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Cattedra inclusiva: il profilo del docente specializzato ha mezzo secolo di vita

di Simonetta Fasoli

Lo scorso 25 gennaio è stato presentato, a cura dei suoi estensori (gli esperti Evelina Chiocca, Paolo Fasce, Fernanda Fazio, Dario Ianes, Raffaele Iosa, Massimo Nutini, Nicola Striano) un “Progetto di legge per l’introduzione della cattedra inclusiva nelle scuole di ogni ordine e grado”. Si tratta di un’iniziativa destinata ad avere, già nel suo primo impatto, una notevole risonanza per la natura e la rilevanza delle questioni di cui esplicitamente si occupa.

Io stessa, nel commentare un articolato e interessante intervento pubblicato su Facebook dal collega Pietro Calascibetta, auspicavo che fosse occasione per un approfondimento e un confronto aperto, per sviluppare quella cultura dell’inclusione di cui più che mai si sente il bisogno.
In quest’ottica si pone il contributo che oggi e qui intendo dare.

Ho letto con la dovuta attenzione il Progetto di legge, strutturato nella forma come una proposta destinata al dibattito parlamentare. Connotato che sottolineo per almeno due ragioni.
La prima è che un tema così rilevante deve sottrarsi a qualsiasi rischio di velleitarismo, e alla fin troppo abusata tendenza a “gettare un sasso nello stagno” per “vedere l’effetto che fa”, inevitabilmente esposta al fuoco di fila degli schieramenti opposti, che fanno aggio sui buoni argomenti.
La seconda è che la sede parlamentare, nei modi previsti, è il luogo istituzionale idoneo a dare forma a temi che riguardano i diritti e la loro esigibilità. Continua a leggere

Individualizzazione e personalizzazione, parliamone ancora

di Simonetta Fasoli

Sembra incredibile che il discorso sulla scuola debba ritornare ciclicamente sui medesimi argomenti, in un sortilegio temporale da cui è difficile emanciparsi. Ma tant’è. Succede che un ministro pro-tempore rilanci in grande spolvero il tema della personalizzazione, addirittura facendone il fulcro di provvedimenti che riguardano le politiche professionali e retributive del personale. Così è stato presentato ai sindacati, in sede di informativa, lo schema di decreto sugli aspetti e i criteri attuativi riguardanti le nuove funzioni (“funzioni”, si badi bene, non ancora “figure”…) del docente tutor e del cosiddetto “orientatore”. In questo contesto si inserisce l’affermazione del ministro Valditara, secondo cui “nella legge di Bilancio abbiamo ottenuto lo stanziamento di ulteriori 150 milioni di euro, che sono stati utilizzati per valorizzare il personale della scuola, per favorire una grande riforma che oggi abbiamo lanciato: quella della personalizzazione dell’insegnamento, che prevede l’introduzione del tutor nelle scuole e l’introduzione dell’orientatore, per dare ai nostri ragazzi prospettive di un percorso professionale e formativo che sia realizzante”.
Al solito, si nota una certa enfasi, che caratterizza del resto le comunicazioni dell’Esecutivo su tutta la linea. “Una grande riforma”? Mah…né propriamente riforma (chi ricorda i “Piani di studio personalizzati” dell’era Bertagna?) né tantomeno grande. Sarebbe raccomandabile una certa dose di prudenza in certe affermazioni. Continua a leggere

Didattica del recupero o didattica da recuperare?

di Simonetta Fasoli

Ho letto in questi giorni in articoli dedicati alla scuola nell’ambito del territorio romano, spesso con toni comprensibilmente allarmati, dati e commenti circa l’avvenuto, sensibile incremento di corsi pomeridiani di recupero attivati nelle Scuole primarie. Ricorre il tema delle competenze linguistiche basilari (si parla di “comprensione del testo”) e logico-matematiche in vistosa carenza, per cui si rendono necessari tempi suppletivi (in orari pomeridiani) programmati dalle scuole.
Ferme restando la variabilità dei fatti e la complessità della casistica, che vietano giudizi sommari, penso sia opportuno, e perfino urgente, accompagnare la conoscenza dei dati con qualche considerazione e qualche spunto di riflessione. A partire dal concetto di “recupero” e dalle modalità con cui viene realizzato: spesso, infatti, si confondono i piani. Si devono recuperare i “contenuti” (nel senso più ampio) o non piuttosto gli strumenti di approccio? Nel primo caso, il riferimento sono gli obiettivi fissati; nel secondo sono i percorsi.

