Linguaggio, significato e comprensione del testo

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di Giancarlo Cavinato

Leggendo un testo può capitare di imbattersi in termini come ‘gheriglio’, ‘pistillo’, ‘sgranocchiare’, ‘mariuolo, ‘zuppiera’, di cui il lettore non conosce il significato.
All’età in cui si affronta la pagina scritta non è ancora possibile ricorrere al vocabolario, né la definizione data dall’adulto consente di inquadrare il termine nel testo orale o scritto, e non lascia una traccia sufficiente a riconoscere il significato del termine quando lo si reincontra,
E’ questo uno dei nodi centrali per la costruzione di strategie consapevoli di lettura e per poter comprendere messaggi in profondità.

Una scuola conservatrice affronta il tema del significato in modo coerente alle sue linee generali di organizzazione culturale e funzionale: come struttura rigida trasmette cultura in modo rigido. Per la lingua si privilegia lo scritto sul parlato e per lo scritto si tengono d’occhio modelli, che mal sopportano devianze.
Si crede che la lingua sia formata da una somma di elementi tutti della stessa importanza, dai più semplici ai più complessi, le vocali, le consonanti, le parole, le frasi, le proposizioni, i periodi…si crede anche che l’analisi di questi elementi si possa fare ancora secondo gli schemi del razionalismo di Port-Royal (analisi logica e grammaticale) e che questo tipo di analisi giovi al saper scrivere e al saper parlare. Una scuola conservatrice ha della lingua una concezione statica ove la massima ambizione è scrivere secondo “il modello”. Dal bambino della prima elementare, che mette insieme i “pensierini” e legge sul libro di lettura, al ragazzo della media, che svolge il tema, c’è una continuità didattica e metodologica, che testimonia il peso e il ruolo della tradizione […..]

In una scuola, che considera la lingua come nomenclatura e che crede che il significato sia entro le forme linguistiche, il problema della lettura si risolve abbastanza facilmente. Quando il bambino ha superato il momento strumentale del leggere, che viene visto nella capacità di trasformare dei segni scritti in suoni, la lettura in classe sembra avere un unico obiettivo: superare al più presto e nel modo migliore le difficoltà (sillabazione, rispetto dei segni d’interpunzione, doppie, buona pronuncia di tutti i suoni, intonazione, velocità); la comprensione di ciò che si legge non sembra essere un grosso problema: se si sta attenti, si capisce.

Infatti una scuola, che trasmette il sapere attraverso la parola e che chiede agli alunni di dimostrare di sapere, ripetendo ciò che hanno letto o ascoltato, è una scuola che crede che i significati stiano dentro alle parole e che trasmettere parole voglia dire trasmettere significati.

La comprensione della lettura sembra essere quindi problema di buona volontà e di attenzione, dal momento che i significati sono dentro le parole.

Conquistare il significato

In ‘Pensiero e linguaggio’ Vygotskij [2] affronta in modo originale e con un esame approfondito il tema del significato.
Vygotskij critica quella corrente psicologica, che considera il legame tra parola e significato, come un legame di ordine puramente associativo, formatosi nella coscienza, per il fatto che una certa parola e una certa cosa si sono presentate più volte in coincidenza.

“La parola richiama il suo significato allo stesso modo con cui il soprabito di una persona conosciuta richiama alla memoria la persona stessa.”

La comprensione del linguaggio, secondo questa teoria, consisterebbe in una catena di associazioni, richiamate alla mente da immagini o da parole: “Una volta il soprabito può farci ricordare la persona che lo porta, un’altra volta è l’aspetto della persona che può richiamarci alla memoria il suo soprabito. Conseguentemente la comprensione del linguaggio e l’espressione del pensiero nella parola in nulla si differenziano dal semplice atto di ricordare per associazioni.”

Vygotskji non condivide una visione così semplicistica del rapporto parola-significato e del valore della complessità del significato, e con una serie di serrate argomentazioni, che si richiamano a sperimentazioni legate allo studio dello sviluppo del pensiero e del linguaggio nel bambino, contrappone alla teoria associazionistica la sua tesi[…]:

  • il significato della parola è una generalizzazione
  • il significato della parola si sviluppa.

Nell’affermare che il significato della parola è una generalizzazione, Vygotskji sottolinea la complessità del significato, che è prodotto di una serie di operazioni mentali e non l’espressione di pura associazione.
Il significato della parola “è riflessione generalizzata” della realtà, che realizzandosi nella parola trova in essa il segno necessario alla comunicazione. Il significato della parola è, per Vygotskji, l’unità in cui si sostanzia il pensiero verbale, esso è infatti, egli dice, tanto pensiero che linguaggio.
La comunicazione (e la comprensione) è possibile quando il pensiero riesce ad operare sulla realtà con generalizzazioni successive che si traducono in simboli(le parole). Per cui ogni parola non si riferisce ad un singolo oggetto, ma ad un gruppo o a una classe di oggetti.

