Excursus nel mercato della scrittura digitale, probabilmente incompleto

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di Marco Guastavigna

Sono di nuovo in modalità “pippone”.

A ripristinarmi la logorrea è stata una lettura: “Potremmo chiamare mestiere il tipo di attività in cui il tempo non è sotto controllo, e riservare il termine lavoro ai compiti regolati da vincoli di tempo. Nel mestiere, il tempo non è centrale. L’uomo di esperienza lascia che la sua temporalità sia dettata dalla situazione che incontra e dal modo in cui potrà intervenire. Il medico sa che alcuni pazienti richiederanno trattamenti lunghi e spiegazioni dettagliate, mentre altri risponderanno e capiranno rapidamente. Allo stesso modo, uno scrittore di solito non si costringe a scrivere una pagina sotto pressione oraria. Tutto dipende dal soggetto, dalla sua forma, dalla sua meditazione preliminare.” (P. Chabot, “Avere tempo. Saggio di cronosofia”, Treccani. 2024).

Da una parte il mestiere di scrivere, insomma, dall’altra il lavoro di scrittura.
Nella tabella il modo in cui Copilot Pro di Microsoft rappresenta le due situazioni.

Scrittore senza tempo
Scrittore vincolato dal tempo

Se possiamo far corrispondere la prima tipologia a scrittori e scrittrici di fama, giornaliste e giornalisti affermati, accademici e accademiche in carriera e vari intellettuali laureati, per immaginare appartenenti della seconda categoria dobbiamo probabilmente addentrarci nel mondo dei produttori di contenuti (testuali) per la mercificazione culturale, quotidianamente attivi nell’universo digitale.

Il loro scopo è creare e conservare – in proprio o più frequentemente in conto terzi e in posizione precaria – un pubblico sul mercato dell’attenzione con flussi di dati in continua circolazione, il cui unico requisito “culturale” è sembrare a chi ne fruisce validi e pertinenti. Per questo tipo di autorialità, la scrittura non è sublimazione, realizzazione, affermazione di sé, ma più probabilmente stress, costrizione, competizione continua con altro cognitariato.

Prima di approfondire ulteriormente questa faccia della medaglia, un’altra citazione: “non senza esitazioni e sforzi su me stesso, mi sono comperato un elaboratore di testi, e adesso scrivo esclusivamente con questo. Al principio è stata molto dura: ero totalmente ignaro della terminologia in uso, ero terrificato dalla paura che il testo scritto finisse cancellato per qualche manovra sbagliata, e le spiegazioni dei manuali mi parevano indecifrabili. Poi, a poco a poco, ho capito alcune cose fondamentali. In primo luogo, che bisogna reprimere il desiderio umanistico di capire «quello che c’è dentro»: forse che non usiamo il telefono da quasi un secolo, e la Tv da 30 anni, senza sapere come funzionano? E sappiamo forse come funzionano i nostri reni e il nostro fegato, che usiamo da sempre? È una pura questione di assuefazione; del resto, mi si dice che, salvo gli specialisti, neppure i fisici ed i matematici si curano di approfondire; hanno addomesticato il mostro meraviglioso, e se ne servono senza patemi. In secondo luogo, ho capito che è insensato sperare di imparare a usare l’aggeggio studiando i manuali; (…). Bisogna imparare sul campo, sbagliando e correggendosi. Sono ancora un neofita: ho ancora una quantità di manovre da imparare, ma già adesso mi costerebbe fatica tornare alla macchina per scrivere, o peggio a biro, forbici e colla. Non escludo che il nuovo strumento eserciti una sottile influenza sullo stile; un tempo, il dover incidere le lettere ad una ad una con martello e scalpello costringeva alla concisione, allo stile «lapidario»; la fatica si è via via ridotta, ed ora è quasi annullata: un testo si compila, corregge, ritocca, taglia, inserisce, con facilità irrisoria; si è insomma all’estremo opposto. A me pare che questa facilità tenda a rendere prolissi: dovrò starci attento”.

A parlare è Primo Levi, in dialogo con Tullio Regge: in quanto scrittore di mestiere elenca le ragioni positive per utilizzare un dispositivo digitale dedicato all’interno di una propria attività cognitiva e culturale molto significativa. Nonostante i software con intelaiatura iconica ed esplorativa attualmente in uso (Microsoft Word, LibreOffice, OpenOffice, Apple Pages e così via) siano ancora da concepire, egli trova infatti evidenti – e rasserenanti – i vantaggi di un ambiente di assistenza operativa e procedurale, fondato sulla flessibilità del supporto di scrittura. Le successive trasformazioni aggiungeranno a questo aspetto, tra le varie implementazioni funzionali, una sempre migliore gestione degli aspetti tipografici, l’interoperabilità tra gli apparecchi di elaborazione, l’estendibilità ipermediale del testo vero e proprio, dettatura a voce e trascrizione di file sonori.

Torniamo però alla scrittura come job.

Avendola definita come compito ingrato, a volte ostico, spesso incalzante, possiamo comprendere meglio a chi si rivolgano principalmente i software di assistenza cognitiva, processuale e perfino tematica che si appoggiano sull’intelligenza artificiale e che travalicano le funzionalità operative precedenti assumendosi in forma diretta il compito della strutturazione, della stesura e della revisione. Ma anche della sintesi, della semplificazione, dell’ampliamento, dell’approccio, dello stile e così via. Mi riferisco per esempio al già citato Copilot Pro, che agisce anche come estensione operativa di Microsoft Word e PowerPoint, a Shakespeare AI ToolBar per Google Chrome, alla funzione Composizione di Microsoft Bing, oltre che alle note modalità di interazione con ChatGPT e Google Gemini, e ad altre numerosissime produzioni dell’industria digitale.

Una particolare attenzione merita però Aithor.com, che fornisce agli utenti premium – va infatti detto che nella gran parte dei casi le funzioni di assistenza complete sono riservate agli utenti a pagamento – la possibilità di “nascondere l’uso dell’intelligenza artificiale”, mediante apposito mascheramento.  L’insieme di questi dispositivi sembra così sempre più definire una area di mercato specifica, rappresentata nello schema.  Il lettore avveduto coglierà il fatto che lo studentato non è compreso, salvo rubricarlo potenzialmente in eventuali situazioni di stress prestazionale.

Vi è comunque un rischio di fondo, ovvero la trivializzazione, di cui ci siamo già occupati e che nel contesto della mercificazione della scrittura è rappresentabile come segue: