Figure di sistema: questa volta partiamo dal problema

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di Pietro Calascibetta

 

Perché uno   status specifico per le  figure di sistema?

L’articolo di Antonio Valentino Figure di sistema e questione organizzativa. Farci i
conti”
, del 17 maggio scorso è un utilissimo contributo per il dibattito che per fortuna, anche se con fatica, si fa strada rispetto all’opportunità o meno di assegnare un vero e proprio status giuridico e una tutela contrattuale ad alcune figure già presenti nell’organigramma delle scuole e variamente definite (di sistema, obiettivo, strumentali, referenti ecc.) che   svolgono negli istituti oltre all’insegnamento un lavoro di coordinamento o di organizzazione.

L’articolo è una sintesi delle proposte, dei punti vista e delle questioni sul tappeto e può ben definire il perimetro entro cui aprire una discussione.
Perché non rimanga però solo un dibattito o uno scontro astratto tra opinioni è bene a mio parere entrare un po’ più nel merito della questione per capire se ciò di cui stiamo parlando riguarda solo il personale scolastico ed è quindi una questione sindacale, un interesse di categoria come tanti, seppur legittimo, o riguarda anche e soprattutto la qualità del servizio scolastico e il futuro degli studenti in presenza di un evidente problema di funzionamento della scuola testimoniato dall’alto tasso di dispersione ed è quindi anche un interesse collettivo che impone di superare certe rigidità.

In altre parole dobbiamo capire se e come  l’assegnazione di uno status giuridico e di una tutela contrattuale a queste figure con una rivisitazione del profilo professionale può effettivamente contribuire a migliorare il funzionamento delle scuole rendendo l’azione educativa più efficace di quanto sia ora e  migliorare le condizioni di lavoro di tutti i docenti.
Se il vantaggio fosse questo, diventerebbe un obbligo morale e politico per tutti trovare una mediazione per introdurre questa innovazione al più presto al di là delle posizioni di principio e sarebbe un investimento strategico per la società tutta.
Si tratta allora di partire dal problema e impostare il discorso in modo diverso guardando cosa non funziona nelle modalità di lavoro a cui sono costretti i docenti.

Ci provo prendendo spunto dalla  sperimentazione didattico strutturale dell’Istituto Rinascita A.Livi , scuola media ad indirizzo musicale di Milano, a cui ho partecipato. Lo faccio perché stiamo parlando di innovazione strutturale di cui Rinascita si è occupata fin dal primo decreto ministeriale del 1974 che aveva non a caso come mission di “individuare una struttura organizzativa della scuola e delle pratiche professionali dei docenti funzionali “ alla gestione un contesto di apprendimento caratterizzato da una didattica attiva e di gruppo, potremmo dire  ora  funzionali all’autonomia scolastica.

Nessun insegnante è solo in cattedra

Qual è l’evidenza  che ciascun docente  e dirigente può toccare con mano nel funzionamento di una scuola a quasi cinquanta anni dall’introduzione degli organi collegiali e a venti dall’autonomia scolastica?
La didattica non è più un faccenda individuale del singolo docente, sono stati introdotti degli ambiti di lavoro collegiali  preposti espressamente dalla normativa alla progettazione collettiva,   al monitoraggio e alla verifica dell’attività didattica, azioni ben precise da cui dipende non solo  la stesura del PTOF, ma  la sua trasposizione nei curricoli delle singole classi  in  coerenza con le Indicazioni nazionali, nonché la personalizzazione e individualizzazione dell’azione didattica ed educativa in aula.

A definire  le modalità con cui  implementare il PTOF non è  quindi  il singolo docente, ma sono  proprio questi organismi intermedi.
Parlo dei consigli di classe, dei dipartimenti, delle commissioni progettuali del collegio. Questi organismi sono dei gruppi di lavoro su compito e rappresentano di fatto il livello organizzativo intermedio tra il dirigente scolastico, il collegio e il singolo docente in aula. Per usare un termine di attualità, sono delle “cabine di regia”  che rendono   possibile  ed efficace il lavoro dei  singoli docenti sul campo,  ciascuna con un compito specifico.
Chi si occupa del funzionamento di questi gruppi e di tutte quelle  attività logistiche  presenti di fatto in tutte le scuole che permettono l’effettivo funzionamento di ciascun istituto?

Sono i coordinatori di classe, di dipartimento, delle  commissioni di collegio e   i docenti che si occupano della gestione di taluni snodi organizzativi funzionali alle attività come il coordinatore della commissione formazione classi e orario, il referente di plesso, il vicario, il referente per i DSA ecc. Incarichi che troviamo in modo uniforme in ogni istituto.  Addirittura alcuni di questi incarichi sono richiesti per tutte le scuole dalla normativa stessa,  come il recente referente per il Covid.

