Quattro passi per una pedagogia dell’emancipazione

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a cura di Giancarlo Cavinato

Il MCE propone 4 passi per una pedagogia dell’emancipazione. Si tratta di organizzare un impianto sistemico costituito da moduli variamente componibili e adattabili alle esigenze dei singoli contesti. Sono proposte concrete, realizzabili in ogni scuola, in grado di attribuire valore aggiunto all’azione professionale e collegiale, e di rappresentare gli elementi da cui partire per realizzare percorsi di partecipazione e condivisione e dispositivi organizzativi in grado di qualificare i contesti e di aumentare i livelli formativi..
I 4 passi si propongono come ponti fra l’organizzazione e le relazioni e gli strumenti concettuali di ricerca. Ciascuno dei passi si realizza attraverso la  forza e le potenzialità delle esperienze che prevede: discutere e decidere insieme, appartenere a diversi gruppi nella propria e con altre classi con impegni e sviluppi diversi, fare ricerca, possibilità di maneggiare e consultare una pluralità di testi e di fonti, collegarsi con classi di altre parti del paese e del mondo e la sensazione di condividere speranze e obiettivi,  veder nascere e contribuire a un prodotto come il giornale il libro il video…

Primo passo: gli strumenti di democrazia.

In una delle invarianti pedagogiche Freinet[1] afferma che un regime scolastico autoritario non può formare cittadini democratici. «La democrazia é impegno partecipativo nella costruzione dei valori che regolano la convivenza umana. In tale impegno, l’educazione svolge il ruolo fondamentale dello sviluppo dell’intelligenza, della comprensione, dell’esperienza, dell’apprendimento, della collaborazione e della difesa dell’uguaglianza.»[2]
La democrazia si esercita mediante regole, procedure, strumenti e pratiche attraverso cui si costruiscono e si determinano scelte possibili e condivise. Le idee, le opinioni, i giudizi sulla realtà non sono preesistenti alla loro scoperta da parte dei soggetti, ma si formano attraverso una pratica e un’esperienza di relazionalità e socialità. L’istituzione ad hoc è l’assemblea di classe come iniziazione alla vita democratica, alla solidarietà. Un’assemblea con le sue routine e le sue suddivisioni di compiti. Chi presiede, chi verbalizza, chi dà i tempi degli interventi. Durante la settimana su cartelloni i bambini trascrivono le loro osservazioni, proposte, critiche, suggerimenti da analizzare nell’assemblea. Ogni aspetto della vita scolastica acquista così senso e giustificazione. La finalità gradualmente condivisa è l’uguaglianza di diritti e il successo formativo di tutti. Le forme di partecipazione risultano tanto più efficaci quanto più ai ragazzi viene data parola e possibilità di progettare estendendo il raggio della loro progettualità alla città attraverso l’organizzazione di consulte e consigli.[3]

Secondo passo: gli strumenti per la ricerca

Si tratta di garantire un accesso ai saperi, favorendo la costruzione del pensiero. Ma come reperire informazioni che non siano fornite già confezionate così che ci si formi su una sola versione e non sia prevista una costruzione personale della conoscenza? [4]

Viviamo in un mondo connesso globalmente alla rete, per cui il problema non è più l’acquisizione delle informazioni di base (reperibili attraverso un qualsiasi motore di ricerca), ma la loro messa in relazione, la selezione, l’organizzazione in un quadro composito, la comprensione profonda. Tutte operazioni per attivare le quali i libri di testo non sono di alcuna utilità, sostituendo il già predisposto all’attività dei soggetti, fornendo risposte e soluzioni che non vanno al di là della superficie. La scuola deve diventare il luogo della rielaborazione, del riordino, del confronto delle interpretazioni, delle ipotesi. Per questo il libro di testo è strumento obsoleto: i libri delle discipline propongono serie di informazioni schematiche e non verificabili, che si traducono in una visione tassonomica dei contenuti storici, geografici, scientifici; le antologie di lettura costituiscono raccolte di brani, estrapolati dal contesto letterario a cui appartengono, scelti dagli autori e dagli editori in base a criteri standard. Con gli stessi fondi a disposizione per i testi, ogni classe e, ancor più, ogni scuola può acquistare narrativa, libri di divulgazione, approfondimenti tematici, documentazioni, materiale multimediale, strumenti per la riproduzione e la stampa, disponendo così di una biblioteca ricca di una pluralità di fonti. Leggere versioni diverse di storie, descrizioni di eventi, cogliere punti di vista diversi, confrontare diverse interpretazioni, scoprire i nessi fra eventi sono tutte operazioni che le biblioteche di lavoro disponibili grazie all’adozione alternativa sono favorite.[5]

