Archivi categoria: PEDAGOGIA

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La pedagogia per amica

di Raimondo Giunta

Quand’ero studente di filosofia a Padova guardavo con sufficienza la pedagogia, perchè pensavo che dovesse interessare i maestri elementari o i futuri direttori didattici, ma non gli studenti che avrebbero dovuto insegnare storia e filosofia nei licei.

Non mi aiutava a cambiare opinione nei confronti di questa disciplina l’avversione viscerale verso il cattedratico, che ne teneva le lezioni, per la sua esibita alterigia accademica. Quando venne la stagione della libertà dei piani di studio non mi sembrò vero che potessi togliermi dai piedi la pedagogia. La sostituii con filosofia della religione.

L’insegnamento alle medie mi ha costretto ad una rapida inversione di rotta; non ho avuto giorni migliori e più felici di quelli trascorsi con i ragazzi che andavano dagli undici ai quattordici anni e per come sono fatto, per non perdere tempo e per fare nel modo migliore il mio lavoro, mi sono messo subito davanti testi di didattica, di pedagogia, di psicologia, di linguistica, di storia delle istituzioni scolastiche, di sociologia dell’educazione. Sono stati anni ti travolgente entusiasmo e di fervide letture.
Ho incominciato seriamente a chiedermi quali fossero le finalità del lavoro che facevo, come sarebbe stato giusto farlo, che cosa ne doveva essere dei ragazzi delle mie classi. Continua a leggere

Francesco De Bartolomeis, un maestro della pedagogia contemporanea, e di molti di noi

di Gianni Giardiello

 Vi racconto di Francesco De Bartolomeis, un importante maestro della pedagogia contemporanea, docente emerito della Università di Torino, insignito del titolo d’onore dell’Accademia Albertina delle Arti di Torino per i suoi meriti di critico d’arte.

Christian Raimo nel gennaio del 2020, in un articolo sulla rivista “Internazionale” pubblicato in occasione del 102esimo compleanno del prof., lo presentava così:

“E’ nato a Salerno mentre finiva la prima guerra mondiale e aveva 21 anni quando scoppiava la seconda. A 26 anni ha pubblicato –per intercessione di Benedetto Croce-  il suo primo saggio “Idealismo e Esistenzialismo”, attraverso cui faceva già i conti con l’eredità idealogica del fascismo. E’ un antifascista convinto.  …. Da molti anni vive a Torino e la sua storia è la storia della migliore classe intellettuale che questo Paese abbia avuto. … Delle persone anziane come lui in genere si dice che siano lucide per fargli un complimento; ma De Bartolomeis è molto più che lucido: è analitico, puntualissimo, idiosincratico, aggiornato, combattivo.”

Il racconto che mi accingo a fare riguarda un paio di decenni della sua, mia /nostra vita, quelli in cui noi ci siamo formati umanamente e professionalmente che vanno grosso modo dalla seconda metà degli anni   ’50 o giù di lì, ai primi anni ’70. Uso il noi plurale con un po’ di supponenza, ma senza timore di sbagliare, poiché sono certo che in questa storia non ci sono solo Francesco ed io, ma anche molti di voi, colleghi e amici e miei contemporanei, che mi state leggendo. Poi ci stanno molte altre cose, le nostre scuole, le idee sociali, i principi per una nuova educazione, le teorie pedagogiche, le vicende di un Paese che cercava di rimettersi in sesto e rilanciarsi dopo gli anni orribili del ventennio fascista e le conseguenze di una guerra rovinosa.

Francesco De Bartolomeis è stato uomo di grande cultura, esponente della migliore classe di intellettuali che abbia avuto il nostro Paese “Quella classe –come dice Raimo nella già citata sua presentazione – che negli anni dell’immediato dopoguerra s’inventa una cultura democratica per una società che ancora non esiste”. Continua a leggere

Far amare agli allievi il sapere che devono possedere


di Raimondo Giunta 

A scuola il dogmatismo metodologico dovrebbe restare fuori dalle sue mura, perché non c’è deduzione tra finalità educative e procedure didattiche; ci sono tentativi e percorsi di avvicinamento.
I principi si possono incarnare in pratiche differenti, adattabili a contesti diversi e a diversi alunni, a diversi contenuti dell’apprendimento.
Questo non significa che si è liberi da qualsiasi vincolo di coerenza ,ma che bisogna con discernimento orientarsi verso quei modelli didattici ritenuti più adeguati alle situazioni date, sapendo in partenza che a-priori non ci sono metodi universalmente buoni e sempre efficaci.

