La sindrome del 3%, la progettazione pedagogica degli ambienti di apprendimento

di Nicola Puttilli

In un convegno dell’ANDIS svoltosi recentemente a Montegrotto si è parlato di rigenerazione urbana e di come l’intreccio virtuoso fra protagonismo degli enti locali e progettazione delle autonomie scolastiche sia in grado di produrre piccoli gioielli di partecipazione democratica, cura del territorio e proposta pedagogica.
Esperienze che si stanno realizzando su tutto il territorio nazionale, senza distinzione tra nord e sud, città metropolitane e piccoli comuni, ordini di scuola.

Nel sentire parlare con giustificato entusiasmo docenti, dirigenti scolastici e architetti di queste brillanti esperienze non ho potuto non ripensare con una certa dose di rammarico a quanto accaduto nell’area torinese a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.

A seguito delle grandi innovazioni pedagogiche introdotte negli anni ’60/’70 nella scuola elementare e in parte anche nella scuola media, a partire dal tempo pieno e dalla didattica per laboratori ispirata in gran parte a Francesco De Bartolomeis, docente di pedagogia nell’università di Torino, furono progettate e costruite nei quartiere periferici della città, una decina di scuole che rispondevano in buona misura ai criteri di questo modello pedagogico: pareti mobili per trasformare le aule in atelier/laboratori, “buca” circondata da gradinate per le attività teatrali, spazi esterni da adibire ad orto e attrezzature per attività, si direbbe oggi, outdoor.
Anche la città, sotto la regia di due assessori ex direttori didattici come Gianni Dolino e Fiorenzo Alfieri, si dispose come un immenso laboratorio mettendo a disposizione delle scuole teatri, musei, spazi di incontro e perfino ex colonie marine trasformate in laboratorio mediterraneo.

La “verve” innovativa durò alcuni anni, poi, complice anche la tragedia dell’incendio al cinema “Statuto” nel 1984 con i suoi 64 morti, cominciò lentamente ma inesorabilmente a declinare. La più che giustificata attenzione alla sicurezza divenne , in alcuni casi, vera e propria ossessione inducendo molti capi istituto a logiche più che prudenziali. Le prime ad essere “chiuse” furono le buche teatrali, troppo il rischio che qualche bambino un po’ distratto facesse qualche brutta caduta, poi si rinunciò alle pareti mobili, ritornando un po’ alla volta alla più tranquillizzante routine della classe e lasciando all’attività laboratoriale qualche specifico spazio specializzato, utilizzato sempre più sporadicamente.

Le principali ragioni del ritorno a una “architettura” e a una didattica tradizionale non furono, ovviamente, legate solo a ragioni di sicurezza ma soprattutto all’incapacità del nuovo modo di fare scuola di tradursi in un processo consolidato e duraturo e, soprattutto, fatto proprio dalla generalità, o quasi, del corpo docente.

Nel convegno di Montegrotto qualcuno ha detto che le scuole innovative che rompono il rapporto classe/aula attraverso una serie di spazi formativi in grado di disarticolare la didattica puramente trasmissiva, costituiscono circa il 3% dell’intero patrimonio scolastico italiano. Continua a leggere

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Linee propositive per un riordino complessivo del Sistema educativo di istruzione e di formazione 

Oggi, 2 maggio 2025, è venuto a mancare Maurizio Tiriticco, ispettore scolastico, studioso, profondo conoscitore della scuola italiana e della sua storia.
Per l’occasione proponiamo un suo articolo pubblicato nel nostro vecchio sito PavoneRisorse nell’ottobre 2013.

 

di Maurizio Tiriticco

Per una uscita a 18 anni di età, come avviene un quasi tutte le istituzioni istruttive e formative dell’UE – Ovviamente, senza che l’uscita anticipata costituisca un alibi per tagliare gli organici, ma per utilizzarli meglio con una diversa organizzazione del tempo scuola.
Per una scuola a “tempo pieno” e a “spazio aperto”, che comporti il superamento delle “classi di età”, funzionali al sistema della promozione/bocciatura che contraddice la realtà dello sviluppo/apprendimento di un soggetto in età evolutiva: chi evolve non può tornare indietro!

La proposta

a) una scuola dell’infanzia biennale(3-5 anni)

b) una scuola di base decennale obbligatoria (5-15 anni): non si tratta di anticipare ai 5 anni di etàobiettivi e contenuti dell’attuale prima classe primaria; occorre progettare un curricolo decennale verticale continuo e progressivo che conduca un soggetto di 5 anni a raggiungere in 10 anni di istruzione le competenze di cittadinanza e culturali di cui al dm 139/07, ovviamente da rivedere, correggere, aggiornare, arricchire. Si veda anche il Quadro Europeo delle Qualifiche, EQF (23 aprile 2008) e l’Accordo quadro per la referenziazione del sistema italiano delle qualifiche all’EQF (20 dicembre 2012).

