Per una nuova valutazione mite nella scuola primaria

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di Iosa Raffaele

Proposte per una “variante M”

Sto studiando attentamente tutta la normativa sulla “nuova valutazione” nella scuola primaria, nata per merito delle leggi 6.6.2020  n. 41,  e 13.10.2020 n. 126.

Accompagnano le leggi un’Ordinanza ministeriale e le “Linee guida” corrispondenti per l’applicazione a scuola.

Materia ricca e complessa, che merita scavare bene per comprendere la connessione tra le sue ispirazioni pedagogiche e i fatti attuativi richiesti nei nuovi documenti di valutazione proposti.
Sono naturalmente molto lieto del fatto che almeno nella scuola primaria si sia superata, per la seconda volta della storia contemporanea,  la logica di valutazione sommativa con voti numerici.

Ma proprio per questo, per evitare che la nuova valutazione scada in una finzione formale e non in un processo di qualità, mi permetto di approfondire alcune questioni che per me sono cruciali per garantire una qualità formativa della valutazione come processo di sviluppo vero e non sanzionatorio.

E, soprattutto, proporrò qui l’aggiunta, per la nuova scheda di valutazione,  di un nuovo “spazio testuale” per me essenziale. Aggiunto, non alternativo, per rendere più efficace  la novità valutativa.

  1. La centralità di una valutazione formativa mite

E’ sorprendente leggere i numerosi passaggi normativi che indicano nella formatività la base pedagogica essenziale della nuova valutazione. Mai prima la formatività della valutazione è stata così ampiamente descritta ed enfatizzata. Per questo mio lavoro,  registro qui le più significative frasi contenute nelle Linee Guida, che rispettano con precisione i mandati legislativi.

“La valutazione ha una funzione formativa fondamentale. E’ parte integrante della professionalità docente, si configura come strumento insostituibile di costruzione delle strategie didattiche e del processo di insegnamento e apprendimento, è strumento  essenziale…….per sostenere e potenziare la motivazione al continuo miglioramento a garanzia del successo formativo e scolastico”

“L’ottica è quella della valutazione per l’apprendimento, che ha carattere formativo poichè le informazioni ….sono utilizzate anche per adattare l’insegnamento ai bisogni educativi degli alunni e ai loro stili di apprendimento, modificando le attività in funzione di ciò che è stato osservato

“La prospettiva della valutazione per l’apprendimento è presente nel testo delle Indicazioni Nazionali, ove si afferma che la valutazione come processo regolativo non giunge alla fine di un percorso, ma “precede, accompagna, segue” ogni processo curricolare e deve consentire di valorizzare i progressi negli apprendimenti degli allievi”.

“Per gli obiettivi non ancora raggiunti o in via di prima acquisizione la normativa prevede che “l’istituzione scolastica, nell’ambito dell’autonomia didattica e organizzativa, attiva specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento (art. 2 comma 2 D.L. 66/2017). E’ dunque importante che i docenti strutturino percorsi educativo-didattici tesi al raggiungimento degli obiettivi, coordinandosi con le famiglie nell’individuazione di eventuali problematiche legate all’apprendimento, mettendo in atto strategie di individualizzazione e personalizzazione

Ce n’è quanto basta per affermare che con la valutazione formativa così esaltata:

  • è in gioco non la valutazione sommativa delle azioni di un bambino che apprende, magari facendo le medie tra le varie performance,  ma l’apprezzamento della processo di apprendimento in corso
  • è in gioco parallelamente l’azione didattica che ha messo in campo l’insegnante, per comprenderne l‘efficacia o meno rispetto alle sue attese, e trarne dunque le conseguenze con modifiche, adattamenti, miglioramenti necessari per garantire il miglior apprendimento possibile.

Non è eretico, ma saggio, affermare quindi che la valutazione formativa  significa riconoscere che:

  • il bambino impara secondo come l’insegnante insegna da cui, viceversa e di conseguenza
  • l’insegnante insegna secondo come il bambino impara

Pare quindi che si tratti di una valutazione mite, intendendo con questo aggettivo un approccio non sanzionatorio né classificatorio in scale su ogni bambino/a, ma una seria, serena e non ansiogena riflessione in azione sul fare della scuola in tutti i suoi soggetti (chi insegna e chi impara),  che approfondisca i punti di successo e quelli di difficoltà come chiave proiettiva per costruire miglioramenti e adeguamenti del processo di apprendimento/insegnamento. Insomma,  ci importa in primis il successo formativo massimo possibile per ogni singolo bambino e bambina. Non è  un caso che si accentui il valore dell’autovalutazione come strumento di crescita di motivazione al miglioramento sia nell’alunno che nell’insegnante.

