Valutazione formativa, questa sconosciuta

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di Cinzia Mion

 Recentemente è stata ripresa con enfasi la discussione intorno alla tematica della valutazione scolastica. Infatti ultimamente il Ministro Valditara ha fatto approvare un emendamento che sta modificando profondamente il “senso” dell’Ordinanza n° 172, datata 4-12-2020, riguardante le Linee Guida per l’applicazione della L. n. 41/2020 che prevedevano alla scuola primaria, e ancora prevedono finché non ne verranno varate di nuove, l’introduzione dei LIVELLI al posto dei voti numerici.

I livelli sono stati modificati con questo intervento in “giudizi sintetici”. Il giudizio “insufficiente” ha soppiantato il raffinato” in via di prima acquisizione”.
Tale operazione ha rievocato dei giudizi chiaramente non solo “sommativi”, perché sommativi erano anche quelli descrittivi, ma i giudizi cosiddetti “sintetici” sono tali per cui non possono non riattivare nella mente dei docenti, ma anche dei genitori, i voti numerici la cui abolizione nel 2020 si era configurata come la vittoria di “un” primo traguardo.

Da parte delle Associazioni professionali che da tempo chiedevano invece a gran voce l’estensione della 172 a tutto il primo ciclo, tale provvedimento di “restaurazione” è stato affrontato e denunciato immediatamente come altamente dannoso per tutti gli allievi, con argomentazioni molto convincenti e condivisibili.

La leggenda metropolitana per cui i voti sono più “chiari”, rispetto ad altri sistemi, ha spadroneggiato dal tempo della riforma Gelmini che con il suo Regolamento li aveva ripristinati al posto dei giudizi. È risaputo invece che un numero, così come un giudizio sintetico, che andrà a soppiantare ora l’espressione dei recenti livelli, è molto più opaco e ciò che trasmette è soltanto la classifica tra gli alunni. Nemmeno gli stessi docenti, ritrovandoselo poi nel registro elettronico, sanno più quali siano i punti di eccellenza o le lacune sottostanti il numero assegnato, se non usando una legenda sotto la verifica. Figuriamoci i genitori.

Fermiamoci però un attimo a considerare il fatto rivoluzionario che a partire dal 1977, per la prima volta con la Legge 517, ha fatto la sua comparsa la valutazione formativa.  A quel tempo abbiamo assistito all’abolizione della pagella con i voti e alla sua sostituzione con una scheda di valutazione con dei giudizi che poi nel tempo hanno assunto diverse conformazioni.

Immediatamente è apparso però un fenomeno destinato a ripetersi: è stata costruita sempre una equazione fittizia tra voti e giudizi stessi, di qualsiasi formulazione essi fossero. Il voto numerico è talmente “imbullonato” nella nostra mente, per averlo noi tutti subito nel tempo scolastico e universitario, che facciamo fatica a superarlo come paradigma di riferimento. Ciò ci richiama alla mente la sperimentazione dei “neuroni specchio”, e la simulazione incarnata di cui parlano i neuro scienziati Rizzolatti e V. Gallese.
Questa osservazione molto importante mi induce a tornare indietro e a tracciare per sommi capi l’evoluzione dell’idea di scuola da cui scaturiscono le modalità valutative.

Cenni storici

 All’interno della cosiddetta scuola elitaria, delineata dalla riforma Gentile del 1923, i voti numerici erano funzionali al carattere selettivo della scuola stessa, (vedi esame di ammissione) idonea a formare i quadri dirigenti. La svolta è avvenuta al tempo del referendum sulla Repubblica, e la Costituzione nel 1948 ha introdotto sia l’articolo n° 3 sull’Uguaglianza di tutti i cittadini che il n° 34 che stabilisce che l’istruzione obbligatoria e gratuita dura 8 anni. Non ci soffermeremo a delineare la trasformazione basilare che è avvenuta, almeno negli intenti, verso un regime repubblicano-democratico.

Diremo soltanto che il primo atto legislativo varato per scolarizzare tutta la popolazione, per almeno 8 anni come dettava l’articolo 34, fu la legge istitutiva della Scuola media unica, del 1962. Si attesta con questa il passaggio dalla scuola elitaria a quella di massa, avviata per tutti i bambini ma soprattutto per i figli degli operai e dei contadini, che generalmente abbandonavano precocemente il percorso di scolarizzazione. Fu verso costoro però che i docenti di allora – non adeguatamente riorientati con un’opportuna formazione al cambio di utenza, precedentemente selezionata dall’esame di ammissione – infierirono con valutazioni negative e bocciature plurime.

Su questa ecatombe scolastica si levò la famosa protesta sociopolitica di don Milani e del Movimento studentesco, che fece a questa da cassa di risonanza, e poi quella successiva docimologico-scientifica che segnalò l’aberrazione della media aritmetica e predicò la differenza tra misurazione e valutazione, giustamente rappresentata dalla necessaria presenza di “criteri”, esplicitati pubblicamente.