Poiché il significato è prodotto di un’operazione del pensiero e non di una giustapposizione associativa, esso non è un dato, ma un processo dinamico. C’è una conquista lenta e continua dei significati da parte del bambino, proprio perché si tratta di conquistare delle generalizzazioni sempre più astratte, e quindi trasferibili.
Che il significato sia una conquista continua e non sia dato una volta per tutte, lo dimostra la diversità di competenza, che si riscontra nel bambino dell’elementare e nel ragazzo della media, tra aspetto semantico e fonetico del linguaggio (Piaget, ad esempio, ha dimostrato come il bambino possa usare nel suo linguaggio i “perché” e i “sebbene” dell’adulto, ma dando ad essi significati diversi da quelli dati dall’adulto)[3]

Anche Bruner sul rapporto tra competenza sintattica e semantica scrive: “Ciò che è impressionante rispetto al linguaggio come una delle espressioni specializzate dell’attività simbolica, è che uno dei suoi aspetti, la sfera sintattica. raggiunge molto rapidamente la maturità. La maturità sintattica di un bambino di cinque anni sembra priva di connessione con la sua abilità nelle altre sfere. Egli può disporre di parole e di enunciati, utilizzando regole molto astratte; ma non può, in modo corrispondente, organizzare le cose che le parole e gli enunciati rappresentano. Questa asimmetria si riflette nelle attività semantiche del fanciullo, dove la sua conoscenza dei sensi delle parole e le implicazioni empiriche dei suoi enunciati restano infantili per molti anni, anche dopo che la sintassi si è pienamente sviluppata.”[4]

Nella conquista del significato il bambino passa dalla giustapposizione nome-oggetto (ad es. “gatto”, sentito come il mio gatto Fufi e non altri) al considerare “gatto” come rappresentante di una classe ( il “gatto” come uno fra tutti i gatti possibili, bianchi, neri, grandi e piccoli), per salire infine al rapporto di inclusione cioè al sistema (gatto-felino; felino-animale).

La seconda affermazione di Vygotskji relativa allo sviluppo dei significati è già insita nella prima.
Se il significato è una generalizzazione e se esso è l’unità in cui si sostanzia il pensiero verbale, conseguentemente esso è processo dinamico.
Questo ha una grossa conseguenza sul piano metodologico-didattico.
Nella scuola dell’obbligo, ove il bambino e il ragazzo stanno maturando la cultura di base, considerare i significati delle parole come processi in evoluzione, vuol dire cambiare, nei confronti dell’alunno, l’atteggiamento dell’insegnante.

Se i significati sono strettamente legati alle conquiste del bambino, al grado di sviluppo del suo pensiero verbale nel rapporto con la realtà, compito dell’insegnante è quello di aiutare tutti a conquistare significati sempre più astratti, più generalizzabili.

La scuola tradizionale, che ha alle spalle una teoria associazionistica, considera i significati come dati una volta per tutte; dell’esattezza dei significati è garante l’insegnante. Si instaura così, ancora una volta, una situazione di subordinazione culturale e di dipendenza. Il maestro è il solo arbitro che decide del significato, basta chiederlo a lui e ricordarsi che cosa ha detto. Non c’è stimolazione dello sforzo del bambino a cercare il significato, a provarlo in situazioni di confronto e quindi di verifica.

“Il brano letto vuol dire questo e non altro, chi ha capito in modo diverso ha sbagliato.”

Però non si dà al bambino la possibilità di provare, di dimostrare, di difendere l’errore perché ciò sarebbe una perdita di tempo, dal momento che l’insegnante stabilisce dove comincia e dove finisce l’errore. Quando il bambino chiede il significato di una parola sconosciuta, gli si spiega cosa vuol dire o lo si rimanda al vocabolario, se è più grande: gli si danno ancora parole per spiegare parole.

Si toglie la condizione prima dell’apprendimento del linguaggio: quella della prova, dell’uso, quella che ha permesso a tutti di imparare in modo attivo, sperimentale, impegnato, la lingua materna, prima di venire a scuola.

Significato e lettura

Se ora guardiamo alla lettura, tenendo presente quanto abbiamo detto sul significato, essa acquista un valore ben diverso da quello che solitamente le si attribuisce. Leggere, scoprendo i significati che il messaggio trasmette, è un’operazione complessa, che va ben al di là della capacità strumentale di decifrare dei segni.