Naturalmente la valutazione formativa ha senso se si fa ogni giorno in ogni attività in corso, ed è evidente che quella “formale” intermedia e finale sono il risultato di un processo riflessivo costante. Citando l’approccio di Shon nel suo  celebre “professionista riflessivo”,  la valutazione formativa quotidiana è una reflection in act, la capacità mite e attiva del docente di accorgersi man mano in ogni attività degli intoppi, dei successi, delle deviazioni, delle difficoltà emerse riaspetto alle sue attese , cui da subito porre alcuni interventi migliorativi. La  valutazione intermedia e finale prevista dalla nuova normativa diventa quindi una reflection on act, quando cioè dopo un certo periodo si riflette sull’insieme dei percorsi e si colgono in modo più sistematico i punti di forza e i punti di difficoltà emersi nel farsi della scuola. Si può anche dire che la seconda reflection senza la prima rischia di diventare un surrogato ambiguo della vecchia pagella. Ma si può anche dire che la prima reflection è utilissima per evitare di valutare troppo tardi un alunno, quando   si sono persi per strada i percorsi che hanno portato al successo o alle difficoltà. Dunque ecco perché il valore mite dell’autovalutazione, sia per l’insegnante che per l’alunno (e la sua famiglia).

Quindi  le cosiddette “schede di valutazione” previste dalla nuova norma  diventano non un documento banalmente “certificatorio”, ma uno strumento riflessivo collettivo di carattere operativo, ed insieme partecipato, che ha una funzione primaria: il miglioramento del processo didattico-educativo.

Sono affermazioni di una sana pedagogia.

  1. La “variante M”

E’ quindi giunto il momento di presentare la “variante M” che mi sento di proporre come parte essenziale del nuovo strumento di valutazione. La chiamo “variante” perché termine di moda sul  virus con varianti disastrose, pensando invece che questa sanifichi il rischio che l’attuale proposta di schede, nonostante le buone intenzioni,   imiti le precedenti  pagelle con scale  e voti camuffati.

Ricordo che la norma prevede piena flessibilità metodologica nella struttura della scheda (finalmente citato l’art. 4 del DPR 275/99 regolamento autonomia), pertanto ogni scuola avrà una propria scheda valutativa. La norma prevede come “parti necessarie” delle nuove autonome schede la presenza di tre elementi:

  1. La definizione dei “livelli” raggiunti da ogni alunno, suddivisi nelle 4 categorie da “in via di prima acquisizione” ad “avanzato” per ognuno degli obiettivi  di apprendimento individuati dalla scuola
  2. Gli obiettivi desunti dal curricolo PTOF di scuola e di classe, precisati in forma puntuale (es. non “Lingua italiana” ma “produrre testi scritti di diverso tipo”) definiti per ogni disciplina.
  3. Infine, per ogni alunno va redatto un “giudizio descrittivo”, in forma dunque discorsiva, di cui è in discussione se un solo giudizio complessivo o disciplina per disciplina.

Di questi elementi  nel prossimo capoverso 3,   suggerirò alcune proposte di merito.

Ma a questo punto mi sono accorto che mancava qualcosa, cioè che è necessaria una “variante”  perché nelle due bozze di  scheda presenti nelle Linee guida (e nei testi) non è mai presente uno spazio ad hoc di scrittura  per me  invece decisivo:  la presentazione di quelle che ho chiamato “Azioni didattiche di miglioramento” (ecco perché M) che descrivano quello che le Indicazioni definiscono sulla valutazione formativa che  “precede, accompagna, segue” ogni processo curricolare e consente di valorizzare i progressi negli apprendimenti, e le Linee guida chiamano “individuazione di eventuali problematiche legate all’apprendimento, mettendo in atto strategie di individualizzazione e personalizzazione”.

La presenza di questa variante M esalta la pratica formativa e mette nero su bianco  una valutazione che si impegna non a promuovere o bocciare ma a migliorare tutti e due, insegnante e alunno.
Sarebbe anche, per le famiglie, una migliore comprensione del vero processo didattico in gioco. E di partecipazione consapevole, di cui c’è molto bisogno.

Di questa variante M si potrebbe inserire uno spazio di scrittura sotto ogni disciplina, oppure un unico contenitore che metta insieme le diverse attività didattiche di miglioramento che si intendono realizzare. Preferisco, naturalmente, la seconda ipotesi (si capirebbe meglio il carico di impegno complessivo).
Ma ogni scuola veda come preferisce lavorare.

