A proposito di autonomia funzionale e PNRR, caro Stefanel, ti scrivo… .

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di Antonio Valentino

  1. La prima delle tre parti dell’articolo di Stefanel[1], pubblicato qualche giorno fa su questa Rivista, si conclude, dopo aver elencato la maggior parte degli investimenti del PNRR per la scuola (PNRR “Dispersione e divari territoriali, PNRR Classroom e Labs, Docenti Tutor, Piano Nazionale Scuola Digitale – STEAM, Poli Formativi per la transizione digitale  ….), con le seguenti considerazioni: “…. ritengo che le tempistiche [dei vari investimenti] siano mal modulate, le finalità non sempre chiare e l’impianto piuttosto debole nella sua strutturazione didattica e contorto in quella economica e gestionale.” Considerazioni che ho letto come una sostanziale bocciatura dell’operato ministeriale.

La seconda parte vira invece specificamente sulle questioni della natura e della gestione del sistema scolastico nazionale e introduce la problematica dell’autonomia scolastica, definita ‘funzionale’ nel Regolamento dell’Autonomia[2] e ne richiama la differenza rispetto alle autonomie locali. E questo perché l’autore dell’articolo ritiene che la ‘debole comprensione’ di tale differenza porti molti ds, docenti e dsga a pensare “ che lo stato debba negoziare con le autonomie funzionali [tra cui la Scuola] i suoi obiettivi di sistema [essendo queste] deputate a sviluppare, nella realtà locale in cui operano, gli obiettivi del sistema”.

Considerazione che lo spinge a pensare che anche i progetti e gli investimenti del PNRR, che rispondono a obiettivi di sistema (volti a superarne difficoltà e criticità) difficilmente potranno andare a buon fine in quanto sono destinati ad essere neutralizzati – semplifico sperando di interpretare correttamente l’assunto di Stefanel – da quegli insegnanti che non vogliono sottostare ad essi in nome dell’autonomia funzionale. E continuare quindi – tali insegnanti – in una “pratica didattica ancora trasmissiva e cartacea che ormai non ha uguali nel mondo”  e ad una pratica valutativa che li rende “paladini dei voti bassi e delle bocciature in nome della libertà d’insegnamento, considerata come un bene assoluto del docente”.

La cosa che lascia più perplessi – e increduli – quanti conoscono Stefanel anche solo attraverso le cose che scrive, è che i paladini, tra l’altro ‘numericamente consistenti’ sarebbero tutti docenti di sinistra.  (Ohibò!)
Da ciò soprattutto dipenderebbe la situazione particolarmente allarmante di questa fase; e sotto accusa sono quanti si opporrebbero alle misure previste dal Piano nazionale scuola nel PNRR, sempre in nome dell’autonomia funzionale.
Accusa richiamata ancora all’inizio della terza parte, che riporta specificamente alcune  proposte sui nodi dell’organizzazione scolastica (dagli organici all’orario di lavoro dei docenti, …,); qui non riprese (per quanto interessanti), perché esulano dalle ragioni di queste note.

  1. Ritorno a questo punto alle valutazioni complessive che Stefanel dà dei progetti e degli investimenti messi in campo dal Piano Scuola del PNRR e decisi in autonomia dal Ministero, seppur dentro le linee operative convenute a livello europeo; giudizi, come si è già detto, decisamente pesanti  sotto ogni aspetto  (finalità, impianto, tempistiche).

D’altra parte,  i  progetti e gli investimenti del nostro Piano Nazionale sono tutti – di fatto – farina del sacco del Ministero, perchè non c’è stata nessuna negoziazione sugli stessi per quanto è dato sapere con le Associazioni professionali della scuola, né con i sindacati.  Le piattaforme ministeriali per la gestione dei progetti sono infatti rigorosamente costruite secondo i decreti del Ministro e le Note esplicative.
(Resta comunque da capire se questo modo di procedere sia in assoluto il migliore. Personalmente, a conti fatti, ho più di un dubbio).

  1. C’è quindi qualcosa che non torna nei ragionamenti fatti nell’articolo. D’altra parte, sempre più numerose e autorevoli voci evidenziano che, se i progetti targati PNRR non vanno avanti o procedono con enorme difficoltà e lentezza, il vizio di fondo dell’intera operazione è molto probabilmente la troppa carne messa al fuoco: troppa la carne e debole il fuoco.

Ma c’è anche dell’altro, e ben lo fa capire lo stesso Stefanel attraverso il suo giudizio sull’operazione in corso.
Si respira infatti nella formulazione dei progetti, soprattutto in quelli in cui i protagonisti dovrebbero essere le scuole, un’aria di improvvisazione, di mancanza di un’idea credibile di scuola, di leggerezza – in senso non proprio calviniano – in dosi decisamente ragguardevoli.

