Comunità dis-educante

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di Cinzia Mion

Appare sulla stampa locale in questi giorni una notizia che mi ha sconvolto.
Si tratta di una ragazzina di 12 anni bullizzata in una scuola media di Treviso dalle compagne di classe e pure dai compagni, uno in particolare: il suo compagno di banco.
Il tutto per il suo aspetto fisico: troppo grassa secondo i simpatici “bulli” e secondo i canoni delle anoressiche ragazzine alla moda. Le minacce ingiuriose arrivavano perfino a suggerirle il suicidio.
Sappiamo tutti quali siano le dinamiche del bullismo e i diversi attori (tra cui quelli che sanno e tacciono: colpevoli come gli attori dei comportamenti vigliacchi!) e sappiamo pure quali siano le “paturnie “ oggi delle preadolescenti in crescita, in riferimento all’aspetto del corpo che si sta trasformando. Non intendo parlare di questo e nemmeno di ciò che sta circolando nel web rispetto a certe pratiche criminali e sadiche di istigazione al suicidio che dovrebbero essere stroncate da chi controlla (o dovrebbe controllare) ciò che circola appunto in Internet e che è a disposizione, senza filtri opportuni, anche ai soggetti più fragili.

Intendo parlare della “comunità educante”, di cui molti si riempiono la bocca, senza rendersi conto che questa comunità da molto tempo è diventata, come sottolinea Vertecchi, DIS-EDUCANTE.

Si tratta delle cosiddette “derive sociali” che da almeno dieci anni stanno rendendo preoccupanti le relazioni sociali e lentamente ci stanno contaminando tutti senza limiti o argini. Finché qualche comportamento fuori dalle righe interviene, sperando che questa comunità ormai dis-educante si svegli dal torpore e cerchi dei rimedi.
Non so se questo avverrà, lo spero.


Le derive sociali dell’indifferenza diffusa, della mancanza della categoria “dell’altro”, della totale assenza ormai dell’EMPATIA (come nel caso che stiamo esaminando), del narcisismo dilagante, dell’aumento del razzismo e dell’omofobia, del deficit di ETICA PUBBLICA, del prevalere dell’”avere” sull’ “essere” per cui ciò che conta è solo il profitto, delle aspettative genitoriale a livello soprattutto delle prestazioni e alla competitività piuttosto che alla cooperazione,ecc .hanno ridotto la convivenza sociale nel territorio spesse volte arida e caratterizzata dal più gretto egoismo
Ricordo che quando venivo chiamata a fare formazione al sostegno della genitorialità presso le scuole e durante gli incontri, in riferimento a queste derive sociali su cui famiglia e scuola devono intervenire per correggere l’andazzo, chiedevo ai genitori se educavano i loro figli alla “COMPASSIONE” (patire con l’altro)… Beh: mi guardavano come una marziana….
IO ricordo invece ancora benissimo le parole che usava mia madre quando incontravamo qualche mendicante che stava peggio di noi (era difficile perché c’era la guerra e noi eravamo sfollati; eppure lei mi diceva “poverino” vedi quello, non ha nemmeno un tetto sulla testa…). Il tono delle sua parole e la mimica del suo viso mi commuovevano ed io ho capito presto il significato di “senzatetto”.

Ritornando al compito degli adulti educatori, ammesso e non concesso che i genitori oggi desiderino solo far felici i loro figli per cui rattristarli sulla condizione altrui non passa nemmeno per la loro testa (salvo come sempre le felici eccezioni) credo che il compito rimanga alla scuola in cui i docenti hanno il compito professionale, istituzionale e continuativo di educare i loro allievi e, nel caso dei giorni nostri, correggere le derive sociali summenzionate, portandoli alla “consapevolezza e alla responsabilità”.
Ovviamente consapevolezza e responsabilità che avranno molta più forza E INCISIVITA’ se passeranno attraverso un’ALFABETIZZAZIONE EMOTIVA, all’interno della quale riuscire a farli “mettere nei panni degli altri”, far loro avvertire la paura, la tristezza, il dolore, la rabbia ma anche la gioia. E finalmente attraverso l’empatia avvertire la profondità della com-passione.