I programmi del ’45: 80 anni (o quasi) ma sono modernissimi!

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di Franca Da Re

Il 24 maggio 1945, con decreto n. 459 del Luogotenente del Regno, Umberto II di Savoia, furono emanati i primi Programmi per le scuole elementari e materne successivi all’era fascista e alla guerra. L’Italia non era ancora una Repubblica e non aveva una Costituzione democratica, tuttavia il Governo Provvisorio di allora, insediatosi dopo la liberazione di Roma, formato da tutte le componenti del CLN e presieduto da Bonomi, con Ministro dell’Istruzione il liberale Vincenzo Arangio Ruiz, emanò, insieme a molti altri importanti provvedimenti, i nuovi Programmi per la scuola elementare e materna[1].

Tali programmi erano stati redatti con la collaborazione del Comando Alleato e infatti la Commissione incaricata era diretta dal colonnello Carlton Washburne, eminente pedagogista allievo di John Dewey e ideatore dell’esperimento pedagogico condotto a partire dagli anni ’20 nelle scuole di Winnetka, un sobborgo di Chicago dove egli era Sovrintendente.

Nella Commissione lavorarono anche pedagogisti italiani, tra i quali Gino Ferretti. La Commissione Alleata aveva già operato nei territori del Sud liberati allo scopo di defascistizzare la scuola e le sue pratiche e i libri di testo.

L’impostazione generale dei Programmi è ispirata ai principi dell’attivismo pedagogico e attenta all’educazione civile, allo scopo di educare alla democrazia i giovani cittadini nel nuovo Stato. La Commissione aveva licenziato un testo dove l’educazione civile era preminente rispetto all’educazione religiosa che aveva peraltro una valenza pluriconfessionale, ma l’opposizione dei cattolici determinò un testo definitivo di compromesso dove l’educazione religiosa rientrava nell’alveo cattolico e dove anche gli indirizzi metodologici assunsero un carattere più moderato.

Ciò nonostante, il testo dei Programmi del 1945 ci restituisce passaggi di una impressionante attualità, con suggestioni che possono validamente orientare anche anche oggi le pratiche didattiche nelle nostre scuole.

In questo primo contributo esamineremo la Premessa e la parte dedicata all’Educazione morale e civile, ricavandone i suggerimenti utili per l’attualità.

In un contributo successivo riserveremo attenzione alle indicazioni metodologiche nei diversi insegnamenti e alle indicazioni per la redazione dei libri di testo, contenute in uno degli Allegati al Decreto luogotenenziale.

La Premessa e le finalità della scuola

“I programmi che seguono sono sorti dalla necessità, vivamente sentita, di mettere la scuola elementare italiana nelle condizioni più favorevoli perché possa contribuire alla rinascita della vita nazionale, assumendo la sua parte di responsabilità nell’educazione della fanciullezza. Condizione essenziale di tale rinascita è la formazione di una coscienza operante, che associ finalmente le forze della cultura a quelle del lavoro in modo che la cultura non si risolva in sterile apprendimento di nozioni e il lavoro non sia soltanto inconsapevole espressione di forza fisica. (…)
La scuola elementare, pertanto, non dovrà limitarsi a combattere solo l’analfabetismo strumentale, mentre assai più pernicioso è l’analfabetismo spirituale che si manifesta come immaturità civile, impreparazione alla vita politica, empirismo nel campo del lavoro, insensibilità verso i problemi sociali in genere. Essa ha il compito di combattere anche questa grave forma d’ignoranza, educando nel fanciullo, l’uomo e il cittadino.”

Dopo avere auspicato che nella scuola elementare si instaurino sentimenti di viva fraternità umana che superino “l’angusto limite dei nazionalismi” e si concretizzino in serena volontà “di lavorare e di servire il Paese con onestà di propositi”, la Premessa ricorda che tali finalità trovano riferimento in tutte le discipline insegnate, in particolare nella religione, nell’educazione morale, civile e fisica, nella storia e geografia. Il successivo passaggio è particolarmente interessante e attuale, poiché tratta l’unitarietà dell’insegnamento e la necessità di superare la partizione delle materie.

“È da rilevare che con l’educazione morale e civile si mira, più che a una precettistica di vecchia maniera, alla formazione del carattere, con un avveduto esercizio della libertà nella pratica dell’autogoverno. A tal fine è premessa indispensabile l’unità d’insegnamento. La stessa costituzione delle singole materie è sorta da questa esigenza unitaria e dalla critica all’indirizzo dispersivo delle precedenti partizioni, che favorivano un insegnamento frammentario e slegato. Così l’educazione morale e civile, ricostituita come disciplina vera e propria, attira nella sua orbita, non senza significato, la educazione fisica; il lavoro assume valore di attività  sociale; l’insegnamento della lingua italiana si ricostituisce in logica unità; la storia e la geografia si svolgono su di un piano di più concreti rapporti tra l’ambiente e l’uomo; le scienze richiamano nel loro preciso ambito i capitoli dispersi qua e là nelle nozioni varie, che erano l’espressione più patente della trita cultura elementare. Queste materie non debbono essere considerate distinte l’una dall’altra; esse costituiscono un tutto unitario e armonico che si fonde nella coscienza dell’alunno.”

Non solo in questo passaggio si richiama alla necessità di impartire un insegnamento che veda l’integrazione delle diverse discipline per l’analisi della realtà, ma si rammenta anche che ogni insegnamento contribuisce all’educazione morale e civile e tutti insieme contribuiscono alla formazione della persona e del cittadino. L’integrazione dei punti divista disciplinari nell’analisi della realtà fornisce evidentemente gli strumenti perché il giovane sviluppi la capacità di “esercizio della libertà nella pratica dell’autogoverno”.

