Studenti in piazza, dalli allo studente!

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di Giovanni Fioravanti

E così in un solo giorno la scuola affettiva del ministro Bianchi, la comunità educante della pandemia si sono frantumate sotto i colpi dei manganelli della polizia. In un paese che non ha imparato ad essere adulto perché privo di adulti degni di questo nome.
Una generazione di adulti mai diventati tale, che scarica la propria inconsistenza in applausi, simili ad ole parlamentari, per un presidente rieletto, perché incapaci di sceglierne uno, in un record di ascolti per il festival di San Remo come catarsi della propria immaturità.

Botte, castighi, punizioni, sospensioni tutto il repertorio della pedagogia repressiva del secolo scorso e dei secoli prima. La rivincita del padre di Kafka e del metodo “Pestalozzi”.
Eppure questi studenti da anni, ancora prima della pandemia, chiedono agli adulti di essere adulti, di assumersi le loro responsabilità, di crescere, di non continuare a protrarre la loro adolescenza in un’età adulta inconcludente, priva di decisioni, perché orba di visioni, di prospettive, di sogni di futuro da condividere con le loro figlie e i loro figli.

Invece no. I giovani così complicati, così poco decifrabili dal cervello elementare di questa generazione di adulti, che a cinquant’anni sono no vax, mentre i loro “incomprensibili” figli fanno la coda agli hub per farsi vaccinare, queste generazioni “maneskin” sono la zavorra di questa società.
Pongono troppe questioni a un mondo di adulti impreparati, troppo presi a gestire loro stessi e i loro casini, a tentare di cavare fuori i piedi dalla loro vita, da non avere tempo per cercare di capire i loro figli.
Ognuno si trastulli con i propri “giochini” e non stia a creare troppi problemi. Si facciano lo spinello, facciano i bulli, stuprino pure ai festini, che tanto è roba da ragazzi che hanno bisogno di socializzare.

E ora, proprio ora la scuola con la DAD gli impedisce di stare insieme, di sfogare la loro pubertà crescendo degli psicopatici, disturbati mentalmente e nei comportamenti.
Se poi socializzano troppo occupando la scuola che, pilotata dagli adulti, si è arenata contro il muro del passato, allora giù botte, come gli schiaffoni degni dei genitori di una volta che usavano la cinghia, contravvenendo ogni principio pedagogico predicato e ostentato di educazione  libertaria da Tolstoj a Montessori, da Steiner a Alexander Neill, da Danilo Dolci a Noam Chomsky.

È un fermo immagine. Anzi, no. È il riavvolgimento della pellicola di un film che non avremmo voluto rivedere in tempi di DVD.
A leggere Recalcati pareva che dovessimo galvanizzare classi di studentesse e di studenti con il fascino erotico dei discorsi dalla cattedra. Per non parlare dei vari Galli della Loggia, Mastrocola, Ricolfi e Canfora con le loro elucubrazioni sul futuro della scuola, sarebbe il caso che si affrettassero a chiedere asilo politico dove la scuola è come la pensano loro, se sono in grado di trovare un luogo simile. Anni che la stampa e la cultura italiana con scandalosa incompetenza macinano idee a vuoto sulla formazione dei giovani in questo paese. Che si leggessero la Mission 4 del Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza e scopriranno che il futuro della scuola italiana non è più nelle nostre mani, a riorganizzare il nostro sistema formativo ci sta pensando mamma Europa con le sue condizioni e i suoi vincoli.

Non a caso sono scesi in piazza gli studenti delle medie inferiori e delle superiori, come quelli che hanno risposto all’appello di Greta Thunberg per la salvaguardia dell’ambiente.
Dimostrando ancora una volta di essere i veri adulti, adulti prima del tempo, perché l’adultità non è una questione anagrafica, ma una questione di responsabilità, di capacità di guardare lontano, di guardare avanti.

Sono scesi in piazza perché fa tristezza pensare di essere figli di generazioni di adulti che non sono neppure capaci di fermarsi e di urlare che è un orrore, non un incidente, morire a diciott’anni durante uno stage scuola-lavoro. Un paese che non si ferma a riflettere, i grandi sindacati inerti, attoniti, come se si trattasse di uno dei tanti incidenti sul lavoro che in questo paese continuano ad alimentare le statistiche.

Che i giovani non vogliano vivere in un paese così dimostra che non mancano di uno spiccato senso della realtà, soprattutto non mancano della consapevolezza del presente.
Un mondo di adulti che poi si autoassolve, dimentica tutto dopo i riti televisivi delle bare bianche portate a spalla dai compagni. È scandaloso, è soprattutto un mondo di adulti che poi non può pretendere di dare a scuola ai suoi giovani lezioni di educazione civica, perché l’educazione civica insieme a quella etica neppure la conoscono.

Si è toccato con mano il fallimento, il fallimento di una generazione che ha distrutto la politica, messo a rischio la democrazia, condannato generazioni di figli a non avere un futuro.
E allora tutto entra in un grande calderone di confusione, scuola, lavoro, ambiente, i mali endemici del paese e del suo sistema formativo, la grande nebbia che offusca le viste.

Anche scendere in piazza a protestare non è facile quando i tuoi interlocutori non hanno la maturità oltre che l’intelligenza per capire e si difendono dietro gli scudi della polizia, dietro i provvedimenti disciplinari della scuola di sempre, dietro le denunce.
I giovani hanno realizzato che il futuro è loro e che non possono lasciarlo in mano ad una generazione di genitori inetti, di famiglie inette, di educatori, insegnanti, intellettuali inetti: platealmente non idonei.

C’è un’emergenza istruzione, come c’è un’emergenza ambiente, le due cose vanno di pari passo. Come l’hanno fatto con l’ambiente ora lo faranno con la scuola perché questa scuola sempre
identica a se stessa non funziona e loro non hanno tempo da sprecare.
L’istruzione è il capitale più prezioso che hanno da conservare ed arricchire e non certo da giocarsi in una scuola che gli vuol far credere di essere formativa, in grado di prepararli al futuro del 2030, del 2050, i numeri che danno gli adulti, imponendogli gli scritti all’immarcescibile rito dell’esame di maturità ormai divenuto solo il simbolo dell’immaturità di un intero paese e della sua classe dirigente.