Il problema di sapere quale pratica adottare nell’insegnamento è subordinato a quello di stabilire quali apprendimenti debbano essere conseguiti dagli alunni, resi necessariamente consapevoli della loro importanza e del loro valore. Su questi obiettivi si misura la pertinenza dei mezzi e delle procedure da usare. Si raggiungono i risultati sperati, se l’alunno riesce a sentire come scoperta personale il possesso del sapere e a “rapportarsi ad esso con uno spirito amichevole e curioso”(D.Nicoli).
Per questi obiettivi sarebbe auspicabile fare almeno un tratto dell’itinerario intellettuale dell’apprendimento con il modello della scoperta, che nei luoghi scolastici non può che essere inquadrato, semplificato, didatticizzato; lontano comunque dall’insegnamento ex-cathedra. “Imparare a essere scienziati non è la stessa cosa di imparare le scienze: è imparare una cultura con tutto il contorno non razionale del fare significato che l’accompagna”(J.Bruner).

Lavorare per enigmi, dibattiti, situazioni-problema, piccoli progetti di ricerca, esperimenti comporta, però, un considerevole cambiamento del modo di insegnare. Continua a leggere

Il diritto all’educazione nel mondo attuale

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Il diritto alla educazione nel mondo attuale è un piccolo volume di Jean Piaget pubblicato nel 1951 dalle Edizioni di Comunità, la casa editrice fondata da Adriano Olivetti.

Il volumetto faceva parte della collana Diritti dell’Uomo curata dalla Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco) ed era stato tradotto in italiano da Carla Musatti.

Nel libro Piaget affronta la questione del diritto all’educazione nel mondo attuale, diritto che, a suo parere, dovrebbe garantire che tutti gli individui abbiano accesso a un’istruzione che rispetti il loro sviluppo cognitivo unico e che promuova l’apprendimento attivo e significativo. Ciò implica la necessità di un sistema educativo che sia flessibile, inclusivo e in grado di adattarsi alle esigenze di una società in rapido cambiamento.

Un breve passaggio tratto dalle prime pagine del libro ben chiarisce cosa intendesse Piaget per diritto alla educazione:

Affermare il diritto della persona umana all’edu­cazione è assumersi una responsabilità assai più grave che non quella di assicurare a ciascuno il pos­sesso della lettura, della scrittura e del calcolo: è garantire effettivamente a ogni bambino l’intero sviluppo delle sue funzioni mentali e l’acquisizione delle cono­scenze e dei valori morali che corrispondono all’eser­cizio di tali funzioni, fino all’adattamento alla vita so­ciale attuale. Di conseguenza significa soprattutto assu­mersi l’obbligo- tenendo conto della costituzione e delle attitudini che distinguono ogni individuo – di non distruggere nè sprecare alcuna delle possibilità che egli racchiude in sè e di cui per prima la società è chia­mata a beneficiare, evitando di lasciare che se ne per­dano importanti frazioni e che altre rimangano sof­focate.

 

Il poliziotto e l’insegnante, entrambi al servizio della “salus”

di Antonio Vigilante

All’età di diciotto anni ho fatto il concorso in Polizia. Ricordo un viaggio in treno di notte, nel corridoio, una mattina al foro romano e un pomeriggio all’hotel Ergife a mettere crocette su un foglio – mi si chiedeva tra l’altro, ricordo, cos’è l’echidna – cercando di non addormentarmi. Lo superai. E per qualche giorno, dunque, mi chiesi se quella non fosse la mia via. Una uscita assolutamente onorevole per uno della mia classe sociale; e del resto il mio professore di musica a lungo aveva cercato di convincermi a lasciare la scuola, evidentemente così poco efficace con me, per fare il poliziotto, un lavoro che, in difetto di qualità intellettuali, avrebbe potuto mettere a buon frutto le mie qualità fisiche.
Decisi di no, alla fine. Avevo cominciato l’università e i primi due esami erano andati molto bene. Forse qualche qualità intellettuale c’era.

Ho ripensato a quel bivio in questi giorni. Alcuni studenti manganellati dai poliziotti in una manifestazione pacifica. Una cosa che ha indignato tutti gli insegnanti. E nei comunicati delle scuole emerge una certa visione della scuola come alternativa radicale alla violenza: il luogo in cui ci si educa al dialogo, alla nonviolenza, al confronto costruttivo, ai valori democratici: eccetera.

Ora, sarà per colpa di quel bivio, ma mi capita spesso di pensare che io e il poliziotto che avrei potuto essere procediamo in parallelo, se non proprio fianco a fianco.
È colpa anche, a dire il vero, di Althusser e della sua teoria degli Apparati Ideologici di Stato.
Mi capita di chiedermi se, oltre a lavorare entrambi per lo Stato, non si faccia entrambi, in fondo, la stessa cosa: difendere, puntellare, giustificare lo stato di cose esistente. L’assetto sociale, le stratificazioni di classe, le differenze di status, le intermittenze del riconoscimento. Per dirla con Galtung, che è venuto a mancare qualche giorno fa: la violenza strutturale. E, per aggiungere Galtung ad Althusser, siamo sicuri di non avere a che fare, in quanto insegnanti, con quella violenza culturale che giustifica e fonda sia la violenza strutturale che quella fisica? Continua a leggere

