La scuola che vorrei

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di Raimondo Giunta

L’erba voglio non cresce e non è mai cresciuta da nessuna parte e tantomeno a scuola. La scuola che volevo, però, mi ha aiutato nei tanti anni di servizio a superare le difficoltà del momento e a rendere migliore quella che abitavo.
La scuola è oggi in rotta di collisione con la vita quotidiana delle famiglie e dei giovani; gli orari, il calendario, la struttura fisica degli istituti sono espressione di un ordinamento, compatibile con altri ritmi di vita, con altre regole sociali, con altre tendenze dei rapporti umani. L’attuale struttura della scuola è lo specchio della società come era qualche decennio fa.

Alla radice del disagio scolastico, che può debordare in degrado, si trova questa crescente contraddizione tra quotidianità e scuola, bisogni riconosciuti della società e organizzazione scolastica.

La scuola italiana ancora oggi in moltissimi casi è fisicamente preordinata alla sola attività didattica delle lezioni. In molte scuole non si può fare nemmeno l’educazione fisica per mancanza di palestre; non si fa decentemente ricreazione per mancanza di cortili; sono entrati i laboratori, ma non ancora la didattica laboratoriale.  Se funzionasse bene, ma non è così, essa sarebbe funzionale solo ai compiti di istruzione, alla formazione intellettuale, ma oggi tutto questo, per quanto importante possa essere, non basta. I giovani in questo particolare momento della società hanno bisogno di qualcosa di più. Hanno bisogno di cura della persona, dell’attenzione a tutti gli aspetti non intellettuali della loro formazione(sensibilità/affettività/valori).

Queste nostre scuole piene di discipline, di ore di lezioni, di compiti pomeridiani, di progetti, ma privi di spazi e di momenti di convivialità cominciano a fare danni. L’adeguamento dei curricoli, che maniacalmente si sbandiera ad ogni cambio di governo e di ministro, deve andare di pari passo con la trasformazione radicale degli spazi e del tempo scuola, se vuole raggiungere i risultati che si propone.  Ma non basta. Le sorti dell’innovazione e dell’efficacia del servizio scolastico sono nelle mani degli insegnanti, mai così maltrattati e mai così poco difesi ed apprezzati dalle famiglie, dall’opinione pubblica e dall’amministrazione. Con un esercito smisurato di sottoproletari della cultura è già tanto se la scuola si tenga in piedi.

Ristabilito, come il buon senso richiede e come si fa in altre nazioni, il decoro sociale dello status degli insegnanti, perchè devono poter svolgere il proprio lavoro senza imbarazzo e senza umiliazioni, bisognerebbe fare una rivoluzione professionale per cambiare un mestiere ritagliato solo per alcuni compiti. L’insegnante deve poter sapere non solo che cosa insegnare e come, ma anche e soprattutto chi sono i suoi allievi, in che genere di ambiente e di famiglia vivono, in che genere di società loro stessi e gli alunni vivono. Ci vuole più cultura pedagogica, più cultura istituzionale, più cultura sociologica, più cultura psicologica..

La società italiana con i fondi del Recovery fund potrebbe avere una scuola diversa: scuola aperta dalla mattina alla sera, scuola con spazi, scuole con mense, scuole con convitto, scuole con più e diversi operatori; scuole con più libertà, scuole con più mezzi; scuole integrate nel territorio. Ecco è questa la scuola che vorrei per gli studenti, per gli insegnanti e per le famiglie.