Non è una cittadinanza per vecchi

   Invia l'articolo in formato PDF   
image_pdfimage_print

di Marco Guastavigna         

Acquisito e divorato. Sto parlando di Invecchiare al tempo della rete, di Massimo Mantellini. Il tema affrontato ha per me – e probabilmente per qualche lettrice/lettore di questa rubrica – una forte risonanza biografica, nonostante non sia mai tra le priorità del dibattito politico culturale. Che cosa significa diventare sempre più anziani oggi, di fronte alla conclamata pervasività dei dispositivi digitali nella quotidianità e nella strutturazione complessiva dell’esistenza, a partire da molte procedure amministrative o dalle applicazioni in campo bancario e finanziario?

Mantellini è molto netto: definisce le tecnologie all’opera come “anticicliche”, ovvero pensate e realizzate per una sorta di eterna giovinezza, in conflitto con le esigenze di lentezza e di latenza cognitiva dei “vecchi”. Un accumulo per “sommazione” di funzionalità sempre nuove e di conseguenza confusive e frustranti.

Protagonista dei processi di adattamento/respingimento è perciò la tragica figura del vecchiogiovane, che “si troverà, quasi senza accorgersene, dentro un ambiente nel quale la dominante culturale sarà unica e senza alternative. Il flusso ininterrotto delle cose che ascolterà e di quelle che vorrà condividere, gli argomenti, i temi sociali e politici, i film e le serie tv, i libri e gli articoli letti, saranno gli stessi per lui e per tutti. (…) Vorremo essere come gli altri, desidereremo soprattutto essere innovativi e giovani, perché solo il giovane è la faccia presentabile dell’innovazione la quale, nel momento in cui si rivolge ad altre età, perde la sua componente fondamentale di freschezza e rottura degli schemi. (…) Il vecchiogiovane vive l’eccitazione della scoperta di un mondo nuovo e il contemporaneo timore di essere riconosciuto. (…) Nel vecchiogiovane la cultura e l’esperienza pregressa, quella di cui è padrone, conterà meno di quanto lui avrebbe sperato: molto piú utile sarà sapersi adattare, annusare l’aria, in qualche misura sapersi mimetizzare. (…)
Che si tratti di un device digitale con il quale prova ad impratichirsi o di una discussione sull’ultima stagione della serie tv appena uscita, il rischio per lui sarà sempre quello di essere smascherato o, talvolta, il desiderio prepotente di esserlo.
La rivendicazione plateale di come si è, della propria anzianità, sarà poi abiurata e rapidamente ricacciata indietro, perché nella grande maggioranza dei casi essere vecchiogiovane è l’unica maniera possibile per dimostrarsi vivi ed attivi dentro la crudeltà delle reti digitali”.

Nel futuro, però, la percentuale di anziani sarà talmente elevata che – se non altro per razionalità di mercato e di consumo – non sarà possibile mantenere il medesimo paradosso e quindi Mantellini ipotizza tre possibili sviluppi.
Secondo una prima ipotesi, i vecchi saranno i “nuovi ribelli” che esigeranno “una società rallentata in nome della biologia”.
Oppure prevarranno i “vecchi bionici”, definitivamente convertiti ad una “fede cieca nella tecnologia”, di cui raccoglieranno, con subalternità e marginalità definitive, eventuali briciole funzionali.
Ultimo possibile epigono, “la pietra immobile digitale”, consapevolmente renitente a ogni forma di partecipazione.

Apparentemente contrapposto all’immaginario collettivo prevalente del campo dei dispositivi digitali, l’approccio di questo libro – pur conservando il pregio di guardare al problema dal punto di vista dei protagonisti, gli anziani, e non da quello di chi mette in atto paternalistiche operazioni di formazione a loro rivolte per “colmare il divario generazionale” – è invece, a mio parere, dello stesso tipo. Da una parte, infatti, ha una visione della vecchiaia come menomazione individuale e dall’altra ritiene lo scenario tecnologico fondato su velocità, competizione, tecno-abilismo, adattamento l’unico possibile.

Non è così. La vecchiaia può e deve invece essere concepita come condizione collettiva portatrice dei medesimi diritti di quelle precedenti, con particolare attenzione alla cura delle persone e delle relazioni tra di esse. In questa prospettiva, un uso consapevole e rilassato dei dispositivi digitali può significare davvero molto, in termini di mantenimento nel tempo ed estensione quantitativa e qualitativa delle capacità comunicative e culturali dei singoli e dei gruppi di prossimità e di affinità. Basta pensare alla rete come spazio pubblico, occasione di accesso a risorse di intrattenimento, chiarimento, approfondimento, confronto. O alle applicazioni per gli incontri a distanza come strumento per i rapporti interpersonali e il confronto.

È necessario però che noi vecchi abbiamo la volontà e la forza di essere protagonisti “totali”, non pubblico che assiste e – quando va bene! – scopre qualche servizio utile.
Ovvero che discutiamo e organizziamo in prima persona, attraverso le associazioni di promozione sociale e altre forme di aggregazione, percorsi di formazione e laboratori davvero emancipanti e sostenibili, perché costruiti sulla base di esigenze e disponibilità esplicitamente riconosciute dalla nostra “terza età”.