La critica docimologica e psicologica

La docimologia (M.Gattullo: Didattica e docimologia, 1968).[1], in quanto scienza della misurazione, ha fatto piazza pulita di alcuni equivoci che cercherò di riassumere.
La “misurazione” precede la “valutazione” e non va confusa con essa, coincidenza invece resa possibile a lungo in Italia dal codice numerico dell’espressione della valutazione. I voti vengono considerati vere e proprie unità di misura di una scala perfetta, con intervalli tra loro perfettamente uguali: aspetto che Gattullo sottolinea essere impossibile. Gli stimoli creati dai docenti per le verifiche quasi sempre sono approssimativi per cui vengono proposte le cosiddette “prove oggettive”. Tale dispositivo però non risolve il problema sollevato da don Milani. Le prove devono essere considerate nel loro valore diagnostico: la cura delle difficoltà emerse sarà affidata all’insegnamento individualizzato.

La valutazione inoltre deve adottare dei criteri espliciti, non confusi tra loro, ed ospitati nel PTOF. Mi soffermerò soltanto a segnalare come il criterio di valutazione che si rifà al giudizio assoluto viene definito da Gattullo illecito (ecco il significato dell’espressione: io non sono un voto!). Criteri accettabili possono essere quelli scaturiti dal confronto con le misurazioni riferite agli altri studenti o ai progressi ottenuti dal soggetto considerato.
Dobbiamo poi aggiungere gli effetti della critica psicologica, che non hanno bisogno di spiegazione, perché o già molto noti o facilmente comprensibili, che sono: l’effetto alone, l’effetto stereotipo e l’effetto Pigmalione, ecc.

Tutte queste critiche sottolineano come la valutazione numerica sia SOGGETTIVA E ARBITRARIA.
Alla fine siamo arrivati alla opportuna critica pedagogica che permise il varo della legge 517/77, come ricordavamo prima, che inaugurò una valutazione completamente innovativa, chiamata appunto formativa. Ora si dà il caso che Le Linee Guida del 2020, nella Introduzione, contengano dei dati salienti riguardo alla psicologia dell’apprendimento, dati che andrebbero considerati una bussola dell’intera operazione, come in genere accade nell’Articolo 1 delle leggi. Il primo articolo infatti traccia sempre la cornice in cui verranno poi iscritte le operazioni successive ed esprime i principi ispiratori.
Il primo di questi principi nelle succitate Linee Guida è proprio la valutazione formativa.
Se Valditara dovesse perciò cancellare anche queste rimane pur sempre il decreto legislativo 62/2017 che continua a sottolineare l’importanza di questo tipo di valutazione.

Il cambio di passo

Il concetto di valutazione formativa, così rivoluzionario fin dal suo apparire, segna oltre che il passaggio alla scuola di massa anche a quella della integrazione, perché la stessa legge, contemporaneamente all’abolizione della pagella con i voti, ha aperto le porte della scuola statale ai soggetti con disabilità. Abbiamo già accennato alla consuetudine invalsa subito, e continuata purtroppo nel tempo, di tramutare d’emblée i voti in giudizi, vanificando così la caratteristica fondamentale e nuova della valutazione. Quello che temiamo adesso è  che questa perda nel tempo il suo smalto innovativo radicale e che si verifichi il medesimo meccanismo semplificatorio e sbrigativo.

Più volte infatti, da allora, il concetto è stato ripreso e citato, in modo prestigioso e autorevole, anche dalle “Indicazioni Nazionali per il curricolo del primo ciclo” del 2012, senza però che nessuno si sia mai preoccupato di vigilare se venisse applicato o se i docenti conoscessero la differenza tra valutazione sommativa e valutazione formativa. L’attenzione si è concentrata subito sulle competenze e i docenti spesso hanno bypassato la premessa e la sua pregnanza, andando a rifugiarsi sulla disciplina di loro competenza.

Nel lontano 1977 il corpo docente non è stato formato a questo cambio di passo e così è avvenuto dopo il 2012. Non ci siamo chiesti se fosse possibile, senza adeguata formazione, cogliere e poi applicare questa modalità nuova di valutazione. Ma allora – come se fosse un giallo – in che cosa consiste questa auspicata e tanto nominata modalità di valutare gli alunni e liquidata troppo spesso da tutti anche da formatori eccezionali? Cominciamo intanto con alcune citazioni indispensabili. Nell’anno 1967 uno psicologo americano M.[2] Scriven aveva pubblicato un articolo dal titolo “Differenza tra valutazione sommativa e valutazione formativa”, ripreso poi da B.Vertecchi in Italia nel 1976 all’interno del suo testo La valutazione formativa[3]. Non è un caso che appena un anno dopo fu varata la Legge 517, successivamente alla sua critica pedagogica che denunciava una scuola che perpetuava stratificazioni sociali di massa.