Terzo passo: lavoro a classi aperte

La proposta prevede un’articolazione degli spazi e dei tempi della scuola sul modello delle classi aperte. «Un fondamentale elemento qualificante del tempo pieno può essere considerato il superamento della struttura-classe e, di conseguenza, del lavoro strettamente individuale dell’insegnante.»[6]
Il che richiede l’organizzazione di spazi in cui trovare stimoli adeguati, agire, attribuire significati, progettare, coordinare le proprie azioni con quelle degli altri. Non si può realizzare tali percorsi all’interno di gruppi chiusi, sempre con gli stessi componenti, in cui si condividono sempre le stesse attività. Si tratta di mettere in atto procedure che consentano che una scuola, una classe, si organizzino attorno a temi comuni suddividendosi diversi aspetti. Quindi una scuola che non sia una sommatoria di classi non comunicanti.
L’organizzazione di gruppi mobili, eterogenei, con consegne di lavoro diversificate, può creare una dinamica, delle aspettative, la motivazione ad integrare le proprie ricerche con quelle di altri gruppi. La partecipazione a gruppi e classi di età diverse rende possibile agire sulla zona prossimale di sviluppo dei singoli attraverso la guida dell’adulto, la collaborazione tra pari, l’interazione sociale.[7]
Compete alla regia educativa degli insegnanti comporre le diverse realizzazioni dei gruppi, favorire le comunicazioni e gli scambi, proporre ulteriori sviluppi, conferire unitarietà alle attività. Il gruppo attraverso attività di laboratorio funziona da mente collettiva, conferendo significato alle singole parti, correlandole e collegandole. Le pratiche di ricerca che gli alunni affrontano costituiscono una parte dell’oggetto su cui operano, e ciò conferisce un valore relativo alle conoscenze che vengono acquisite, nella consapevolezza che esse saranno integrate dagli apporti di altri gruppi. La proposta prevede di individuare, alunni e insegnanti, delle unità tematiche trasversali che affrontino dal punto di vista di diversi approcci disciplinari aspetti della realtà su cui fare ricerca.
Non, quindi, un repertorio o un catalogo di obiettivi, ma una progettazione in itinere e a ritroso[8] fatta di esperienze basate su interessi e motivazioni e di possibili direzioni di sviluppo. Un tema, un aspetto della realtà, può essere affrontato secondo diverse angolature e con diversi materiali e strumenti a disposizione: leggendone gli aspetti letterari, artistici, musicali, matematici, scientifici, tecnologici, attraverso il coinvolgimento di tutti i sensi, delle emozioni, del corpo, e conseguentemente produrre diversi tipi di elaborazione da comunicare ad altri: testi, copioni, filmati, e-book, scenari, canti, danze, esperimenti e strumenti per la rilevazione di dati, ….
La classe stessa è in primis un laboratorio; non scompare, ma dev’essere il punto di partenza e di arrivo, di sintesi della progettualità. Ciascun gruppo di classi coinvolte si proporrà di realizzare attività di interclasse e di laboratorio nell’arco di un periodo, procedendo poi a scambiare i gruppi fra di loro. Con attività espressivo-creative, manuali, corporee, scientifiche, storiche, interculturali.
Realizzare le attività per classi aperte presuppone la compresenza di più insegnanti. Che possono così lavorare con numeri ridotti di bambini. i bambini possono così fruire nel corso dell’anno di una varietà di attività e fare esperienze significative. I gruppi di ragazzi e i periodi di rotazione sono stabiliti per far sì che ciascun alunno fruisca di tutte le attività proposte.