Ma perché inserire la variante M nella scheda e non scriverla in un testo a parte? La ragione è evidente: perché così si darebbe in modo operativo l’idea che la valutazione è davvero formativa, sia come processo mentale dell’insegnante che come azione pratica per i suoi effetti nell’ insegnamento/apprendimento.

Quattro precisazioni su questa variante M

  1. Ricordo che l’art. 4 del DPR 275/99 sull’autonomia scolastica prevede che “le istituzioni scolastiche individuano le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale”. Poiché il modello di scheda è a libertà delle singole scuole, nulla vieta che sia presente questa  variante nell’ambito dell’autonomia. Per me è invece una scelta mite di valore civico e deontologico
  2. Questa variante renderebbe possibile descrivere le azioni concrete che l’insegnante intende mettere in campo per il miglioramento, da  compilare (ovviamente) quando si rilevino delle difficoltà. Così  il documento di valutazione diventa un atto operativo e non  banalmente certificativo. Nell’intermedio  indicano le difficoltà presenti e le strategie di miglioramento, a fine anno segnano da dove  ripartire per l’anno successivo. Dunque anche un atto per la continuità didattica da un anno all’altro.
  3. Darebbe ai genitori un’immagine valutativa motivata e partecipata. Non solo crocette sui vari livelli e buone parole sul giudizio descrittivo, ma anche l’impegno formativo che la scuola mette in campo, raccogliendo anche dai genitori  il loro altrettanto dovuto impegno.
  4. I contenuti della variante M. Nello spazio qui aggiunto e  presentato andrebbero  descritte le azioni (non le intenzioni generiche) di natura didattica che l’insegnante intende  realizzare per adeguare la sua progettazione, migliorare  l’apprendimento, percorrere vie di apprendimento nuove e diverse. Va evitato di far passare la variante M come ripasso o ripetizione, ma come individualizzazione   attiva anche con strumenti, tempi e modi diversi dal mainstream della didattica.

E’ dunque una valutazione d’impegno dell’insegnante.

Condivido pienamente i suggerimenti delle Linee guida di scrivere azioni attraverso verbi fattuali e contenuti concreti e non generiche formulazioni del solito pedagogese.
In questo modo il documento di valutazione diverrebbe strumento partecipato, come già si proponeva la Legge 517/77 che per la scheda di valutazione all’art. 4 così diceva, anticipando quindi il senso di questa mia variante (insomma, non ho inventato nulla, se non ripreso una buona pratica).

Legge 517/1977       Art. 4

L’insegnante  o gli insegnanti di classe sono tenuti a compilare ed a tenere aggiornata una scheda personale dell’alunno contenente le notizie sul medesimo e sulla sua partecipazione alla vita della scuola nonché le osservazioni sistematiche sul suo processo di apprendimento e sui livelli di maturazione raggiunti.

Dagli elementi registrati sulla scheda viene desunta trimestralmente dall’insegnante o dagli insegnanti della classe una valutazione adeguatamente informativa sul livello globale di maturazione, il cui contenuto viene illustrato ai genitori dell’alunno o a chi ne fa le veci dall’insegnante o dagli insegnanti, unitamente alle iniziative eventualmente programmate in favore dell’alunno ai sensi dell’art. 2 della presente Legge.

  • Altre questioni operative legate alla valutazione formativa

C’è ampia e non semplice discussione sulle questioni obiettivi didattici /livelli di apprendimento /giudizi descrittivi. Le Questioni di metodo e di merito  che qui intendo precisare sono cornice  attorno  al “cuore” della mia proposta di variante M. Lo scopo è anche di riflettere su una questione di fondo: trovare l’essenzialità della valutazione evitando alcuni eccessi di iper-scrittura che temo possano avvenire, non per una qualsiasi difesa corporativa della fatica del lavoro docente, ma anzi per favorire la necessità pedagogica e metodologica di puntare all’essenziale, perché l’eccesso invece rischia di produrre confusione e opacità. Quindi suggerisco di scrivere il giusto, evitando il “crampo dello scrivano” per troppe ridondanti formulazioni o per forme di esibizioni di “quante cose fa la scuola”, come se il tanto fosse sinonimo di bene.

  • Sugli “ obiettivi-oggetti” da valutare.