L’economia dell’istruzione non ha titolo per parlare dei saperi del curriculum

di Raimondo Giunta

Cos’è l’economia dell’istruzione

Nel DNA di questa disciplina c’è l’impulso a rendere efficiente la spesa pubblica per l’istruzione e spesso c’è anche la preoccupazione a non aumentarla.
Alcuni suoi cultori, tra le tante affermazioni che fanno, sostengono che non è più sostenibile l’idea che non si debba cambiare la composizione della spesa pubblica per l’istruzione e che questa debba solo crescere. Le risorse per l’istruzione che bisogna strappare all’avidità di altri reparti dello Stato devono essere spese bene, senza sprechi, in modo efficace e ogni innovazione, così come il mantenimento dell’esistente, devono essere sottoposti ad una rigorosa analisi dei costi. Ma è davvero facile definire l’impiego ottimale delle risorse in campo educativo?
Ci sono delle difficoltà e “queste sorgono già nell’identificazione di una metrica comune delle variabili influenti sul prodotto scolastico; emergono nella valutazione delle relazioni fra output e input per individuare la combinazione efficiente di fattori e permangono nella determinazione delle soglie dimensionali e dei criteri organizzativi per l’impiego efficiente dei fattori”(Ugo Trivellato).

A queste difficoltà si aggiungono poi problemi operativi nel tradurre acquisizioni concettuali in interventi nella realtà.  Alle stesse conclusioni arriva E.  Somaini nel suo testo “Scuola e mercato”
L’autore tiene a sottolineare “che non tutte le modificazioni nel soggetto sono risultati dei processi formativi, perché sono influenzati in modo significativo da una serie di fattori di origine naturale, ambientale e sociale, che si manifestano gradualmente e lungo un arco esteso di tempo e che malgrado queste difficoltà, logiche e di misurazione l’adozione (con le dovute cautele) di un approccio produttivistico è auspicabile e ……..  anche possibile”.
Appunto auspicabile e possibile. Non credo che lo statuto epistemologico della disciplina abbia superato questi limiti.

Una teoria economica dell’istruzione, che non abbia eccessive ambizioni, aiuta a orientarsi nelle scelte degli investimenti più efficaci per il miglioramento del sistema formativo, anche se non sono esattamente quantificabili i loro effetti produttivi reali e potenziali.
Aiuta, anche, a comprendere che cosa comporta in termini di sviluppo economico un mancato livello d’istruzione della società, ma non può parlare con autorità sui saperi dell’istruzione che si ritengono necessari per la generalità di tutti i giovani che devono andare a scuola. Precauzione, questa, svanita nel corso degli anni, tant’è che molti cultori dell’economia dell’istruzione continuano a lanciare proclami sui “prodotti “scolastici necessari, redditizi e vantaggiosi per tutti. Continua a leggere

Classi aperte e laboratori

di Giancarlo Cavinato

una scuola comunità
si può fare…scuola al di fuori della classe

Le finalità educative previste dalle Indicazioni Nazionali  possono essere assorbite e soddisfatte completamente nel chiuso di una classe? Noi riteniamo indispensabile l’apertura, la dinamica del comporsi e ricomporsi di gruppi diversi: per età, per incarichi, per percorsi.

 

Nel convegno di Reggio Emilia del 1976 sulla scuola a tempo pieno Daria Ridolfi scriveva: ‘’Noi vogliamo una scuola piena, articolata, multiforme, capace di accogliere ogni bambino con la sua storia, la sua cultura, i suoi interessi, e di porlo in un rapporto utile e stimolante coi coetanei, con gli insegnanti, con l’ambiente.[1]

La proposta che il Movimento di cooperazione educativa sta portando avanti prevede un’articolazione degli spazi e dei tempi della scuola sul modello delle classi aperte.
L’idea che intendiamo sostenere è la proposta di unità tematiche trasversali che affrontino dal punto di vista di diversi approcci disciplinari aspetti della realtà su cui fare ricerca. Non, quindi, un repertorio o un catalogo di obiettivi come nel caso  delle UDA, che rischiano a volte di  ricalcare  le programmazioni tassonomiche, ma una progettazione in itinere fatta di esperienze basate su interessi e motivazioni e di possibili direzioni di sviluppo. Un tema, un aspetto della realtà, può essere affrontato secondo diverse angolature (‘teatri cognitivi’) e con diversi materiali e strumenti a disposizione: leggendone gli aspetti letterari, artistici, musicali, matematici, scientifici, tecnologici, attraverso il coinvolgimento di tutti i sensi, delle emozioni, del corpo, e conseguentemente consentire di produrre diversi tipi di elaborazione da comunicare ad altri: testi, copioni, filmati, e-book, scenari, canti, danze, esperimenti e strumenti per la rilevazione di dati, …. Continua a leggere