La disintermediazione tra istituzioni come schiaffo all’autonomia scolastica

di Stefano Stefanel e Aluisi Tosolini

Il Ministro dell’Istruzione Valditara e tutta la macchina burocratica del Ministero dell’istruzione e del Merito da oltre un anno si sono orientati verso la disintermediazione nei rapporti istituzionali con le scuole autonome.
Come si sa l’autonomia scolastica – almeno a parole – non si può toccare, visto che è diventata di rango istituzionale con la modifica attuata attraverso la legge n° 3 del 2001, confermata da un referendum popolare. Ma nei fatti il MIM ha deciso che non sono più le scuole a dover intermediare con studenti e famiglie, ma che ci deve essere una disintermediazione ministeriale per raggiungere le famiglie e l’opinione pubblica senza che le scuole possano dire nulla. Fino ad oggi questa disintermediazione è stata effettuata tramite comunicati stampa, post sui social, dichiarazioni su scenari futuri. A gennaio c’è stata anche una lettera del Direttore generale degli Ordinamenti Carmela Palumbo ai Dirigenti scolastici per favorire le iscrizioni al 4+2, cioè ad una sola delle molte opzioni presenti nelle Scuole superiori. Anche la partita delle Nuove Indicazioni 2025 è stata giocata tutta a livello social e mediatico, soprattutto attraverso personaggi come Ernesto Galli della Loggia che hanno veicolato le idee palesemente di destra che hanno fatto da motore ideologico di Indicazioni Nazionali di stampo sovranista.

Ma da ieri c’è stato un salto di qualità: la pubblicizzazione dello strampalato Piano Estate 2025, cioè di iniziative para-scolastiche che dovrebbero coinvolgere anche Enti locali e Terzo Settore per l’estate e anche oltre, è stato accompagnato da un’intemerata comunicazione diretta ai genitori, prima che ai dirigenti scolatici, attraverso i registri elettronici. Continua a leggere

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Intelligenza Artificiale e Scuola, Intelligenza Artificiale a Scuola

di Stefano Stefanel

In un interessante convegno svoltosi a Trieste il 16 marzo 2025 Sandro Nigris (A.I. e Video Specialist presso Microsoft) ha mostrato i dati di alcune ricerche internazionali riguardanti l’Intelligenza Artificiale, esplosa dopo l’uscita pubblica della sua funzione generativa il 30 novembre 2022 con Chat GTP.
Secondo Nigris entro il 2030 il 70% delle competenze richieste sul lavoro saranno cambiate e influenzate dall’Intelligenza Artificiale.
Per cui alla domanda: “Come faccio a perdere il lavoro?” la risposta è semplice: “Continua a fare quello che stai facendo”. Secondo Nigris si sta passando da F.O.M.O. (Fear Of Missing OutPaura di essere tagliati fuori) a F.O.B.O. (Fear Of Better OptionsPaura di perdersi le opzioni migliori che si trasforma in indecisione cronica. Sempre più persone soffrono anche per colpa dei social).
E quindi lui suggerisce cinque soluzioni per salvarsi o cercare di salvarsi da quello che sta venendo avanti: “1. Non fare nulla. Continua così finché riesci. 2. Lavora con le A.I. 3. Lavora nelle A.I. 4. Nuota nell’Oceano blu dei nuovi mestieri. 5. Impara a fare l’imprenditore di un’azienda con un solo dipendente: tu.

Se si analizza l’opinione di Nigris dal punto di vista della scuola e della pubblica amministrazione italiana è necessario fare una correzione: tutto questo riguarda certamente tutti i giovani e i lavoratori a partire dai zero anni ai venti anni (i giovani), per passare ai lavoratori e per finire con gli ultrasessantenni ma under settantenni (i lavoratori non ancora andati in pensione), ma non i dipendenti statali italiani, assunti a tempo indeterminato, non licenziabili, non obbligati ad imparare nulla, anche se una parte della pubblica amministrazione deve fare formazione (però non valutata), mentre nella scuola esiste solo il diritto-dovere alla formazione, cioè il liberi tutti per cui la formazione la fa solo chi ha voglia di farla. Continua a leggere

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La valutazione dei dirigenti scolastici, ma per valutare cosa?