Sarà opportuna un’articolazione in due quinquenni (5-10 e 10-15: dal superamento dell’egocentrismo alla padronanza delle operazioni formali di base); in tal caso occorre ragionare sul concetto stesso di ciclicità in fatto di sviluppo/crescita di un soggetto e di processi di apprendimento e socializzazione. Tale scuola è educativaformativaistruttiva (vedi il comma 2 dell’art. 1 del dpr 275/99) e orientativa nel contempo e non si conclude con un esame ma con una certificazione delle competenze di cittadinanza e culturali acquisite nel decennio, per come sono state accertate, a prescindere da giudizi di valore e di merito, confortate però da indicazioni per l’orientamento.

Occorrerà considerare il decennio nella sua continuità con il superamento delle attuali classi di età, funzionali a quelle promozioni/bocciature che nulla hanno a che vedere con i reali processi di sviluppo/crescita e apprendimento di un soggetto in età evolutiva. Sta alle singole ISA fare in modo che in dieci anni, con l’attivazione di opportuni gruppi di lavoro, percorsi in diversi laboratori, ciascun soggetto raggiunga il massimo delle competenze indicate dal Miur in modo che gli sia garantito il successo formativo (vedi il comma 2 dell’art. 1 del dpr 275/99). Il che implica il superamento dell’aula contenitore di una data classe di età e l’attivazione di aule/laboratorio opportunamente attrezzate. Non sarà più l’insegnante che si reca nell’aula della classe x, ma gruppi di alunni che si recano in aule laboratorio opportunamente attrezzate (ovviamente si tratta di attrezzature minimali che non escludono l’esistenza e il funzionamento di laboratori particolarmente dedicati).

Il che implica un progressivo superamento dell’attuale organizzazione per classi di etàcattedre e orari eguali per tutti gli alunni.

c )un’istruzione secondaria triennale (15-18 anni), che si concluda a) con la certificazione di competenze di cittadinanza, culturali e pre-professionalizzanti e b) con competenze culturali specifiche e professionalizzanti differenziate a seconda dei diversi percorsi e indirizzi, siaistruttivi (l’istruzione di competenza dello Stato) che formativi (l’istruzione e formazione professionale di competenza delle Regioni). Si tratta di percorsi che garantirebbero a ciascun soggetto il soddisfacimento del diritto/dovere all’istruzione e alla formazione (vedi art. 2, comma 1, punto c della legge 53/03).
Occorrerà istituire istituti comprensivi orizzontali in cui siano attivi percorsi in cui a una solida cultura di base umanistica e scientifica, eguale per tutti, siano associati indirizzi pre-professionalizzanti e/o professionalizzanti. Sarà necessario istituire nel primo anno (15/16 anni) opportune passerelle che consentano attività di orientamento e riorientamento, qualora il percorso decennale obbligatorio non abbia soddisfatto tali esigenze.

d) occorre considerareex novo l’insieme dei complessi rapporti tra l’istruzione secondaria statale e l’istruzione e formazione professionale di competenza delle Regioni, nonché i rapporti tra titoli di studioqualifiche triennali e diplomi quadriennali; nonché l’effettiva attuazione del Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF).

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Come fare la pipì a scuola

di Mario Maviglia (*)

(*) M.Maviglia è stato dirigente tecnico oltre provveditore agli studi di Brescia per diversi anni, quindi è persona assolutamente titolata a dare suggerimenti amministrativi e normativi agli organi di Governo della scuola. 