Nel primo caso, prevale un criterio quantitativo, per cui è sensato intervenire su un incremento del tempo scolastico. Nel secondo, è analizzata la qualità dell’apprendimento, che suggerisce di rivedere le metodologie del processo di costruzione della conoscenza.
Ma c’è una questione di fondo che, a mio parere, comprende entrambe le ipotesi e che potrei formulare così: più che di una didattica del recupero, parliamo del recupero della didattica!

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Caro Ministro, l’orientamento educativo è altra cosa

di Simonetta Fasoli

Quasi sul finire dell’anno, il ministero dell’Istruzione e del Merito ha emanato un provvedimento che adotta Linee guida concernenti l’orientamento, il D.M. 328 del 22/12/2022.
Si tratta di un testo che si presenta con l’ambizione di assumere un’ottica di sistema, e non solo perché investe i diversi segmenti del sistema di istruzione secondaria di primo e secondo grado, ma anche perché mira ad inserirli in un’unica cornice istituzionale, pur nelle distinzioni dei rispettivi ordinamenti. Il filo conduttore è nell’idea di orientamento che attraversa l’intero percorso delineato, quasi a farne una chiave di volta.
Se questa è, come sembra, l’operazione, è il caso di fare qualche riflessione di approfondimento.
Il testo, in più di un passaggio, parla di “orientamento educativo”: ebbene, partiamo da questa espressione, per sottrarla al rischio di usarla come una formula che da sé basti a dare senso (vorrei dire, “dignità pedagogica”) alle indicazioni date.
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Elena Gianini Belotti: la sua vicenda intellettuale, il suo lascito

di Simonetta Fasoli

La recente scomparsa di Elena Gianini Belotti, dopo una lunga e intensa vita, ha comprensibilmente riacceso l’interesse per la sua opera e i frutti che ha disseminato: come dimostrano i tanti commenti che si sono subito avvicendati anche sui social. Emerge, nel ripercorrerne i passaggi, un ritratto ricco di sfaccettature e di “digressioni” che conservano comunque una profonda unità e coerenza di ispirazione. A cominciare dalla sua prolungata esperienza nel Centro Nascita Montessori, che diresse dal 1960 al 1980. Lo possiamo considerare un inizio significativo di cui, in qualche modo, recano tracce le diverse sue opere, che hanno spaziato dalla saggistica, alla narrativa, alla ricerca storica condotta con originalità di approccio.
E’ noto il suo esordio presso il pubblico più vasto, con il saggio Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita (1973). Un notevole successo editoriale, che evidentemente intercettava e portava a una sistematizzazione tematiche e problemi di quegli Anni Settanta che sarebbero stati segnati da un fervore intellettuale diffuso, anche nel campo dell’educazione e della riflessione di genere. Come indica con mirabile sintesi il sottotitolo del libro, si trattava di “sbanalizzare l’ovvio” dei modelli (femminili ma anche maschili) cui era ispirata l’educazione tradizionale, mostrandone la matrice culturale e mettendo in discussione ogni concezione “naturalistica”. Questo sullo sfondo di una riflessione sulla funzione decisiva dei primi anni di vita, che aveva certamente illustri precedenti ma che, nel caso di Gianini, si innesta sulla preziosa esperienza del Centro Nascita, a sottrarre alle sue posizioni qualsiasi rischio di ricostruzione puramente accademica. Con ciò si spiega, anche, l’impatto duraturo che il testo ha avuto sulle diverse generazioni di insegnanti, educatori/educatrici, genitori.
Seguono opere che ancora oggi possono stupire per acutezza di analisi e per attualità di prospettive, come (per citarne alcune) Prima le donne i i bambini e Non di sola madre, che è posteriore di dieci anni alla prima e più conosciuta opera. In tutte emerge e viene variamente articolata la sua appassionata e documentata ricerca sui modi e le categorie di interpretazione volti a de-costruire ogni “mistica” sul femminile e la maternità, giustamente individuata come veicolo di un potere patriarcale mai rassegnato alla propria progressiva irrilevanza: un potere di cui, si badi bene, sono vittime anche i maschi, tanto più in quanto lo esercitano secondo un determinismo culturale che non lascia margini a esperienze e a processi di individuazione.