Vi sono discussioni su quali e quanti obiettivi  di apprendimento registrare per ogni disciplina,  che dovrebbero (dovrebbero) corrispondere al PTOF e alla programmazione di ogni singola classe. Vi sono varie ipotesi in campo che tra un po’ vedremo.

Condivido comunque che il repertorio degli obiettivi o altre soluzioni  debbano sempre essere oggetti fattuali (interessante suggerire  verbi e contenuti) non petizioni pedagogiche astratte. Dunque:

  1. Alcuni registrano l’intero repertorio degli obiettivi della disciplina descritto nelle Indicazioni, o i traguardi di competenze, Ricordo che gli obiettivi di ogni disciplina hanno due repertori: uno fino alla 3.a, l’altro alla 5a, mentre i traguardi di competenze sono unici per tutta la primaria  Una marea quindi di items.
    Ho visto bozze di schede di scuole che compongono lo spazio degli obiettivi semplicemente con un taglia e incolla di tutti i repertori di obiettivi disciplinari o di traguardi di competenze. Assurdo: così la scheda diventa un malloppo ridondante e le crocette da mettere su uno dei quattro livelli  comporrebbero una sommatoria illeggibile  di croci tali da sembrare una specie di cimitero valutativo  con effetto confusione. Sento anche un retro-pensiero che così si “obbligherebbero” (bonariamente, si intende) gli insegnanti  a conoscere meglio le Indicazioni Nazionali. Sadica opzione, cui spesso rispondono meglio le tante riviste scolastiche e le Guide didattiche chiavi in mano. Ma no, via: si dia fiducia e rispetto alle nostre maestre: la proposta è la selezioni giusta e misurata di obiettivi o traguardi, quelli che servono e rispondono meglio a ciò che si fa effettivamente in classe. Per me: pochi obiettivi/traguardi chiari, quelli più significativi. Non per lavorare meno ed avere meno crampi dello scrivano, ma per ergonomia mentale e interpretativa.
  2. Si potrebbero dunque registrare solo una parte degli obiettivi o traguardi contenuti nella programmazione,  i principali o quelli legati al periodo (es. primo quadrimestre).  Il rischio comunque  è che la lista degli obiettivi  diventi un elenco separato di micro-obiettivi, rischiando di perdere di vista l’insieme del bambino. Che non impara per obiettivi separati, ma per connessioni e spesso con attività trasversali.
    La lettura e la scrittura ne è un esempio, si usa in ogni disciplina o quasi.
  3. Alcuni suggeriscono di registrare come obiettivi  i  nuclei fondanti delle diverse discipline, che non sono mai molti, e dare anche alla valutazione una maggiore percezione di processualità oltre al singolo anno di frequenza. E’ un’opzione che a me affascina, perché nei nuclei c’è un’idea  delle conoscenze epistemologicamente eredi  di Edgard Morin (che poi è il maitre à penser delle Indicazioni del 2012).
    In ogni caso, questa fase sperimentale e di transizione rende possibile individuare diverse forme di aggregazione degli obiettivi, provare diverse strade, laicamente,  senza fretta di esibizionismo.
    E ricordarci che non tutto nella scuola primaria viene (grazie a Dio) separato per discipline, ma spesso aggregato e intrecciato in forme interdisciplinari attive interessanti.
  • Per gli alunni con disabilità

Sento molte discussioni su come dovrebbe essere la valutazione formativa per gli alunni con disabilità. Si sostiene, ad esempio, che inserire un repertorio di obiettivi diversi da tutti gli altri compagni sarebbe discriminante, anche se questi per la verità provengono dal PEI, che per un alunno con disabilità è strumento principe sia della programmazione che della valutazione.

Sono dell’opinione che forse il modello di obiettivi per nuclei fondanti (e anche quello per traguardi di competenze) sia il più adeguato perchè offre a tutti  più facilmente orizzonti comuni, allargano nel lungo periodo i percorsi didattici che, nel caso della disabilità, avrebbero nel documento di valutazione una voce comune ma poi nel PEI una sua più precisa articolazione.

In ogni caso la variante M  sarebbe per gli alunni con disabilità importante, perché farebbe emergere nello strumento comune di valutazione le azioni di miglioramento necessarie senza nasconderle in sedi separate.