di Stefano Stefanel
Qualche giorno fa improvvisamente la piattaforma FUTURA, 4.0 che registra tutti i corsi che si stanno svolgendo in Italia in attuazione del PNRR.ISTRUZIONE, ha introdotto un assurdo filtro che ha fatto per qualche giorno diventare le procedure di gestione complicate, lunghe, inutilmente burocratizzate. Nelle chat dei dirigenti scolastici è partita una serie di post di protesta che sono andati avanti per un paio di giorni finché il MIM non ha fatto marcia indietro. Sempre più spesso le chat dei dirigenti e i post sui vari social stigmatizzano la burocrazia oppressiva: tutto questo rientra nella logica propria dei social che sono molto più facilmente attivabili per indignazione, piuttosto che per proposta. Cioè, se noi ci indigniamo di qualcosa abbiamo audience sui social, se proponiamo qualcosa cadiamo nel dimenticatoio. Dal punto di vista dei contenuti l’idea ministeriale di inserire un filtro nella piattaforma era peregrina e burocratica oltre che inutile e le proteste logiche. Quindi nulla da segnalare.

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Indicazioni Nazionali: un documento reazionario

di Stefano Stefanel

Se non ci fosse l’articolo 117 della Costituzione, quello che ad un certo punto dice che va fattasalva l’autonomia delle istituzioni scolastiche” la scuola italiana tornerebbe ai programmi ministeriali, centralizzati, diretti dal ministero e solo programmati dalle scuole. Come nel caso delle Linee guida sull’Educazione Civica anche la bozza delle nuove Indicazioni Nazionali non parla alla scuola ma all’opinione pubblica, nel tentativo di farle scambiare il sovranismo reazionario per una posizione conservatrice.
In realtà la scuola è da sempre conservatrice, tant’è che tutte le riforme si sono infrante sull’impianto gentiliano del sistema scolastico italiano e hanno prodotto risultati parziali, rispetto agli obiettivi riformatrici programmati (autonomia scolastica di Berlinguer, riordino dei cicli di De Mauro, Riforma Moratti, Riforma Gelmini, Buona Scuola di Renzi e via enumerando).

Queste nuove Indicazioni Nazionali non serviranno a molto come a molto (io dico: purtroppo) non sono servite quelle del 2012, perché la scuola italiana è avvolta nella conservazione dell’identico, scandito da libri di testo e classi di concorso che la fanno da padrone. Continua a leggere

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L’occasione demografica

di Stefano Stefanel

Il Rettore dell’Università Bocconi di Milano Francesco Billari e l’Ordinaria dell’Università del Molise Cecilia Tomassini hanno pubblicato sul Corriere della sera del 6 marzo 2025 un interessante articolo dal titolo “Scuola, l’occasione demografica”. Nella prima parte dell’articolo vengono evidenziati alcuni problemi strutturali della scuola e dell’università italiana:

  • il 38% degli uomini e il 33% tra le donne non ha ottenuto il diploma di scuola superiore”;
  • “nelle generazioni più giovani questa quota è ormai poco sopra 10%, ma rimaniamo tra i peggiori in Europa”;
  • “l’aumento della proporzione di diplomati al passare del tempo non ha risolto i problemi: quasi un maturando su due non raggiunge livelli soddisfacenti nella capacità di interpretare un testo scritto o non ha basi sufficienti in matematica”;
  • “rimane poi stagnante la proporzione di immatricolati che si iscrive all’università, attorno al 60%, preparando la strada per una quota di laureati che rimane tra le più basse nei paesi sviluppati”.

Poi i due docenti universitari osservano che “meno studenti significa che, a parità di costo complessivo, l’investimento pro-capite può aumentare. Alla minore quantità si potrebbe accompagnare così una maggiore qualità”. Dopo l’analisi viene scritta anche una petitio principii: “Bisogna essere scientifici e non ideologici, partendo dai dati e dalla ricerca sui sistemi scolastici.” I dati che vengono citati sono, ovviamente, corretti, ma la chiusa dell’articolo sembra uno di quei finali molto attesi dove lo spettatore viene però deluso dalla genericità della soluzione: “dobbiamo ripensare la scuola guardando ai modelli degli altri paesi, e trovando una nostra strada. Probabilmente, con una riforma radicale, a cent’anni da quella di Giovanni Gentile, che trasformi i bassi numeri della demografia in una qualità di uscita elevata dalle scuole secondarie e in disuguaglianze ridotte. Con più tempo, più investimenti sugli insegnanti che si mettono in gioco, e una maggiore centralità degli studenti. Guardando ai dati e non alle ideologie per valutare gli esiti.”