Tali esortazioni sono tanto attuali quanto scarsamente praticate: la frammentazione disciplinare, solitamente appannaggio della scuola secondaria, sta rapidamente contagiando anche la scuola primaria; gli insegnamenti molto spesso riguardano i contenuti, le teorie, talvolta, non sempre, i metodi, ma non sempre viene evidenziato l’aspetto civico che ogni sapere contiene, ovvero la responsabilità che ciascuno di noi ha nell’utilizzare i saperi per il bene comune e non contro di esso. Autonomia e responsabilità nell’agire conoscenze, abilità, capacità personali e metodologiche sono ciò che caratterizza l’agire della persona competente. Per questo sono necessari spirito critico, capacità di gestire pensiero complesso e tensione etica. Aiutare gli alunni a sviluppare tali dimensioni è ciò che connota educativamente l’insegnamento, distinguendolo dall’addestramento.

La Premessa si occupa anche del profilo del maestro:
“Per l’attuazione di questo piano educativo, che mira soprattutto a preparare il fanciullo alla vita civile, non è quindi sufficiente all’insegnante la sola cultura umanistica, su cui si è fatto finora quasi esclusivo assegnamento per la sua preparazione professionale. Necessita all’educatore un alto senso di responsabilità sociale che l’induca, nella scuola e fuori, ad essere maestro di vita, esempio di probità in ogni sua manifestazione. Solo così egli potrà intendere l’invito, che gli viene da questi programmi, di considerare l’insegnamento come una missione di civiltà. Avrà pure bisogno -sia detto ben chiaro – di una tecnica educativa, cioè di un metodo didattico che dovrà sempre perfezionare, sia meditando sul proprio insegnamento e sui risultati ottenuti, sia partecipando con attivo interesse al movimento pedagogico italiano e straniero.”

L’educazione morale, civile e fisica

“È noto che i soli precetti, le conversazioni e le letture non bastano a formare la volontà morale, perché se possono indicare lavia migliore da seguire, restano pur sempre nel campo dell’astrazione. Ha somma importanza, invece, l’esercizio costante e illuminato della azione, guidata dall’esempio vivente del maestro.
La scuola, ordinata secondo il sistema razionale della libertà disciplinata, deve svegliare nei fanciulli il senso individuale della responsabilità e destare in essi il bisogno dell’ordine, del rispetto, dell’aiuto reciproco (…)”

Per lo sviluppo dell’educazione morale e civile è quindi necessario che gli alunni siano attivamente coinvolti nell’attività della scuola, che possano partecipare alla definizione delle attività da affrontare, nella formazione delle decisioni, anche attraverso forse di referendum e di votazione.

Gli alunni dovranno assumersi responsabilità nella gestione della classe e della scuola attraverso lavori di pulizia, di riordino, di piccola manutenzione, di gestione quotidiana e discuterne collettivamente regole e modalità. Il maestro avrà il compito di incoraggiare la discussione e di orientarla. Così l’alunno potrà affinare il senso del giusto e dell’ingiusto e svilupperà senso etico e si renderà “sensibile al valore delle proprie azioni, viste nel quadro degli interessi generali del suo gruppo”. L’alunno sarà guidato ad osservare le forme di vita associata nella sua comunità e così, accanto al costante esercizio dell’autogoverno e della concertazione all’interno della scuola, egli, nel tempo, desumerà “la necessità delle leggi e delle istituzioni che nello Stato tutelano la libertà di ciascuno e di tutti, rendendo così possibile la civile convivenza”.

All’educazione morale e civile contribuisce direttamente l’educazione fisica, attraverso la disciplina del corpo e dei suoi movimenti e l’esercizio delle regole nei giochi di squadra. Nei giochi gli allievi svilupperanno comportamenti di salvaguardia della salute e impareranno i valori della lealtà, del rispetto reciproco, della solidarietà, sperimentando, nel contempo, i propri limiti ed esercitando costantemente la responsabilità. L’educazione civica contribuirà a costruire la socialità e il cameratismo. Il maestro cercherà di attenuare l’esasperato spirito agonistico che potrebbe minacciare gli equilibri del gruppo e scoraggerà in tutti i modi “ogni forma di quel caporalismo che tanto ha mortificato lo spirito della giovinezza nel recente passato”.

In conclusione, nei programmi del 1945 troviamo richiami diretti alla formazione di cittadini tesi al bene comune, alla solidarietà, alla convivenza democratica.

L’unitarietà dell’insegnamento, con il superamento delle partizioni disciplinari è vista come misura imprescindibile per perseguire gli obiettivi dello sviluppo della coscienza morale, civile, etica e dello spirito critico. Tutti gli insegnamenti devono concorrere a queste finalità educando gli alunni alla responsabilità nel proprio agire.

La vita scolastica dovrebbe essere regolata attraverso l’autogoverno, la diretta partecipazione degli allievi, i quali si assumeranno responsabilità nella gestione delle attività quotidiane e nelle scelte di lavoro. Dovrebbero essere costantemente incoraggiate la discussione e l’assunzione di decisioni attraverso meccanismi condivisi e democratici.

Crediamo che le indicazioni dei programmi del 1945 siano ampiamente condivisibili tutt’oggi e siano coerenti con le Indicazioni Nazionali e le Linee Guida. Con animo sereno dovremmo però anche chiederci in quale misura nelle nostre scuole, all’alba del 2024, tali costumi didattici e relazionali siano diffusi, praticati e incoraggiati.

[1] Programmi della scuola elementare, 1945, in: https://www.gazzettaufficiale.it/atto/vediMenuHTML?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1945-08-21&atto.codiceRedazionale=045U0459&tipoSerie=serie_generale&tipoVigenza=originario