Dopo  l’opportuna e felice nota 2443 del 28/04/2025 del Ministero dell’Istruzione e del Merito (Assegnazione delle verifiche in classe e dei compiti da svolgere a casa), con la quale si offrono raccomandazioni alle istituzioni scolastiche riguardo “l’assegnazione di compiti e attività di studio da svolgere a casa” in modo che “siano accuratamente pianificate da ciascun insegnante, anche avendo cura di valutare quanto eventualmente già definito dagli altri docenti del team o del consiglio di classe, nonché evitando che siano consegnati sul registro elettronico in serata per l’indomani”, ci auguriamo che il previdente Ministro offra opportune indicazioni su un altro aspetto di grande importanza per la vita della scuola e dei suoi protagonisti, ossia l’atto della minzione.
In uno spirito di servizio, e nella speranza che questo nostro gesto venga apprezzato, ci permettiamo di fornire il testo della possibile nota da inviare alle scuole (lasciamo indefinita la chiusura del provvedimento che – considerata la rilevanza – potrebbe sottoscritto non solo dal Ministero dell’Istruzione ma anche da altri dicasteri in modo congiunto):
“Ai Dirigenti scolastici delle istituzioni scolastiche statali e ai Coordinatori didattici delle scuole paritarie
LORO SEDI
e, pc., Ai Direttori generali e ai Dirigenti preposti agli Uffici scolastici regionali
LORO SEDI
Al Sovrintendente scolastico per la Regione Valle d’Aosta
AOSTA
Al Sovrintendente scolastico per la scuola in lingua italiana
BOLZANO
All’Intendente scolastico per la scuola in lingua tedesca
BOLZANO
All’Intendente scolastico per la scuola delle località ladine
BOLZANO
Al Dirigente del Dipartimento istruzione per la Provincia di
TRENTO
Oggetto: atto della minzione a scuola.

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L’occasione demografica

di Stefano Stefanel

Il Rettore dell’Università Bocconi di Milano Francesco Billari e l’Ordinaria dell’Università del Molise Cecilia Tomassini hanno pubblicato sul Corriere della sera del 6 marzo 2025 un interessante articolo dal titolo “Scuola, l’occasione demografica”. Nella prima parte dell’articolo vengono evidenziati alcuni problemi strutturali della scuola e dell’università italiana:

  • il 38% degli uomini e il 33% tra le donne non ha ottenuto il diploma di scuola superiore”;
  • “nelle generazioni più giovani questa quota è ormai poco sopra 10%, ma rimaniamo tra i peggiori in Europa”;
  • “l’aumento della proporzione di diplomati al passare del tempo non ha risolto i problemi: quasi un maturando su due non raggiunge livelli soddisfacenti nella capacità di interpretare un testo scritto o non ha basi sufficienti in matematica”;
  • “rimane poi stagnante la proporzione di immatricolati che si iscrive all’università, attorno al 60%, preparando la strada per una quota di laureati che rimane tra le più basse nei paesi sviluppati”.

Poi i due docenti universitari osservano che “meno studenti significa che, a parità di costo complessivo, l’investimento pro-capite può aumentare. Alla minore quantità si potrebbe accompagnare così una maggiore qualità”. Dopo l’analisi viene scritta anche una petitio principii: “Bisogna essere scientifici e non ideologici, partendo dai dati e dalla ricerca sui sistemi scolastici.” I dati che vengono citati sono, ovviamente, corretti, ma la chiusa dell’articolo sembra uno di quei finali molto attesi dove lo spettatore viene però deluso dalla genericità della soluzione: “dobbiamo ripensare la scuola guardando ai modelli degli altri paesi, e trovando una nostra strada. Probabilmente, con una riforma radicale, a cent’anni da quella di Giovanni Gentile, che trasformi i bassi numeri della demografia in una qualità di uscita elevata dalle scuole secondarie e in disuguaglianze ridotte. Con più tempo, più investimenti sugli insegnanti che si mettono in gioco, e una maggiore centralità degli studenti. Guardando ai dati e non alle ideologie per valutare gli esiti.”

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La nuova educazione civica di Valditara entrerà nella storia. Statene certi.

di Aristarco Ammzzacaffè

(ricordiamo che l’ebook di Aristarco Ammazzacaffè I ministri dell’Istruzione da Moratti a Valditara citato in questo intervento viene inviato gratuitamente a tutti gli iscritti alla associazione)

L’intervista e il contesto

Finalmente in tutte le scuole italiane dal settembre scorso (2024) è approdata la Nuova Educazione Civica (N.E.C.).
Basta chiedere a insegnanti, ds e studenti per capire questo nuovo miracolo che illuminerà le nostre scuole.

A tutt’oggi – a essere obiettivi fino in fondo – c’è ancora in giro aria di scarso interesse.

– Però visibilmente festosa – annota il Ministro, rallegrandosi, ma anche pensando alla difficoltà del parto: il Decreto, con le Linee guida, elaborato in pieno ferragosto, quando anche il governo tutto era sotto l’ombrellone e affini.
Il pur primario dovere familiare di tornarsene a Milano – dove l’ aspettavano con ansia assolata, parenti ed amici – non l’ha avuta vinta. Quando uno dice: la tempra!