Quarto passo: la valutazione formativa

«Ogni ragazzo è in gara con sé stesso per migliorarsi. Il merito non è di chi dà un maggiore rendimento, ma di chi riesce a superarsi e far progressi anche se il suo livello è inferiore a quello di altri.[…]Il fenomeno della selezione non potrà scomparire finché nella scuola non cambieranno certi atteggiamenti e non si capirà che il responsabile del mancato apprendimento, del disadattamento scolastico che porta alla ripetenza e poi all’abbandono, non è il soggetto in difficoltà e nemmeno l’ambiente di provenienza anche se è ‘svantaggiato’, ma è la scuola ad essere ‘disadattata’ in quanto induttrice di disadattamento.»[9]
La valutazione è uno degli aspetti del fare scuola che preoccupa maggiormente perché è lo spazio dove più si consolida la dialettica tra normalizzazione ed emancipazione dei soggetti. E’ un operazione complessa perché deve essere in grado di cogliere e interpretare una realtà in cui si mescolano molteplici aspetti che coinvolgono sia l’alunno che l’insegnante: conoscenze, abilità, motivazione, relazione, effetti alone, aspettative reciproche, ritmi e stili di apprendimento. Il passo sulla valutazione illumina e rinforza i precedenti passi in quanto una didattica trasmissiva non consente una valutazione autentica che richiede tempi lunghi e strumenti narrativi, descrittivi, interpretativi: lettere personalizzate, diari di bordo, monografie, studi di situazioni, aspetti che si adattano alle attività che si fondano su discussioni, partecipazione a progetti, laboratori, in cui accanto ai processi individuali rivestono pari importanza i processi di gruppo.
Mentre la didattica trasmissiva lavora su tempi brevi, risposte automatiche, abituando a un pensiero riflettente. Non richiede la messa alla prova attraverso particolari tecniche e il confronto interattivo, ma una comunicazione unidirezionale e la ripetizione. La grande assente è la relazione significativa che l’insegnante intrattiene attraverso il dialogo pedagogico. Maturana osserva che ogni insegnante che valuta la prestazione degli alunni sta valutando se stesso che valuta la prestazione. Con il suo giudizio non giudica lo studente, ma la relazione che lui intrattiene con lo studente.[10]
Ogni docente dovrebbe potere, alla luce della propria biografia professionale, riconoscere le proprie cornici culturali ed ermeneutiche che ne condizionano la pratica valutativa. Va sostenuta una valutazione intersoggettiva e collegiale come esercizio concreto di responsabilità, come funzione di autoregolazione dei percorsi e dei processi nella scuola dell’autonomia.
Sono necessarie pratiche di autoanalisi e autovalutazione degli alunni e di autointerrogazione degli insegnanti e la sperimentazione di strumenti di osservazione, ascolto dei soggetti, narrazione e problematizzazione. Come per ogni altro aspetto della vita della scuola, anche la valutazione può costituire oggetto di dibattito, esplicitazione dei propri riferimenti, presa di decisioni. Se questo aspetto non viene affrontato, rimane confinato nel potere discrezionale dei docenti e come tale inappellabile e indiscutibile. Il compito di una pedagogia del successo è esplorare con gli alunni le condizioni facilitanti e ostacolanti e i possibili miglioramenti. Agevolare la presa di coscienza delle diverse conseguenze di un lavoro individuale e di un lavoro di aiuto reciproco fra pari. Nel frattempo la scuola non rimane ferma.
La scuola italiana è sottoposta a un altalenarsi di procedure modalità modelli. Si è passati dai voti ai giudizi (una riforma incompleta che ha lasciato fuori la secondaria), per tornare ai voti e con l’ordinanza  172 del 2020 si istituisce una valutazione per livelli soltanto per la scuola primaria. Oggi il ministero del merito punta a tornare alla situazione preesistente, cioè la ‘riforma’ Gelmini del 2010.
A fronte di tale prospettiva sarà necessario ricorrere alle strategie che i Ciari, i Lodi. i Manzi nel tempo hanno utilizzato per una scuola al servizio di tutti, non selettiva, discriminatoria, gerarchizzante. Non va abbandonata la dimensione formativa ed ecologica della valutazione. L’eliminazione del voto numerico, pur tra molte difficoltà dovute a carente formazione e a procedure macchinose quali il registro elettronico,  ha avviato comunque un processo di cambiamento di prospettiva nella cultura e nelle pratiche valutative della scuola mettendo l’accento sull’esigenza di riscontri descrittivi dell’apprendimento in itinere, di differenti forme di comunicazione della valutazione e di maggiore coerenza e retroazione tra progettazione didattica e valutazione: in generale, un intero ripensamento della didattica e della relazione docente-studente.
La valutazione formativa non si limita a registrare esiti ma accompagna i processi. Assume che la responsabilità dell’eventuale mancato apprendimento non é dovuta soltanto a carenze dell’ allievo ma individua fra le cause il tipo di insegnamento del docente, che viene sollecitato  ad innovare le sue competenze psicopedagogiche e didattico-metodologiche e relazionali. Ad operare mantenendo strettamente connesse progettazione e valutazione.

[1] C. Freinet, Les invariants pédagogiques, in Oeuvres pédagpogiqques, Paris, Seuil, 1994, vol 2 pp. 383-413, trad. Ital. A. Goussot
[2] J. Dewey, Democrazia e educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1951
[3] M. Marchi, P. Sartori (a cura di), Dall’io al noi. Città e scuola per un’educazione alla responsabilità, Trieste, Asterios, 2023
[4] C. Pontecorvo, A, M. Ajello, C. Zucchermaglio, Discutendo si impara, Roma, Carocci, 2007
[5] M. Rosaria Di Santo, Mario Lodi e la “biblioteca di lavoro” una proposta didattica alternativa ancora attuale, Parma, ed. Junior, 2022
[6] Gruppo torinese MCE, Per una nuova professionalità docente, Milano, Emme, 1978
[7] L.S. Vygotskij. Il processo cognitivo, Torino, Boringhieri, 1980
[8] G.. Wiggins, j. Mc Tighe, Fare progettazione. La “teoria” di un percorso per la comprensione significativa, Roma, LAS, 2004
[9] B. Ciari, La grande disadattata, Bergamo, Junior, 2006
[10] H. R. Maturana, F.S. Varela, Autopoiesi e cognizione, Venezia, Marsilio, 2001; C, Hadji, Una valutazione dal volto umano oltre i limiti della società della performance, Brescia, Scholé, 2003