Nell’arco dell’obbligo la lettura può diventare momento fondamentale dell’apprendimento della lingua, se si pensa che da sei a quattordici anni le operazioni mentali di classificazione, di analisi e di sintesi hanno la possibilità di esercitarsi su “oggetti” molto diversi per quantità e qualità, “oggetti” verbali e scritti, semplici e complessi, con cui viene a misurarsi la “cultura” di ogni ragazzo, con tutto ciò che essa ha alle spalle e con tutto quanto viene via via acquistando.

Riprendiamo quanto abbiamo detto sul significato.

  • il significato della parola è una generalizzazione;
  • il significato della parola si sviluppa;

e aggiungiamo quanto dice De Mauro[5]:

“Le forme linguistiche non hanno un’intrinseca virtù semantica: isolate dal parlante che le adopera, esse non hanno capacità di garantire la trasmissione di un significato univoco: acquistano tale capacità soltanto in relazione a chi le usa.”

Un uso tuttavia che non è senza vincoli perché “il significato di una parola non  dipende dall’uso di un individuo uti singulus, ma dall’uso di un individuo in quanto inserito in una certa comunità storica e quindi da ciò obbligato (anche se maleducato) a evitare ogni arbitrio individuale nell’attribuire un significato ad una parola.”
Da scienza del significato, dice De Mauro, la semantica passa ad essere scienza del significare.
“L’uomo è il solo responsabile del suo parlare, del quale egli solo foggia, corregge trasforma forme e valori. il suo parlare è uno dei modi di intervenire nel mondo, ordinando secondo valori collegati a forme nate collettivamente, l’esperienza che egli ne ha: forme e valori che egli stesso ha creato, e la cui unione egli solo, solidale con  i suoi simili e con  se stesso, può e sa garantire. l’esperienza semantica riposa dunque sulla possibilità d’azione dell’uomo.”

Abbiamo quindi ricavato linee indicative su cui impostare il lavoro:

  • la lettura è un’operazione attiva, che coinvolge il bambino con tutto il suo vissuto, sia essa lettura della lingua scritta o lettura delle parole dell’insegnante o dei compagni di classe;
  • imparare a leggere (nel senso di leggere per capire) è un’operazione difficile, che richiede tempi e tecniche adeguati; non è certo operazione automatica (nel senso che basti stare attenti per capire);
  • significanti uguali, cioè “parole” uguali, non hanno per tutti gli stessi significati, né li hanno per il singolo bambino in tempi e in situazioni diverse;
  • quando si leggono la lingua scritta o la parola degli altri, i segni scritti o verbali riattivano in noi le tracce del nostro vissuto e ci offrono interpretazioni che, al limite, sono solo nostre (“La comprensione di un testo sta nell’uso delle connessioni precedentemente acquisite. Nel processo di comprensione si ha l’attualizzazione delle connessioni formate in precedenza e l’inclusione di nuove connessioni nel sistema già formato”[6])
  • il confronto delle varie “letture”, la messa in discussione dei significati trovati, permettono di uscire dal proprio vissuto e di socializzare la conoscenza;
  • la possibilità di un confronto finalizzato alla ricerca dei significati può essere garantita da un’organizzazione della classe, profondamente diversa da quella tradizionale, che si realizza attraverso tre elementi:
  • gli strumenti (schede e materiali pensati per creare in classe occasioni di uso motivato e verificabile della lingua e quindi di riflessione su di essa e su coloro che la usano)
  • il ruolo dell’insegnante
  • il lavoro di gruppo

Il nostro cervello sembra avere fondamentalmente due grosse attività: una riproduttrice e una combinatoria.
I fatti, gli oggetti, le persone, i sentimenti lasciano tracce sulla nostra sostanza nervosa, che registra in tal modo la realtà. Noi possiamo così conservare le esperienze anteriori e facilitare il loro reiterarsi.
Tuttavia senza la seconda attività, la combinatoria, saremmo capaci di adattarci soltanto a situazioni usuali e stabili; non saremmo capaci di affrontare il nuovo, l’inatteso, saremmo esseri rivolti solo al passato.
L’attività combinatoria permette di collegare le tracce fra di loro in un modo anche diverso da come si presentarono nel passato, permette di rielaborare creativamente tracce vecchie e tracce nuove, formando e rappresentando nuove situazioni. [7]

Quando leggiamo, e tentiamo di capire un testo, i segni della pagina scritta richiamano e attualizzano le vecchie tracce in un processo che è complesso e articolato, legato com’è ai modi e ai tempi e alle situazioni in cui le tracce si formarono, al funzionamento della memoria a lungo o a breve termine, alla partecipazione del lettore al fatto lettura, ai “disturbi” che sorgono fra lui e il testo, ecc.

