Valutazione formativa, valutazione sommativa: parliamone ancora

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votidi Sinometta Fasoli

Le polarizzazioni in genere non mi sono mai sembrate utili a un confronto produttivo, meno che mai in educazione. Così, mi pare adesso sterile e fuorviante alimentare la polarizzazione “valutazione formativa – valutazione sommativa” che vedo ricorrere in diversi contesti di dibattito, fino a lambire documenti istituzionali.

Come se fosse possibile davvero scartare l’una a favore dell’altra, o teorizzare una supposta superiorità dell’una sull’altra.
Il motivo dell’inutile dilemma è al limite dell’autoevidenza: le due forme di valutazione insistono sul medesimo processo di insegnamento-apprendimento, ma si distinguono per funzione, scopo e tempo di adozione.

La prima, valutazione formativa, si compie in itinere, nel procedere del percorso, con lo scopo di accompagnare, descrivere, orientare il percorso stesso. La sua funzione regolativa investe, in questo senso, sia chi apprende sia chi esplica la sua azione didattica. L’insegnante valuta e si valuta; l’alunno è valutato e al tempo stesso si autovaluta.
Questa forma di valutazione è perciò intrinsecamente correlata alla programmazione educativo-didattica, come ben aveva visto la legge 517/1977 che infatti ha una volta per tutte sancito il nesso profondo, dando grande spessore pedagogico all’una e all’altra.


La seconda, valutazione sommativa, si effettua per rilevare/descrivere le conoscenze- abilità- competenze traguardate dall’alunno al termine di un periodo didattico prestabilito (intermedio, conclusivo). Significativamente, le Indicazioni Nazionali del 2012, usano la formulazione “traguardi di sviluppo delle competenze”: trovo che sia un’espressione felice, perché coniuga l’aspetto terminale (“traguardi”) con quello dinamico (“sviluppo”).

Da queste considerazioni, necessariamente sintetiche, dovrebbero emergere alcuni dati:
1) le due valutazioni non si sovrappongono e non si escludono a vicenda;
2) ognuna di esse ha una sua legittimità, congruenza e collocazione nel processo di insegnamento-apprendimento;
3) la soppressione dell’una o dell’altra andrebbe ad inficiare l’intero processo, sotto il profilo dell’attendibilità e dell’efficacia.
4) sotto il profilo del diritto degli alunni, la mancata adozione dell’una o dell’altra potrebbe costituire un atto lesivo.

In realtà, la messa in questione della valutazione sommativa, dal punto di vista pedagogico-didattico, mi sembra difficilmente sostenibile. Di più, per i rilievi brevemente avanzati fin qui, è abbastanza chiaro che essa ha anche una funzione formativa, proprio perché descrive un traguardo dinamico, dunque aperto ad autocorrezioni sia da parte di chi apprende sia da parte di chi insegna. Tuttavia, poiché ha il compito di descrivere traguardi e non processi, deve necessariamente essere predisposta e formulata al termine del periodo didattico.
In mancanza di valutazione sommativa, la valenza pedagogico-didattica del periodo cui si riferisce verrebbe ad essere amputata di un elemento essenziale. Configurando con ciò la sospensione nel tempo del percorso (e la lesione del diritto soggettivo dell’alunno, che è tutt’uno con il suo diritto all’apprendimento) e la mancata legittimazione del percorso stesso, sotto l’aspetto dei requisiti formali che la scuola, in quanto istituzione, è tenuta a garantire.

Non trovano, dunque, a mio parere, fondamento alcune richieste, avanzate in questo frangente di anno scolastico, di non procedere alla valutazione sommativa, a favore di una valutazione formativa, che non ha le stesse caratteristiche e finalità e pertanto non la potrebbe legittimamente surrogare. Trovano, invece, piena giustificazione, eventuali sollecitazioni volte a valorizzare la funzione formativa che assume il momento della valutazione sommativa (o finale). A questo punto diventa dirimente l’adozione degli strumenti della valutazione, sulla base di un altro punto di chiarezza: valutazione sommativa non si identifica affatto con votazione in decimi (come sembra adombrare qualche ragionamento sotteso alle ipotesi avanzate). È tanto vero che nelle scuole del Primo ciclo per un trentennio (a partire dal 1977) si sono adottate valutazioni descrittivo/qualitative (i cosiddetti “giudizi”) in un primo tempo in forma discorsiva, successivamente con l’uso di descrittori e l’indicazione di livelli sintetici degli esiti.

Tra le diverse iniziative che si stanno succedendo, nella travagliata conclusione di questo anno scolastico decisamente anomalo, ho trovato particolarmente coerente e accorta nella scelta strategica quella intrapresa dalla rivista del Cidi, “Insegnare”, che infatti punta alla moratoria della valutazione decimale in tutti gli ordini e gradi di scuola.
La soluzione sollecitata da “Insegnare” sospende l’uso dello strumento attualmente previsto dalle norme, il voto, ma non sospende l’atto del valutare, che non può che essere, come ho cercato di argomentare, di valutazione sommativa. Si intende con ciò assicurare la sua funzione formativa, attraverso uno strumento più duttile e rispettoso delle specificità di quanto non sia il voto decimale.