La valutazione formativa

Per capire profondamente questa espressione bisogna innanzitutto comprendere senza ombra di dubbio che l’aggettivo formativa, posto accanto al sostantivo valutazione  (es: il valore “formativo” della valutazione) non è un abbellimento, una sfumatura che smorza l’eventuale durezza che può connotare il concetto di valutazione tradizionale. No, “valutazione formativa”consiste in una valutazione vera e propria, complessa, che coniuga la attenta considerazione del livello di insegnamento con quello di apprendimento.

Da allora sarebbe dovuto risultare chiaro che la valutazione sommativa, considerata per eccellenza quella tradizionale, generalmente ascrive la responsabilità del  mancato apprendimento all’allievo (poco studioso, per niente diligente, carente intellettualmente, svogliato, indisciplinato e poco attento, ecc) . Quella formativa, invece, dovrebbe attivare un cambiamento di prospettiva di 180 gradi. Ascrive infatti la responsabilità del mancato apprendimento o dell’insuccesso formativo, all’insegnante e alle sue pratiche didattiche. Dal punto di vista operativo significa che il docente allora, all’interno di questa nuova ottica, innanzi tutto dovrebbe attivare la propria osservazione, professionale e curante, durante il processo dell’insegnamento-apprendimento e non precipitarsi sul prodotto-risultato come succederebbe con quella tradizionale. Attraverso molte microverifiche informali, soprattutto utilizzando il linguaggio del corpo, le interazioni verbali tra gli allievi – opportunamente sollecitate – e le espressioni libere tra loro, si renderà conto subito della lacune, delle smagliature che i bambini più fragili rivelano e cercherà in tempo reale, di modificare la propria strategia didattica, visto che quella utilizzata non ha dato i risultati sperati. Oggi infatti la scuola, anche per dettato esplicito, è diventata inclusiva perciò, parafrasando il bellissimo titolo di un film cinese “Non uno di meno”, nessuno può essere lasciato indietro. Questo cambio di strategia, sicuramente più laboratoriale, più operativa, ascrivibile spesso alla didattica del fare individualizzato, richiede al docente l’umiltà di una autointerrogazione: ho io a disposizione una strategia adatta? Cui seguirà l’autovalutazione che si concretizzerà nella risposta positiva oppure nella ricerca di una soluzione adeguata, per una opportuna autoregolazione.

Si tratterà di rivolgersi prima di tutto ai colleghi, all’interno della “comunità professionale di docenti”, poi di fare una ricognizione su Internet, o nelle librerie specializzate. Richiedere formazione specifica al proprio DS, e poi al collegio per l’approvazione, potrebbe essere una soluzione valida per tutti.

E pensare che addirittura nei programmi del 1985, quindi all’interno del testo legislativo, emanato dopo la Legge 517, all’ultimo capoverso del paragrafo intitolato “Valutazione” si trova scritto: “L’attività di programmazione e verifica deve consentire agli insegnanti di valutare l’approfondimento della loro preparazione psicologica, culturale e didattica anche nella prospettiva della formazione continua.” Il riferimento alla formazione continua sfonderebbe una porta aperta se qualcuno inevitabilmente ogni volta non si mettesse di traverso.  

Processi non solo prodotti

Per poter affrontare la questione in modo efficace bisogna imparare ovviamente a focalizzare il processo per cogliere i passaggi cruciali, senza il superamento dei quali l’insuccesso diventa purtroppo inevitabile. Si è reso possibile questo cambio di prospettiva perché – crediamo sia opportuno ricordarlo – durante gli anni 60/70 in America il neo-comportamentismo skinneriano era stato soppiantato dal cognitivismo, il cui padre simbolico era stato Bruner. Il cognitivismo aveva posto il focus delle sue ricerche sui processi cognitivi.

Insieme alla ricerca sui processi cognitivi e metacognitivi, sarebbe molto utile anche dare un’occhiata agli stili di apprendimento, ugualmente citati nelle Linee Guida. Gli stili di apprendimento sono diversi da quelli cognitivi, ascrivibili anche a tratti di personalità, che consistono in modalità diverse di categorizzare la realtà.

Gli stili di apprendimento invece sono delle tecniche preferite o prevalenti di funzionamento della nostra mente quando si trova ad affrontare nuove informazioni per nuovi apprendimenti. Ci possono offrire delle indicazioni utili perché esistono stili più visivi o più uditivi oppure cinestetici. Mi pare degna di nota questa ultima modalità perché offre spunti interessanti in quanto ci informa che chi è portatore di questo stile ha bisogno di “toccare“ oggetti e di muoversi, modalità attuabili con attività strategiche laboratoriali. Lo stile potrebbe includere modalità alternate o comunque multiple. Per garantire l’aspetto inclusivo della didattica bisognerebbe scoprire di quale stile di apprendimento sono portatori i soggetti più fragili ed inserire nella propria prassi dei sussidi adeguati.