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Un nuovo profilo: il dirigente scolastico giudice

di Stefano Stefanel

Una ventina di anni fa c’era una dirigente scolastica distaccata ad un Ufficio Scolastico che amava accompagnare qualunque affermazione alla frase: “ce lo chiede l’Europa”. E a qualunque obiezione riguardo a contorte e astruse proposte che lei caldeggiava rispondeva allargando le braccia: “purtroppo ce lo chiede l’Europa”. Sono andato, a quel tempo, a cercare dove l’Europa ci diceva di fare questo o quello, ma non ho mai trovato nulla che assomigliasse anche lontanamente a quanto veniva proposto, ma poiché la dirigente era simpatica ed operativa ho dedotto che aveva capito meglio di me cosa realmente ci chiedeva l’Europa. Dopo vent’anni devo dire che, anche se veramente l’Europa ci chiedeva quello che la dirigente scolastica distaccata intendeva, poi l’Europa di quello che abbiamo fatto noi non ne ha fatto nulla. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.

In questi tempi il mantra si è spostato e davanti a qualunque decisione molti dirigenti scolastici dichiarano: “lo dice la legge”, “mi limito ad applicare la legge”. Davanti a questa apodittica declaratoria c’è la tendenza ad abbassare il capo e a ubbidire, anche perché verificare se c’è veramente una legge che dice quello che viene richiesto, prevede uno sforzo e perdite di tempo che, pare, pochi vogliono compiere. Meglio aspettare qualche sindacato che cominci a protestare o qualche chat che apra il dibattito.

La questione della legge è ben strana per due motivi:

  • se c’è una legge che prescrive di fare qualcosa senza “se e senza ma” come mai in almeno altri cinquemila istituti italiani questa cosa non la si fa?
  • in base a quale autorità un dirigente scolastico stabilisce cosa una legge dice o non dice? cioè, da dove deriva il suo ruolo di autentico interprete della norma?

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I pericoli di Eduscopio

Composizione geometrica di Gabriella Romano[/caption] di Stefano Stefanel & Aluisi Tosolini                  Anche quest’anno, come ormai accade da una decina d’anni, per alcuni giorni dell’autunno le cronache giornalistiche e i social saranno avvolti dai risultati di Eduscopio, il centro di ricerche finanziato dalla Fondazione Agnelli che fa le classifiche delle scuole superiori. Eduscopio agisce in regime di monopolio, perché il Ministero nelle sue varie denominazioni (Pubblica Istruzione, Istruzione, Istruzione Università e Ricerca, Istruzione e Merito) si rifiuta di mettere i dati a regime e di pubblicarli ufficialmente facendo solo trapelare dati parziali dentro indicazioni generali sempre molto controverse (combattere la dispersione ed essere più rigorosi nel bocciare, fornire educazione e formazione e punire il più possibile, insegnare il cognitivo e progettare il metacognitivo) e lasciando, quindi, ad Eduscopio il monopolio dell’informazione sull’orientamento post diploma della Scuola superiore. La ricerca di Eduscopio è condotta in modo rigoroso, ma parte da un punto di vista settoriale e dunque analizza solo una parte del sistema scolastico. Continua a leggere

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L'umiliazione dei licei: secondo il Ministero sono scuole poco impegnative e facili da gestire

