Il calcolo vivente

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di Giancarlo Cavinato

Si parla oggi di somministrare ‘compiti di realtà’  (=simulazioni) per costruire competenze.
Tutto bene se non si tratta di artifici non emersi da reali interessi della classe.

Freinet, per superare un apprendimento meccanico – quello che Guido Petter definiva ‘l’aritmetica del  droghiere’ il ‘far di conto’, il meccanismo delle operazioni),  proponeva la tecnica del calcolo vivente.
Esperienze reali, che mettono in gioco le strutture logiche del pensiero.

La fecondità del calcolo vivente non sta solo nella sua vitalità, nel fatto che il fanciullo non sente il problema come materia estranea ma come qualcosa che gli nasce dentro, ma dal fatto che dal problema immediato nasce spesso (nasce specialmente quando gli stimoli del maestro lo mettano in evidenza) un problema più generale, più formale.[1]

Nessun settore di apprendimento può considerarsi a se stante, scisso dalla vita dinamica della comunità scolastica. La connessione del calcolo con le altre attività comunitarie è indispensabile in certe fasi; in momenti diversi, poi, le operazioni matematiche sembrano astrarsi completamente dagli oggetti e dai problemi viventi per esplicarsi nel campo dei simboli puri. Questo passaggio dal concreto all’astratto costituisce una inderogabile conquista intellettuale; ma no si deve mai perdere il contatto con  la prassi. Le conquiste astratte debbono in ogni istante potersi riapplicare ai problemi della vita concreta, in un continuo circolo in cui i simboli che son nati dalla  realtà servono a dominarla e a interpretarla meglio. Il calcolo, dunque, sorge dalle attività di compra e vendita, osservazione e misura, progettazione, ricerca, costruzione, che hanno luogo nella classe. Vi è quindi una motivazione dei fanciulli, che s’incontra con quella dell’educatore. Come si deve impostare e risolvere il problema vivente che via via si manifesta? Il maestro si deve guardar bene dall’impostare lui la soluzione, o dal tentare di provocare un ragionamento agendo lui stesso su certi materiali, manipolando e operando. Ammettiamo che la cooperativa di classe abbia acquistato 5 tubetti di colore, a 60 lire ciascuno. Vediamo quanto si è speso. Evidentemente, i ragazzi sono interessati a risolvere il problema: c’è una motivazione. […] Merito delle tecniche Freinet e del MCE è l’aver affermato la connessione del calcolo con le attività comunitarie, e necessità della motivazione. Ma questa non  è sufficiente. Il calcolo dev’essere vivente non solo perché sgorga dalla vita, ma anche perché il fanciullo vive la soluzione dei problemi, in un totale impegno dei sensi, dei muscoli e delle facoltà logiche. il simbolo stesso dev’essere scoperto dal fanciullo…[…] La conquista e l’esercitazione astratta dev’essere vista come un momento necessario e importantissimo  che sta tra una serie di esperienze viventi (da cui è scaturita) e ulteriori esperienze su cui rifluisce e da cui possono sorgere nuovi elementi di astrazione in un continuo circolo.[2]

Ogni tecnica un valore’, scrive Fiorenzo Alfieri[3]: per l’aggancio alla realtà, per il valore morale, per il valore della razionalità, per il valore socio-culturale. Ogni tecnica è essenziale per lo sviluppo dell’abito democratico. La matematica ha un ruolo fondamentale per la costruzione di valori.
Lo studio dell’aritmetica non era il triste momento dell’addestramento immotivato alle magie del calcolo, ma un’attività vitale come tutte le altre. [4]

Anche quando bisogna calcolare quanti posti ci saranno e quante persone ci staranno nelle auto dei genitori per andare di domenica in visita ai corrispondenti.
Oppure quando il direttore vuole regalare a tutti i bambini della scuola un sacchetto di caramelle per Natale.
Comprammo trenta chili di caramelle; si dovevano dividere in  500 sacchetti, tante quante in ognuno. Con che ardore si lavorò l’intera mattinata! Fu necessario organizzare e distribuire il lavoro…

Non può esserci esperienza e conquista di abilità e competenze, ci dicono questi maestri, senza un’organizzazione funzionale dell’ambiente di lavoro: sono necessari dei materiali e ogni cosa deve avere una collocazione chiara a tutti per poter operare.
Il pensiero matematico diventa modo di vita e confronto costante con gli altri alla ricerca delle soluzioni più funzionali.
Siamo ben lontani da una guida all’appropriazione di meccanismi rapidi e vuoti di significato o di una pratica e una manipolazione cieche senza una reale interiorizzazione di processi.

[1] Bruno Ciari, ‘Le nuove tecniche didattiche’, Ed. Riuniti, Roma, 1971, p. 198

[2] Bruno Ciari, ‘I modi dell’insegnare’, Ed. Riuniti, Roma, 1973 , pp. 220 sgg.

[3] Fiorenzo Alfieri, ‘il mestiere di maestro’, Emme edizioni, Milano, 1974, p. 59 sgg.

[4] Fiorenzo Alfieri, op. cit., pp. 28 sgg.