Speriamo che prima o poi si riesca nell’impresa di realizzare un vero e proprio apprendimento trasformativo da parte di tutti i docenti della scuola primaria, augurandoci poi che questi possano contaminare tutti gli altri.

Chi riuscirà però a far accettare dalla mente dei docenti che una valutazione negativa, comunque, per quanto attiene il primo termine del binomio insegnamento-apprendimento, è da ascrivere alla propria responsabilità? Per come imposto la didattica; per quanto stempero le difficoltà per renderle affrontabili; per quanto mi sono formato sentendomi sempre moderatamente inadeguato ed ho quindi apprezzato la zona  dello sviluppo prossimale di vigotskiana memoria, applicandola sempre quando possibile; per quanto coinvolgo i ragazzi attraverso una relazione suggestiva con il sapere; per quanto io docente possiedo una motivazione alla “padronanza” nel mio lavoro e non solo alla “prestazione” per cui, dopo aver fatto le mie ore di lezione non mi sento a posto ma desidero sempre migliorare.
Per quanto attiene poi l’apprendimento dell’allievo è ovvio che emergono anche le sue responsabilità e le sue motivazioni e nello sfondo quelle della famiglia.
In altri termini, come si fa a non capire che la professione dell’insegnante, in quanto formatore, è una professione che non può smettere mai di mettersi in discussione e di adottare per questo una raffinata continua riflessività?

Ultima raccomandazione ai docenti della scuola secondaria

I voti numerici assegnati in calce alle varie verifiche, scritte od orali, vengono ricevuti dagli allievi ed utilizzati subito per anticipare quella famigerata “media aritmetica”, con cui viene prevista da parte loro la promozione o la bocciatura. La consuetudine di applicare questo tipo di media da parte dei docenti, dal punto di vista docimologico, è un obbrobrio. D’altro canto l’esperienza registra che di conseguenza nessuna attenzione viene riservata dagli allievi all’azione importante e basilare del recupero dell’errore. L’argomento del recupero dell’errore introduce la differenza tra “sbaglio” ed “errore” e la rispettiva differenza tra “esercizio” e “problema”.

Questa tematica apre il fronte interessantissimo, anticipato da H. Gardner[4] e ripreso più recentemente da Wiggins, della necessità urgente che la scuola abbandoni la strada della ricerca affannosa solo delle risposte esatte (comode per l’assegnazione dei voti numerici), ma astratta, disincarnata, scolastica, fine a se stessa, ed intraprenda quella della comprensione profonda considerata da Wiggins[5] la “competenza essenziale”.

Egli infatti dice: “Se una conoscenza o un’abilità non diventa lettura e comprensione della realtà, difficilmente si trasformerà in significativa o flessibile o in comprensione profonda. Per comprensione si intende una conoscenza pregnante, posseduta ed integrata in modo da poter essere facilmente utilizzata in contesti diversi, nei quali essa serva a chiarire una situazione o un problema.”
A tale proposito già H. Gardner aveva affermato”La scuola invece persegue il compromesso delle risposte esatte ed usa i voti come moneta falsa, come il denaro dei Monopoli!”
Se i “giudizi sintetici” possono essere facilmente assimilabili ai voti credo che la deduzione sia già pronta e scodellata.

Un’ultima ma utile raccomandazione: qualunque sia la decisione finale del Ministro Valditara e dei suoi consiglieri, carissimi docenti della scuola dell’obbligo, ricordatevi che l’unica àncora di salvezza è la valutazione formativa, giustificata per legge, invocata dalla psicologia dell’apprendimento di matrice socioculturale vigotskiana, utilizzata per sostenere e incoraggiare tutti gli alunni.
Come atto “intermedio” e “finale” concedete pure il contentino del giudizio sintetico.

Intanto però la scuola autenticamente inclusiva è salva.

[1] Gattullo M.,Didattica e docimologia-misurazione e valutazione nella scuola,Armando Armando editore,Roma,1968
[2] M.S.,The Methodology of Evaluation, in R.Tyler,R.Gagnè,M.Scriven,Perspedtives of curriculum Evaluation, Chicago,Rand McNally & Co.,1967
[3] Vertecchi B.,Valutazione formativa,Loescher,Torino,1976
[4] Gardner H. Educare al comprendere, Feltrinelli,2002, Milano
[5] Wiggins G.,McTighe J., Fare progettazione. La teoria di un percorso per la comprensione significativa.LAS-Roma,2004