Le vecchie e le nuove tracce si combinano dando vita a nuove connessioni, in un sistema in cui trovano equilibrio dinamico tracce vecchie e nuove, pronte a ristrutturarsi e ricombinarsi sotto la spinta di nuove stimolazioni, di obiettivi da raggiungere, soprattutto all’uso, che il soggetto ha deciso di fare del materiale, che viene ad avere via via a disposizione.
Dando la possibilità ai bambini di leggere per comprendere in base a quanto proposto tramite i tre elementi suddetti, si rispetta combinatoria e quindi la creatività nella lettura.
Una creatività che aiuta nel modo più naturale la crescita conoscitiva che avviene per continue ristrutturazioni del già posseduto con il nuovo e non già per semplice aggiunta quantitativa.
Una creatività che, pur lasciando tutto lo spazio al singolo, lo immette subito al confronto con gli altri, alla ricerca del significato, che, essendo unità delle  due funzioni del linguaggio, quella intellettuale e quella comunicativa, non può non fare i conti con le esigenze della lingua, come sistema entro il quale il singolo si muove.

Un momento particolare: la classe prima

Un discorso sulla lettura deve coinvolgere la classe prima, il momento cioé in cui il bambino affronta in modo sistematico i segni della lingua scritta così come la scuola glieli propone. La classe prima non può essere saltata in un discorso sulla lettura, perché il modo, la strada che si percorre per appropriarsi dell’alfabeto non sono indifferenti all’uso della lettura.
Non ci sono, secondo noi, una fase strumentale di appropriazione del meccanismo del leggere e poi una fase di lettura, come scoperta dei contenuti, come comprensione del messaggio; l’una staccata e indipendente dall’altra.
Il modo in cui s’impara a leggere condiziona il leggere.
Conoscere le combinazioni alfabetiche, attraverso una serie di condizionamenti percettivi, in cui la memoria gioca il ruolo preponderante, può voler dire per molti bambini subire i segni della lingua scritta come qualcosa di estraneo, di abbastanza incomprensibile, di inutile. Qualcosa di cui si farà volentieri a meno appena cesserà l’imposizione, perché la fatica del leggere non viene ricompensata da una gratificazione equivalente. E l’unica gratificazione naturale alla lettura è la comprensione di ciò che si legge.

Tutto ciò sembra ovvio: tuttavia se si osserva e si controlla la lettura dei bambini a scuola, troppo spesso ci si trova davanti a capacità di giustapporre delle sillabe o delle parole, sonorizzando i segni della pagina scritta, senza che tale capacità porti, come dovrebbe portare, alla comprensione di ciò che si legge.
Troppo spesso il leggere è slegato dal capire: la capacità strumentale gira a vuoto su se stessa: si legge per leggere.
La lettura, e altre attività della scuola, non riescono a coinvolgere il bambino e perciò non sono capaci di rispondere alle sue domande culturali; tali attività sono spesso imposte, senza una conoscenza appropriata del bambino e del suo rapporto con esse. […]

Ci sembra che alcuni punti vadano tenuti presenti:

  • L’apprendimento della lingua scritta non è tanto o solo un problema di discriminazione percettiva, di strutturazione spazio-temporale, di abilità senso-motoria, ma è soprattutto un problema socio-linguistico, coinvolgente cioè l’area culturale del bambino a tutti i livelli;
  • bisogna che la motivazione al leggere nasca da leggi interne alla lettura; bisogna cioè che la fatica del deciframento sia ricompensata, fin dall’inizio, dalla scoperta del significato, non da premi e da castighi esterni, caduti i quali cade anche la lettura. La lettura deve essere fin dall’inizio avvertita e attenta: un gioco il cui risultato va sempre cercato, perché non sempre prevedibile;
  • non può essere dato per scontato che il bambino comprenda “naturalmente” il nesso esistente tra la lingua parlata e la sua rappresentazione scritta: tale nesso deve essere conquistato attraverso un cammino né facile né breve;
  • la lingua scritta è fatto simbolico molto astratto: perché il simbolo sia conquistato bisogna dare al bambino la possibilità di incorporarlo, di farlo proprio, come proiezione del suo vissuto e del vissuto della classe;
  • la lingua è sistema simbolico, in cui le parti e gli elementi sono tra loro collegati in modo tale che, manipolandone alcuni, si altera il prodotto totale del sistema, cioè il significato.
  • la conoscenza razionale, analitica, è conquista lenta, è gioco intellettuale dentro i segni della lingua, alla scoperta delle analogie percettive., visive, sonore, semantiche. E’ intuizione, prima, scoperta, poi, che la lingua è codice con sue leggi e sue costanti, le cui mutazioni non sono senza conseguenze sul piano dell’espressione e della comunicazione.
  • è una presentazione di testi e frasi come simbolizzazione dei vissuti, nel senso che i segni rimandano a dei significati vissuti e conosciuti, e che i significati si traducono in segni. Segni di cui si ha una conoscenza partecipata, affettiva. prima, razionale poi. Segni che si capiscono perché si conosce anche il contesto di cui fanno parte.