Allora qual è il problema?

 Sia dal punto di vista normativo,  che nel senso comune questo ambito di lavoro intermedio dei docenti non è visto come una vera e propria  struttura interconnessa che va letteralmente gestita con una visione di insieme  per garantirne l’efficienza e l’efficacia.   Non è considerato  il cuore dell’organizzazione del lavoro e neppure la leva attraverso la quale il  dirigente scolastico può sostenere e stimolare  l’attività  dei docenti.
In realtà è  una rete, cruciale per il funzionamento della scuola, che il dirigente può coordinare in modo adeguato  solo se alla sua gestione è posto del personale specificatamente formato ai compiti che deve svolgere. Le associazioni professionali dei dirigenti  sanno  bene  che l’efficienza di questo livello permette al dirigente di raggiungere gli obiettivi per i quali è valutato.
Limitiamoci  ora ad osservare più da vicino i problemi dei gruppi  e dei loro coordinatori.

Se ripassiamo mentalmente le varie riforme che si sono susseguite negli anni, fino alle più recenti, tutte hanno assegnato stringenti compiti di progettazione e monitoraggio agli organismi collegiali dei docenti, in particolare al consiglio di classe, ma anche ai dipartimenti disciplinari e allo stesso collegio.
I gruppi di lavoro a norma di legge sono così  diventati lo snodo critico di tutto il sistema perché dal loro funzionamento dipende l’efficacia dell’implementazione della didattica e, si badi bene,  l’attuazione delle diverse riforme,  nonché il loro successo (se a qualcuno ancora importa!).

Non solo,  è  attraverso la qualità del lavoro dei  consigli di classe e dei dipartimenti che il dirigente può garantire una direzione unitaria, può valorizzare il personale, può contribuire al miglioramento dei processi didattici.
Sulla base dell’esperienza acquisita negli anni di sperimentazione di una nuova struttura organizzativa funzionale all’autonomia,  ho compreso che due sono le variabili che incidono in modo determinante sull’efficienza e sull’efficacia del lavoro dei gruppi: il tempo a disposizione per poter lavorare collegialmente e la  loro gestione, cioè le modalità con cui vengono preparate e gestite le riunioni e il monitoraggio di come vengono attuate le decisioni prese. Due variabili indispensabili perché le riunioni siano dei momenti realmente produttivi rispetto ai loro compiti e quindi anche gratificanti per chi vi partecipa creando quel senso di appartenenza presente in una vera comunità professionale.

Un Middle Management per  migliorare la qualità del lavoro dei docenti

Ora, coordinare una riunione perché diventi efficace, valorizzare i contributi di tutti i membri, aiutare il gruppo a realizzare un progetto comune, predisporre  un piano di lavoro  unitario, un PDP richiede non poche competenze e un adeguato tempo a disposizione.
Sulle modalità di coordinamento delle riunioni dei dipartimenti e soprattutto dei consigli di classe, si entra nel vivo del discorso sull’opportunità di individuare un Middle Management.
Valentino dice chiaramente che sono proprio le figure di coordinamento che hanno un ruolo principale nella gestione intermedia nella scuola.
Per migliorare il funzionamento degli organismi di lavoro collegiali o addirittura per rendere possibile che gli organismi di progettazione e di monitoraggio possano realmente operare nelle scuole in base ai compiti che la legge attribuisce loro è necessario che al loro funzionamento sia dedicata un’attenzione specifica e che i docenti che si occupano di gestirne i lavori siano messi in grado di operare professionalmente nel modo migliore.

Assegnare quindi ai docenti che si occupano della gestione intermedia uno status particolare è un atto dovuto prima di tutto agli utenti perché ha una ricaduta diretta sul modo di poter approntare contesti che siano realmente favorevoli all’apprendimento e di seguire gli studenti in itinere ed è un atto dovuto nei riguardi dei docenti.
Invece di mettere toppe alla dispersione scolastica con iniziative che finiscono per essere solo di pronto soccorso, perché non si mette ordine in casa  e si migliora prima l’organizzazione interna della scuola?

Ho approfondito nel dettaglio questo aspetto analizzando in particolare il ruolo del coordinatore di classe nel numero 1 del 2021 della RIVISTA DELL’ISTRUZIONE, qui mi preme sottolineare come alla definizione di uno status particolare per le funzioni di sistema si debba accompagnare una modifica sostanziale del loro  profilo professionale, dell’orario di cattedra e delle modalità con cui sono messi in grado di operare e di conseguenza dell’assetto organizzativo  facendo finalmente della gestione intermedia il motore del funzionamento dell’istituto.

Un nuovo status in funzione  dei compiti da svolgere e non in astratto

L’argomento è complesso sotto il profilo normativo e sindacale, ma alcune questioni possono essere messe sul tappeto per poter formulare alla fine una proposta concreta.
Per quanto riguarda la modalità di individuazione di queste figure non è possibile che si basino ancora sull’adesione volontaria dei docenti. Una scuola e un dirigente potrebbe in pratica non avere la disponibilità  di nessun docente  per coordinare una classe o per fare il referente di questo o di quello. Il fatto è che la norma non riconosce formalmente il fatto che alcune figure debbano essere presenti strutturalmente in un istituto. Questo ne indebolisce il ruolo e mette in difficoltà lo stesso dirigente nel momento in cui deve cercare di individuare il docente a cui assegnare l’incarico.

E’ prematuro proporre ora una soluzione, ma sicuramente va formalizzato un organico di istituto di figure che obbligatoriamente devono essere presenti in una scuola scelte tra quelle di fatto comuni  a tutti gli istituti  e una procedura di selezione specifica anche interna. Ad esempio una simile a quella prevista dal CCNL 1998-2001 all’art.28 per le Funzioni Obiettivo e misteriosamente cassata nel contratto successivo. Potrebbe funzionare perché basata sull’accertamento del possesso delle competenze necessarie a svolgere i compiti a cui la funzione viene preposta, vedrebbe il collegio coinvolto, ma attraverso una procedura che salvaguardi la qualità dell’individuazione. Per quanto riguarda le figure organizzative (leggi anche  l’attuale staff, ma non solo) potrebbe  essere dato   comunque un  ruolo discrezionale   al dirigente, fatta salva  l’individuazione  trasparente delle competenze  dei candidati.

Il possesso delle  competenze per  svolgere questi ruoli potrebbe  essere preso in considerazione nei   trasferimenti dei docenti  come titolo di precedenza nel caso di vuoti nell’organico del Middle Management di istituto. Con le competenze tocchiamo però  uno degli ostacoli che impediscono di andare avanti nell’affrontare la questione.

Oltre gli stereotipi e  le posizioni di principio

E’ del tutto farisaico immaginare che tutti i docenti abbiano tutte le competenze per svolgere tutti i compiti necessari alla gestione di una scuola. E’ giusto che così sia per l’insegnamento, non è tollerabile che ci siano docenti di serie A e di serie B, ma qui parliamo di altri compiti che non hanno nulla a che fare direttamente con l’insegnamento e che richiedono il possesso di competenze, anche se presenti nel profilo contrattuale del docente, necessariamente potenziate e ampliate da una specifica formazione svolta o da svolgersi eventualmente con un patto da sottoscriversi nell’ottica dello sviluppo professionale. Non si può chiedere a tutti i docenti di svolgere un ruolo di project leader ricorrendo ad esempio   a  quelle modalità pseudodemocratiche come la  rotazione o l’anzianità.
Parlando di atteggiamento farisaico penso anche a quanti docenti con 6 o 9 classi sono oggi coordinatori di classe e come nella pratica si  crei una  discriminazione comunque senza nessun beneficio!

Trattandosi di compiti da cui dipende l’implementazione della didattica e quindi lo stesso  funzionamento   strutturale della scuola non possono essere affidati in modo casuale a “figure” che si accendono e spengono come stelle nel firmamento, pescando nell’universo collegiale, ma a personale già in possesso di competenze anche se poi può, come scrivevo, anche approfondirle e svilupparle ulteriormente. Lasciamo che gli insegnanti che vogliono solo insegnare  insegnino e non siano costretti a svolgere un’attività per la quale non hanno alcun interesse e che vivono come un peso a volte insopportabile.

Considerare che uno valga uno e pretendere   che tutti  facciano tutto non importa come  è una responsabilità che ci si assume nei confronti delle famiglie e dell’intera società impedendo alla scuola di poter assolvere in modo adeguato il proprio compito.