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L’articolo 34 della Costituzione: una cornice imprescindibile per parlare di merito

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disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Simonetta Fasoli

Ogni discussione sul merito, comunque la si argomenti, deve fare i conti con l’articolo 34, che va letto come un unico e coerente disegno politico-istituzionale.
Il comma 1 inserisce il concetto dentro l’ambito dell’universalismo dei diritti (quel “tutti” è perentorio, tanto che va oltre il perimetro stesso della cittadinanza come requisito giuridico-formale).
Il comma 2 traduce l’universalità del diritto, determinandone la portata e i termini attuativi fin dentro gli ordinamenti del sistema di istruzione e educazione.
Il comma 3 ne fa un criterio ordinatore di contrasto alle diseguaglianze socioeconomiche matrici di iniquità sociale (quel “anche se privi di mezzi”).

L’insieme del contesto, dunque, vieta ogni deriva meritocratica al concetto di merito.

Per “meritocrazia” intendo l’uso strumentale del “merito” per stabilire o consolidare gerarchie sociali e di potere, che riportano la dinamica sociale dentro l’orizzonte di una società elitaria: basata sul censo, sul privilegio della nascita, sulla cultura che da “bene comune” si trasforma in fattore di discriminazione e in patrimonio da tramandare nel perimetro escludente della stessa classe sociale.
Se tutto questo è vero, e se una ri-contestualizzazione del dettato costituzionale è possibile, o addirittura auspicabile, ne farei discendere i seguenti corollari.
1) tutti sono “meritevoli”: di attenzione, riconoscimento, supporto attivo nei percorsi di crescita e di educazione.
2) nessuno de-merita, nel senso suindicato.
3) de-merita, invece, il sistema educativo di istruzione e formazione che, preordinato per mandato costituzionale al compito di attenzione, riconoscimento, supporto attivo, viene meno alla propria funzione.

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Sul “docente esperto”: per una necessaria ricognizione della professionalità

di Simonetta Fasoli

La questione del “docente esperto”, aperta dai provvedimenti appena disposti, ha comprensibilmente suscitato una serie di reazioni, a partire da quelle degli organismi di rappresentanza sindacale. Il tema è delicato e tocca, per così dire, “nervi scoperti” e annose diatribe.
Forse vale la pena rispondere alla frettolosa (e a mio parere abborracciata) soluzione governativa con una più ponderata riconsiderazione dei temi sottesi alla problematica. Solo così, a mio avviso , possiamo sottrarci al clima da derby che sembra profilarsi, e che non aiuta a fare qualche serio passo in avanti.
Il dispositivo di legge ha, mi pare, il limite di fondo nella stessa cornice di emergenza da cui è scaturito. Ne è nata una configurazione parziale, in cui si parla di “docente esperto” come mero prodotto di un non meglio precisato percorso di “formazione” spalmato in un lungo arco di tempo, senza un esplicito riferimento alle dimensioni professionali della docenza in quanto tale. Questa scotomizzazione di partenza ha reso a mio parere arbitraria e in-fondata l’intera operazione.

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