E quindi, in pieno periodo ferragostano (13 agosto) – così raccontano le cronache – il Ministro era ancora lì, a Roma, al suo posto, a farsi intervistare proprio sulla N.E.C. da un giornalista del Messaggero, gocciolante di sudore (povero!) dalla testa ai piedi. Lui però, il Ministro, niente. Neanche una goccia; e in giacca e cravatta. Continua a leggere

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Un nuovo profilo: il dirigente scolastico giudice

di Stefano Stefanel

Una ventina di anni fa c’era una dirigente scolastica distaccata ad un Ufficio Scolastico che amava accompagnare qualunque affermazione alla frase: “ce lo chiede l’Europa”. E a qualunque obiezione riguardo a contorte e astruse proposte che lei caldeggiava rispondeva allargando le braccia: “purtroppo ce lo chiede l’Europa”. Sono andato, a quel tempo, a cercare dove l’Europa ci diceva di fare questo o quello, ma non ho mai trovato nulla che assomigliasse anche lontanamente a quanto veniva proposto, ma poiché la dirigente era simpatica ed operativa ho dedotto che aveva capito meglio di me cosa realmente ci chiedeva l’Europa. Dopo vent’anni devo dire che, anche se veramente l’Europa ci chiedeva quello che la dirigente scolastica distaccata intendeva, poi l’Europa di quello che abbiamo fatto noi non ne ha fatto nulla. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.

In questi tempi il mantra si è spostato e davanti a qualunque decisione molti dirigenti scolastici dichiarano: “lo dice la legge”, “mi limito ad applicare la legge”. Davanti a questa apodittica declaratoria c’è la tendenza ad abbassare il capo e a ubbidire, anche perché verificare se c’è veramente una legge che dice quello che viene richiesto, prevede uno sforzo e perdite di tempo che, pare, pochi vogliono compiere. Meglio aspettare qualche sindacato che cominci a protestare o qualche chat che apra il dibattito.

La questione della legge è ben strana per due motivi:

  • se c’è una legge che prescrive di fare qualcosa senza “se e senza ma” come mai in almeno altri cinquemila istituti italiani questa cosa non la si fa?
  • in base a quale autorità un dirigente scolastico stabilisce cosa una legge dice o non dice? cioè, da dove deriva il suo ruolo di autentico interprete della norma?

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La scuola secondo Valditara: la scuola come punizione

di Simonetta Fasoli Come prevedibile, il ddl che ridisegna i contorni della scuola al tempo della destra al governo è stato approvato in via definitiva alla Camera e attende ora la pubblicazione in G.U. per entrare in vigore. I successivi decreti attuativi ne assicureranno l’effettiva operatività. È un provvedimento che investe diverse materie, con l’intento dichiarato di ridare credibilità e strumenti di sostegno a un’istituzione in evidente affanno. Intento lodevole…se non fosse che, a ben vedere e a mio parere, va in direzione contraria, come cercherò di argomentare. Le analisi punto per punto sul testo (che ho ovviamente letto nella versione appena approvata) le lascio volentieri agli/alle esegeti di professione, che non mancheranno. A me interessa ragionare sullo spirito di fondo che “anima” il provvedimento (senza dargli il respiro di un disegno politico-culturale degno della posta in gioco) e che i singoli dispositivi lasciano trasparire più o meno esplicitamente. È uno spirito, dal mio punto di vista (condiviso, a quanto leggo, dalle prime reazioni nel campo politico di opposizione) fortemente anti-educativo. Sì, lo so che il senso comune fa esultare alcun* di fronte a quello che la norma promette (e minaccia) accogliendolo come quella stretta “liberatoria” che fa sentire sollevat* i molt*, e temo i più, al pensiero sommario “era ora!”. Ma il senso comune non è buon senso, non sempre, e in certi casi richiede una riflessione per essere smontato. Continua a leggere

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L'umiliazione dei licei: secondo il Ministero sono scuole poco impegnative e facili da gestire

di Stefano Stefanel Una delle prime cose che si insegna a tutti i docenti che vogliono diventare dirigenti scolastici è che ogni provvedimento della Pubblica Amministrazione deve rispondere a canoni di efficienza, efficacia ed economicità. Se almeno una di queste tre caratteristiche non è soddisfatta allora è meglio lasciar perdere. Di recente, improvvisamente e a sorpresa, il MIM ha emanato una divisione degli Istituti scolastici in fasce al fine della retribuzione dei dirigenti scolastici. La retribuzione dei dirigenti scolastici prevede una parte fissa uguale per tutti, eventuali assegni ad personam legati a situazioni del passato transitati nella dirigenza (che residua per non tantissimi casi) e due retribuzioni variabili: una “di posizione” (la complessità della scuola che si dirige) e una “di risultato” (a seguito della valutazione obbligatoria del dirigente scolastico). Poiché anche i dirigenti scolastici non vogliono farsi valutare a fini stipendiali (come del resto in Italia praticamente tutti ad eccezione degli studenti) e in questo vengono spalleggiati sia dai sindacati generalisti (per intenderci CGIL, CISL, UIL, Snals, ecc.) sia da quelli di categoria (citerei solo ANP) dalla nascita della dirigenza scolastica (1999) nessuno è stato valutato a fini stipendiali. Continua a leggere

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Sanzioni disciplinari agli studenti per salvare il prestigio dei docenti. Il Governo ci crede davvero

di Raimondo Giunta Mai avrei pensato che per difendere l’autorevolezza degli insegnanti si dovesse pensare di aggravare nei confronti degli studenti indisciplinati e irrispettosi le sanzioni disciplinari esistenti. E’ facilmente comprensibile ai più che l’autorevolezza degli insegnanti è stata gravemente incrinata dall’incuria delle condizioni del lavoro, dall’erosione continua della loro libertà, dalla modestia del loro stipendio, dalle aggressioni dei genitori e dalle continue campagne di diffamazione dei media e non dall’indisciplina degli studenti. Vediamole allora queste nuove sanzioni disciplinari! 1) Nelle scuole secondarie di I grado, se il disegno di legge del ministro Valditara sarà approvato definitivamente, sarà ripristinata la valutazione del comportamento, che dovrà essere espressa in decimi e avrà un impatto sulla media generale dello studente, modificando così la riforma del 2017. La valutazione del comportamento influenzerà anche i crediti per l’ammissione all’Esame di Stato conclusivo della scuola secondaria di secondo grado e per avere diritto al punteggio più alto bisognerà avere al meno nove decimi in condotta. Si torna, quindi, all’indigeribile commistione tra profitto scolastico e comportamento dell’alunno, che invece andrebbero rigorosamente e laicamente separati. Un provvedimento questo che avrà come effetto certo la crescita della dissimulazione e dell’ipocrisia degli alunni, ma non dell’adesione convinta alle regole che tutelano la convivenza in una scuola. 2) A seguito di un voto insufficiente in condotta non solo per casi di violenza o di commissione di reati, ma anche per comportamenti che costituiscono gravi e reiterate violazioni del Regolamento di Istituto non si è promossi alla classe successiva e non si è ammessi agli esami di Stato. Continua a leggere

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Ragionando sulla dispersione scolastica

di Raimondo Giunta La lotta alla dispersione scolastica è uno dei compiti più nobili che si possa svolgere nelle singole scuole, perchè dà respiro sociale ed educativo a tutta l’attività formativa. Nella società della conoscenza, dell’apprendimento durante tutta la vita, chi fuoriesce anticipatamente dal sistema formativo senza il possesso di adeguate e solide competenze per svolgere il ruolo di cittadino e di lavoratore è destinato all’emarginazione sociale. E in linea di principio nessuno dovrebbe accettare un fatto del genere. Alla scuola è stato indicato l’obiettivo di ridurre drasticamente la dispersione scolastica e nel frattempo anche quello di aumentare in modo cospicuo la percentuale dei diplomati di quanti frequentano le superiori per allinearsi alle relative medie europee.  I risultati sono in via di miglioramento, anche se non sono completamente soddisfacenti, perchè il fenomeno della dispersione è ancora consistente, per vecchi e inestirpati fattori, ma anche per nuovi, come la scolarizzazione dei figli degli immigrati, per la quale non si è sempre e dappertutto preparati. A partire dagli anni ‘60 le porte delle scuole sono state aperte a tutti, soprattutto alle superiori. I risultati di questa necessaria scolarizzazione di massa, però, sono ancora contraddittori. A parità di “qualità umane”, infatti, non si ha tra i giovani parità di risultati, di successo formativo e di possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. Si è intervenuto su alcuni ostacoli di natura economica, ma negli ultimi tempi con risorse sempre decrescenti, (riduzione delle tasse di iscrizione, borse di studio, gratuità dei servizi di trasporto, buoni-libro, ma rare volte con le mense scolastiche). Questi provvedimenti hanno favorito l’accesso di tantissimi giovani alle scuole, ma non sono riusciti a tenervi dentro tutti quelli che vi entravano e a farli uscire a tempo dovuto con il bagaglio necessario di preparazione per affrontare la vita. Continua a leggere

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