[…] prima è il maestro che scrive per il bambino, che traduce in segni l’esperienza o che legge dei segni per tutti; la partecipazione è data dal sentire, dal sapere che quelli sono i segni della classe, sono la proiezione delle cose fatte, viste, toccate insieme. Insieme o da soli dette, parlate, cantate, e poi ritrovate, come segni grafici, come cose scritte. Leggere vuol dire riconoscere un’esperienza vissuta in un insieme di simboli, vuol dire scoprire significati sconosciuti,, ma vuol dire anche prendere coscienza che ad es. l’ordine in cui gli elementi si presentano non è casuale e che la sua alterazione altera il significato, il messaggio.

Una lettura “avvertita” fin dall’inizio; lettura attenta al risultato, cioè al significato. Pronta a cogliere le mutazioni legate alla variazione dei segni dentro ad una struttura.
Una lettura avvertita fin dall’inizio condiziona l’attenzione del bambino al significato che può scaturire dai segni, un significato che bisogna sempre vagliare, perché i segni, manipolati nelle loro relazioni, possono dare risultati imprevedibili.
Forse così, a livello di gioco, si possono intuire le possibilità di porre o di trovare nel simbolico relazioni diverse dal reale; intuire anche le enormi possibilità che nel simbolico relazioni e operazioni acquistano. Abbiamo detto intuire, perché è chiaro che non vi possono essere in prima classe esigenze di analisi degli enunciati o dei periodi.

Un tale approccio alla comprensione dello scritto fa seguito alla fase di scrittura e lettura libera, per tentativi.
Si fondava, negli anni 70, su un approccio con il metodo globale, allora considerato l’alternativa a un metodo fonico-sillabico rigido e prescrittivo, che consegnava i bambini a una sorta di impossibilità di fuoriuscire dalla decifrazione [8]

Diversi elementi intervenuti successivamente hanno convinto gli insegnanti MCE a rivedere completamente l’approccio:

  • l’emergere di un’attenzione al rapporto lingua parlata- lingua scritta[9]
  • la proposta della lettura funzionale e silenziosa dell’Association française pour la lecture [10]
  • l’incontro (reincontro) con il metodo naturale di Freinet nella versione particolarmente pregnante proposta da Paul Le Bohec [11]
  • la conoscenza delle ricerche di E. Ferreiro e A. Teberosky sulla costruzione della lingua scritta [12]

[1] L’articolo si rifà ai contenuti del volume Gruppo nazionale lingua ‘Lettura come comprensione’ a cura di B. Malfermoni, B. Tortoli Giraldi,  Milano, Emme edizioni, 1978
[2] L. S. Vygotskij, ‘Pensiero e linguaggio’, Firenze, Giunti, 2007
[3] J. Piaget, ‘Il linguaggio e il pensiero del fanciullo’, Firenze, Editrice universitaria, 1955
[4] J. Bruner, ‘Studi sullo sviluppo cognitivo, Roma, Armando, 1968 , p. 60
[5] T. De Mauro, ‘Introduzione alla semantica’, Bari, Laterza, 1965
[6] L.S. Vygotskji, A. Lurija, A. Leontiev, ‘Psicologia e pedagogia’, Roma, Editori Riuniti, 1971
[7] L.S. Vygotskji, ‘Immaginazione e creatività nell’età infantile’, Roma, Editori Riuniti, 1972
[8] Mialaret G., ‘Apprendimento della lettura’, Roma, Armando, 1967
[9] L. Lentin, ‘Dal parlare al leggere’, Milano, Emme edizioni, 1979
[10] J. Foucambert, ‘Come si impara a leggere- la lingua scritta come codice autonomo rispetto alla lingua orale’, Milano, Emme edizioni, 1981
[11] P. Le Bohec, B. Campolmi, ‘Leggere e scrivere con il metodo naturale’, Bergamo, Junior, 2001
[12] E. Ferreiro, A, Teberosky, ‘La costruzione della lingua scritta nel bambino’, Firenze, Giunti Barbèra, 1985