Vogliamo ricordare, facendo focus sui Decreti e sulle Note operative che li accompagnano, che il Ministro ha cominciato a parlare di PNRR con la continuità e l’impegno che l’operazione richiedeva, solo a partire dal febbraio scorso? E che nei lunghi mesi precedenti – in tutte le interviste (numerosissime), in tutte le apparizioni in tv e ne convegni (idem) e in tutte le sue autopromozioni (come sopra) – le sue parole d’ordine erano solamente merito e talento a cui si è aggiunta, alla fine di gennaio, anche competizione[3]?

Temi e questioni cari al ministro, che, come è noto, sono in tutta evidenza al centro delle attenzioni e dell’interesse di insegnanti e dirigenti!
E se passiamo dalle parole d’ordine ai suoi argomenti preferiti, troviamo, in ordine cronologico, l’uso dei telefonini in classe, la disciplina e l’ordine nelle scuole e ultimamente le grandi rivoluzioni delle sue riforme e se stesso come il grande rivoluzionario.

Ancora una considerazione: l’impegno sul PNRR delle Direzioni scolastiche regionali, quale è stato?  Chiedere ai Ds.  Caso, questo, da manuale di quanto i comportamenti dei superiori facciano testo (definiscano i comportamenti dei dirigenti sottostanti) soprattutto nelle articolazioni funzionali della Pubblica Amministrazione.

  1. Comunque il messaggio implicito di Stefanel, rispetto ai progetti e alle riforme del PNRR, non mi sembra in nessun modo che sia quello di lasciar perdere. Gettare la spugna in questo momento, e lui lo sa bene, sarebbe sbagliato e perdente e creerebbe, in Europa, discredito per il nostro Paese – che pure è risultato favorito, con una qualche ragione, nell’attribuzione delle risorse finanziarie -; ma anche e soprattutto per lo stesso mondo della scuola.

Con riferimento ai contenuti immediatamente procedenti – e cambiando registro espressivo per una comunicazione più diretta – penso potrebbe essere utile a questo punto, caro Stefanel, individuare e condividere le leve su cui potrebbe essere utile puntare per un recovery volto a contrastare le più forti criticità della nostra scuola. Assumendo ovviamente a riferimento, soggetti come l’Associazionismo professionale – o almeno alcune sue parti – e le organizzazioni sindacali disponibili.
Per esempio, caro Stefanel, io penso – e credo che ne convieni – che costruire un protagonismo ad ampio raggio di docenti e Ds – un po’ come è avvenuto in molte realtà del Paese durante la pandemia – è in questa fase (e non solo) la prospettiva da privilegiare e coltivare: per quando riguarda sia la realizzazione dei progetti in atto, sia l’attenzione, nell’intera operazione PNRR, all’idea di miglioramenti sensati e possibili delle attività in corso.

Protagonismo necessario e particolarmente importante anche nei percorsi di formazione previsti,  che tu richiami opportunamente nella prima parte del tuo articolo: una grande opportunità che può diventare tale a certe condizioni (che anche tu implicitamente richiami), quali:
– una loro distribuzione sensata nei prossimi tre anni (affollamenti e indigestione sarebbero letali);
– una organizzazione dei percorsi formativi centrata su metodologie attive come la ricerca azione e/o le pratiche laboratoriali;
– far rivivere le esperienze di formazione e condividerle (e questo è un aspetto per alcuni versi decisivo) all’interno dei consigli di classe, dei dipartimenti e delle commissioni di lavoro; da vivere – queste aggregazioni – come ‘comunità professionali di pratica’.

Sono sicuro anche che sarebbe facile condividere, in questa operazione, un ruolo attivo di  tutte le Associazioni Professionali della scuola che più sono interessate alla dimensione cooperativa del lavoro scolastico e alla sua liberazione da culture e pratiche formative ormai insensate; pratiche che oggi sono spesso causa non irrilevante del mal di scuola[4], a cui vanno ricondotte  le criticità più pesanti di cui soffrono le nostre scuole e i nostri studenti. E anche i nostri insegnanti e ds.

[1] S. Stefanel, Autonoma differenziata, autonomia delle scuole, PNRR

[2]DPR 275/1999, Art.1 (Natura e scopi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche) 1.Le istituzioni scolastiche sono espressioni di autonomia funzionale e provvedono alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa, …. A tal fine interagiscono tra loro e con gli enti locali promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione. 2. L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione….

[3] Lanciata all’interno  del Programma annuale per la valorizzazione delle eccellenze (Avviso M.I.M. del 25.01.’23, n. 2437).

[4] Mal di scuola è il titolo di una pubblicazione di Piero Romei – La Nuova Italia editrice – negli ultimi anni del secolo scorso.