di Stefano Stefanel Una delle prime cose che si insegna a tutti i docenti che vogliono diventare dirigenti scolastici è che ogni provvedimento della Pubblica Amministrazione deve rispondere a canoni di efficienza, efficacia ed economicità. Se almeno una di queste tre caratteristiche non è soddisfatta allora è meglio lasciar perdere. Di recente, improvvisamente e a sorpresa, il MIM ha emanato una divisione degli Istituti scolastici in fasce al fine della retribuzione dei dirigenti scolastici. La retribuzione dei dirigenti scolastici prevede una parte fissa uguale per tutti, eventuali assegni ad personam legati a situazioni del passato transitati nella dirigenza (che residua per non tantissimi casi) e due retribuzioni variabili: una “di posizione” (la complessità della scuola che si dirige) e una “di risultato” (a seguito della valutazione obbligatoria del dirigente scolastico). Poiché anche i dirigenti scolastici non vogliono farsi valutare a fini stipendiali (come del resto in Italia praticamente tutti ad eccezione degli studenti) e in questo vengono spalleggiati sia dai sindacati generalisti (per intenderci CGIL, CISL, UIL, Snals, ecc.) sia da quelli di categoria (citerei solo ANP) dalla nascita della dirigenza scolastica (1999) nessuno è stato valutato a fini stipendiali. Continua a leggere

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Il dirigente scolastico oggi

di Stefano Stefanel  La preparazione del dirigente scolastico, prima di essere assunto come tale tramite concorso ordinario o tramite straordinarietà varie o sentenze giudiziarie, verte su due elementi che si contrappongono:

  1. la conoscenza teorica e manualistica delle norme del sistema scolastico italiano e la loro declinazione in una struttura perfettamente funzionante dove doveri, obblighi, progetti, controlli e poteri organizzativi si armonizzano in un’idea di scuola come comunità educante coesa e ben inserita nel contesto territoriale;
  2. l’esperienza personale fatta come docente quasi sempre impegnato nella gestione della propria scuola, nello sviluppo di progetti, nella organizzazione del microcosmo autonomo che si colloca dentro il proprio istituto.
Appena assunto in ruolo il dirigente scolastico si accorge, invece, di due cose diverse:
  1. la teoria non coincide con la pratica, perché l’autonomia scolastica ha reso il sistema, in quanto tale, illeggibile e dunque ogni scuola ha una sua chiave di lettura;
  2. l’esperienza pregressa si manifesta subito come un elemento negativo, perché le procedure di una scuola difficilmente si adattano ad un’altra scuola, magari di ordine diverso.
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Valorizzazione dell'autonomia scolastica, ma anche del centralismo e altri esempi di strabismo politico

di Stefano Stefanel Ci sono tre locuzioni che stanno quasi come “motto” sopra le scuole, perché costituiscono la cornice ovvia entro cui situare l’autonomia funzionale delle scuole italiane: sono le “finalità generali del sistema”, gli “obiettivi generali del sistema formativo”, i “livelli essenziali delle prestazioni”.  Le prime due locuzioni si trovano nel DPR 275/1999 e la terza alla lettera m) dell’art. 117 della Costituzione così come modificato dalla legge costituzionale n° 3 del 2001. Chi sta fuori dal sistema scolastico nazionale può immaginare di trovarsi di fronte ad un libro in cui finalità, obiettivi e livelli essenziali delle prestazioni siano definiti in modo chiaro ed enciclopedico. Tutto numerato e ordinato, con precisi riferimenti normativi, contratti del personale firmati regolarmente di conseguenza, nessuna sovrapposizione o contraddizione. E invece, il sistema si ordina per salti, senza nessun documento che definisca tutto quello che è in vigore e che deve essere applicato (o disapplicato), con anche le modalità di applicazione. Forse in un momento così convulso, com’è quello attuale, può essere interessante comprendere perché il sistema si sia ordinato in questo modo e non come una semplice enciclopedia che tutti (giudici inclusi) possono, alla bisogna, consultare. Solo quest’anno il sistema scolastico italiano ha licenziato (finora) le Linee guida per l’orientamento,  la nomina dei tutor e del tutor orientatore, il Liceo Made in Italy che convive con Liceo Economico Sociale, dopo che era stato annunciato che l’avrebbe assorbito, il percorso di 4 e non 5 anni per gli Istituti Tecnici su base vocazionale (scelta delle scuole e scelta delle famiglie), lo sviluppo piuttosto senza regole degli ITS, l’attuazione del PNRR, il PNRR sui “divari territoriali”, i D.M. 65 e 66, il personale ata assunto fino a dicembre sul PNRR e poi prorogabile con le modalità decise dal ministero, ma pagato coi fondi delle scuole, il concorso straordinario per dirigenti scolastici aperto a chi ha perso l’ultimo concorso ma ha fatto ricorso e, poi, molto  altro di varia entità. Continua a leggere

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