3.3. Sui livelli e sui giudizi descrittivi

La relazione  tra i vari obiettivi da valutare a livelli e il “giudizio descrittivo” deve essere simmetrico obiettivo per obiettivo o potrebbe essere sintetico per tutte le disciplina con un solo testo?
Io non ho dubbi: meglio un solo giudizio descrittivo complessivo, magari articolato in punti di forza e di debolezza per due ragioni. La prima, più prosaica, per evitare agli insegnanti il già citato crampo dello scrivano per l’iper scrittura ridondante. La seconda, più sottile e pedagogica: per evitare che il “giudizio descrittivo” diventi una sommatoria neo-cognitiva di parole del pedagogese, piene di fumo, come spesso accadeva anche nelle schede della vecchia e cara 517.  Problema che peraltro esiste anche nel giudizio descrittivo unico, cui suggerisco di dare forma sobria, essenziale, operativa più che retorica, consolatoria o ammiccante. Al proposito allego (allegato 3) a questo mio articolo una chek list composta da una scuola simpatica sul significato e la struttura semantica dei diversi aspetti che potrebbero comporre un Giudizio descrittivo globale. Questo anche per condividere le parole e il loro significato, non tanto per dare una serie di parolette standard da usare con un puzzle di termini presi qua e là. Premetto che non è un testo perfetto, che ha bisogno di lavoro, ed ha per me alcuni aspetti da approfondire, ma può servire come base di lavoro per un testo essenziale e  utile.

  1. E infine, una novità che valorizza l’autonomia: come dividere l’anno per fasi valutative?

Segnalo qui un aspetto di cui non parla quasi nessuno e che con questa nuova valutazione  potrebbe essere interessante da sperimentare. Mi spiego: non c’è scritto da nessuna parte che la valutazione della scuola primaria debba essere suddivisa in due quadrimestri o tre trimestri, in particolare i due quadrimestri abituali e di moda che vanno da settembre a febbraio e da marzo a giugno.

E qui ci aiuta la potenza pedagogica dell’art. 4 del DPR 275 del Regolamento autonomia già citato.

Conosco alcune (poche) scuole che suddividono le fasi “formali” di valutazione  in due periodi del tutto diversi dalla tradizione quadrimestrale. Anche per dar valore alla variante M, potrebbe ad esempio essere interessante che la valutazione intermedia  avvenisse tra fine novembre a metà dicembre, cioè dopo un primo trimestre intenso, perchè rende possibile conoscere bene i propri alunni e scorgere presto pregi e limiti sia del nostro lavoro che del loro apprendimento. Spesso fare prima la reflection on act è molto utile perché rende possibile capire prima i nodi critici, e soprattutto avere dopo più tempo (5 – 6 mesi) per adattare, modificare, sviluppare, arricchire il curricolo. Darebbe flessibilità e coerenza ad un lavoro di continuo processo educativo capace di modificarsi per tempo.

La suddivisione tra prima fase in trimestre e la seconda in semestre darebbe anche ordine e simmetria all’impegno per i nostri alunni con disabilità, ai quali il PEI prevede la piena definizione del curricolo individualizzato entro i primi 3 mesi dell’anno. In questo modo anche per loro (e per gli insegnanti) un’economia temporale e di scala nei diversi documenti programmatori e valutativi da realizzare.

Non sembri strano al lettore, ma tutto questo è possibile. Impossibile è solo svolgere la valutazione finale prima che termini l’anno scolastico in classe. Ma questa proposta vuol anche suggerire una pratica di creatività e di coerenza pedagogica che l’autonomia didattica  renderebbe possibile (e per me auspicabile), molto più  di quanto si sia pensato finora.

Come si noterà, il cuore di questo articolo è la mia proposta della versione M, il resto è di contorno per una discussione e ricerca in cui conterà molto un lavoro in comune ed una sperimentazione della migliore pratica di valutazione formativa possibile. Quindi: non schedari calati dall’alto, né troppa fretta ad avere un chissà quale “pagellone” strapieno di crocette e chiacchiere, ma sostanza, una sostanza formativa che va al cuore della didattica e della qualità del lavoro docente. I maestri e le maestre non si facciano prendere dalla fretta, ma dalla serietà e da scelte oculate, capaci di sperimentare diversi modelli sapendo poi scegliere quello più utile.

In allegato

SCHEDA DESUNTA DALLE PROPOSTE, SOLO INDICATIVE,PRESENTI NELLE LINEE GUIDA DEL MIUR  CON LA VARIANTE M  disciplina per disciplina

SCHEDA DERIVATA DALLE PROPOSTE CONTENUTE IN QUESTO ARTICOLO CON LA VARIANTE M

VALUTAZIONE SCUOLA PRIMARIA INDICATORI PER IL GIUDIZIO GLOBALE