Parlavo anche di tempo da dedicare a questo lavoro di coordinamento. Gestire un gruppo di lavoro non è come presiedere  una riunione. Spesso si confonde l’aspetto formale di un organo collegiale e i relativi adempimenti burocratici con il lavoro collegiale di ricerca,  sviluppo ed elaborazione che l’organo deve svolgere professionalmente nell’implementazione della didattica. Un distacco dall’insegnamento per un numero adeguato di ore e l’utilizzo di ore di cattedra per tale lavoro di coordinamento  oltre alle ore  delle riunioni che sono un impegno comune a tutti i docenti può permettere a questa figura di per poter svolgere appieno  il proprio lavoro. Chi pensa alla semplice elargizione di un qualche incentivo non fa i conti con il fatto che gestire un livello organizzativo intermedio di questo tipo richiede anche una concentrazione e un impegno non irrilevante che non può essere condiviso con altri incarichi di responsabilità  come l’insegnamento a tempo pieno.  Offrire un piatto di lenticchie oltre a lasciare le cose immutate, sarebbe una beffa per i docenti!

Non solo  di Middle Management ha bisogno la scuola

Siamo partiti dal problema di come permettere agli organismi intermedi di poter funzionare come ambiti di  sviluppo  della progettualità  così come sono stati concepiti e che l’individuazione di un Middle Management potrebbe essere la pre-condizione di base per affrontare la questione, ma non è l’unica. Come ho scritto sopra la seconda variabile riguarda il tempo a disposizione degli organismi  e gruppi per il lavoro collegiale.
Domandiamoci quante ore hanno a disposizione in un anno i consigli di classe oltre agli scrutini  per un reale lavoro di progettazione, monitoraggio e verifica per tutti i compiti attribuiti dalle stesse norme. Quante ore hanno disposizione per il lavoro di individualizzazione e personalizzazione del curricolo? Per progettare e valutare l’alternanza scuola-lavoro? Quante ore per definire e monitorare in  itinere  i PEI e i PDP, la cui stesura  spesso viene delegata in toto al docente di sostegno lusingandolo con il fatto che lui sarebbe l’esperto?

Come docenti sappiamo bene che qualsiasi alunno si sente parte di un gruppo solo se ha partecipato al lavoro di quel gruppo e se ha contribuito fattivamente a realizzare insieme ai compagni un prodotto comune in cui potersi identificare. Il gruppo è un dispositivo per l’apprendimento. Perché dovrebbe essere diverso per i docenti?
Quante ore ha a disposizione un docente con 6 o 9 classi per essere parte attiva della comunità di pratiche di una singola  classe?  Questo non è un problema secondario. In questi anni si è fatto finta di niente, lasciando i docenti  a fare “nozze con i fichi secchi”, in altre parole a pretendere la progettazione e l’efficacia lasciando trovare  loro le modalità per farlo arrangiandosi come meglio potevano ( taglia e incolla, delega   ai docenti con meno classi , ecc. creando di fatto docenti di serie A e di serie B).Non c’è comunità di pratiche se non c’è la possibilità di lavorare insieme a dei prodotti concreti confrontandosi reciprocamente.

Valentino giustamente pone l’accento sulla “demotivazione di gran parte dei docenti” che non trova gratificante coltivare le proprie competenze o “vivere positivamente la dimensione collegiale del proprio lavoro” o che stenta ad entusiasmarsi per la “ricerca, sperimentazione e sviluppo”.

Il motivo del fatto che i docenti nonostante la libertà concessa dall’autonomia si presentino così demotivati nasce dal fatto che il lavoro collegiale invece di essere per i docenti un momento di valorizzazione delle proprie competenze, di creatività e di sviluppo professionale è diventato di fatto un lavoro impiegatizio perché il poco tempo a disposizione è dedicato in gran parte alla compilazione degli  atti burocratici dovuti. Una demotivazione che non ha origine nella cattiva volontà dei docenti, ma nelle condizioni alienanti in cui la struttura organizzativa attuale costringe il lavoro collegiale relegato ad incombenza.
La scuola come comunità professionale finirà per rimanere uno slogan ed essere ripudiata dagli stessi docenti perché diventa un miraggio irraggiungibile e frustrante  se non si creeranno realmente le condizioni per cui i docenti possano realmente lavorare insieme. E’ una “dimenticanza” non da poco  dopo il varo dell’autonomia. Ora siamo ad un bivio. La scuola non dovrà più essere come prima si dice!  Cominciamo dal Middle Management  e dall’organizzazione del lavoro, non è mai troppo tardi.  Altrimenti meglio  cavarsela da soli  in aula, risparmiare fatica e puntare sulla “centralità dell’ora di lezione” e viva la libertà di insegnamento (individuale!) buttando a mare l’autonomia come ormai  il “fuoco amico”  degli irriducibili vorrebbe.