meglio prendere un cane per difendersi che pensare di generare un figlio in un mondo senza speranza. C’è chi non si fa domande per la paura di rintracciare le risposte. I temi più ricorrenti sono il cambiamento climatico, i conflitti, la violenza agita e parlata.

Ho visto recentemente un video su un social che cerca di raccontare a fumetti quello che ci sta succedendo, violenza, finzione e correzione dell’immagine estetica di sé e del potenziale partner, diffusione di immagini private e lesione della privacy che possono portare al suicidio. Tutti assistono col cellulare in mano, riprendono o fotografano e cadono in un tombino che non vedono. Solo un ragazzino osserva ad occhio nudo e piange.
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