Archivi categoria: NORMATIVA

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La scuola secondo Valditara: la scuola come punizione

di Simonetta Fasoli

Come prevedibile, il ddl che ridisegna i contorni della scuola al tempo della destra al governo è stato approvato in via definitiva alla Camera e attende ora la pubblicazione in G.U. per entrare in vigore.
I successivi decreti attuativi ne assicureranno l’effettiva operatività.
È un provvedimento che investe diverse materie, con l’intento dichiarato di ridare credibilità e strumenti di sostegno a un’istituzione in evidente affanno. Intento lodevole…se non fosse che, a ben vedere e a mio parere, va in direzione contraria, come cercherò di argomentare.

Le analisi punto per punto sul testo (che ho ovviamente letto nella versione appena approvata) le lascio volentieri agli/alle esegeti di professione, che non mancheranno. A me interessa ragionare sullo spirito di fondo che “anima” il provvedimento (senza dargli il respiro di un disegno politico-culturale degno della posta in gioco) e che i singoli dispositivi lasciano trasparire più o meno esplicitamente.

È uno spirito, dal mio punto di vista (condiviso, a quanto leggo, dalle prime reazioni nel campo politico di opposizione) fortemente anti-educativo.
Sì, lo so che il senso comune fa esultare alcun* di fronte a quello che la norma promette (e minaccia) accogliendolo come quella stretta “liberatoria” che fa sentire sollevat* i molt*, e temo i più, al pensiero sommario “era ora!”. Ma il senso comune non è buon senso, non sempre, e in certi casi richiede una riflessione per essere smontato. Continua a leggere

La formula magica 4+2 per l’istruzione tecnica e professionale

di Raimondo Giunta

A partire da quest’anno scolastico avrà inizio la sperimentazione dei corsi di studio quadriennali dell’Istruzione secondaria tecnica e professionale, che dovrebbero assicurare agli studenti il raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento e delle competenze già previsti per i normali corsi quinquennali, garantendo il conseguimento in anticipo del diploma di istruzione secondaria di secondo grado all’esito dell’Esame di Stato.
Sono 176 gli istituti che ospiteranno questi corsi e 95 sono collocati nel Sud.

Nei 4 anni di studio avranno grande rilievo le attività di alternanza scuola lavoro, il potenziamento delle discipline STEM, il processo di internazionalizzazione, la didattica laboratoriale e l’adozione di metodologie innovative.
È previsto il coinvolgimento di docenti aziendali, che avranno il compito di adeguare la formazione degli studenti ai bisogni del territorio e alle innovazioni.

E’ tratto caratteristico e identitario dei corsi 4+2 la scelta dell’integrazione con il mondo del lavoro.
Per dare inizio alla sperimentazione le scuole, infatti, hanno dovuto sottoscrivere almeno un accordo di partenariato con un’azienda del territorio, grazie al quale potrà essere sviluppata l’alternanza scuola-lavoro, ritornata alle 400 ore complessive per quattro anni di corso. La collaborazione delle aziende potrà, inoltre, consentire lo sviluppo di corsi specifici rispondenti alle singole esigenze territoriali, ricorrendo al potenziamento di una o più materie di indirizzo.

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La pantera identitaria

di Giovanni Fioravanti

Quando si incita ad affermare la propria identità, in sostanza si invita a sventolarla in faccia agli altri e questo certo non si può dire che sia un gesto di amicizia.

Pensare oggi di porre a coronamento del curricolo del primo ciclo di istruzione l’acquisizione della propria identità nazionale, come sembra nelle intenzioni dell’attuale ministro dell’Istruzione e del Merito, ispirato dal pensiero della coppia Galli della Loggia, Loredana Perla, rischia di mettere in serio pericolo l’impellente necessità di formare le nuove generazioni a viversi come cittadini di un mondo in cui difendere la convivenza comune e il proprio comune ambiente di vita. Significa non aver appreso la lezione della storia che è apprendimento della “grammatica della civiltà”, la propria e quella degli altri, per non ricadere nelle barbarie del passato.

Non ci sono distinguo che tengano, pretestuose denunce sull’ignoranza della storia e della geografia del proprio paese da parte di studenti e studentesse formati agli apprendimenti e alle competenze prescritte dalle attuali Indicazioni curricolari nazionali per le scuole del primo e del secondo ciclo di istruzione. Se tali carenze ci sono, le cause vanno ricercate altrove, non tanto perché non sia chiaro a cosa debba servire la scuola pubblica, ma, se mai, perché non è chiaro cosa e come la scuola pubblica debba essere.

Agitare l’identità come elemento di compattazione di un popolo nel terzo millennio del mondo dovrebbe rendere avvertiti dei pericoli che oggi comporta, rispetto ai vantaggi che si presume possano derivare. Continua a leggere

Ragionando sulla dispersione scolastica

di Raimondo Giunta

La lotta alla dispersione scolastica è uno dei compiti più nobili che si possa svolgere nelle singole scuole, perchè dà respiro sociale ed educativo a tutta l’attività formativa. Nella società della conoscenza, dell’apprendimento durante tutta la vita, chi fuoriesce anticipatamente dal sistema formativo senza il possesso di adeguate e solide competenze per svolgere il ruolo di cittadino e di lavoratore è destinato all’emarginazione sociale.
E in linea di principio nessuno dovrebbe accettare un fatto del genere.

Alla scuola è stato indicato l’obiettivo di ridurre drasticamente la dispersione scolastica e nel frattempo anche quello di aumentare in modo cospicuo la percentuale dei diplomati di quanti frequentano le superiori per allinearsi alle relative medie europee.  I risultati sono in via di miglioramento, anche se non sono completamente soddisfacenti, perchè il fenomeno della dispersione è ancora consistente, per vecchi e inestirpati fattori, ma anche per nuovi, come la scolarizzazione dei figli degli immigrati, per la quale non si è sempre e dappertutto preparati.

A partire dagli anni ‘60 le porte delle scuole sono state aperte a tutti, soprattutto alle superiori. I risultati di questa necessaria scolarizzazione di massa, però, sono ancora contraddittori. A parità di “qualità umane”, infatti, non si ha tra i giovani parità di risultati, di successo formativo e di possibilità di inserimento nel mondo del lavoro.

Si è intervenuto su alcuni ostacoli di natura economica, ma negli ultimi tempi con risorse sempre decrescenti, (riduzione delle tasse di iscrizione, borse di studio, gratuità dei servizi di trasporto, buoni-libro, ma rare volte con le mense scolastiche). Questi provvedimenti hanno favorito l’accesso di tantissimi giovani alle scuole, ma non sono riusciti a tenervi dentro tutti quelli che vi entravano e a farli uscire a tempo dovuto con il bagaglio necessario di preparazione per affrontare la vita. Continua a leggere

Fissiamo un tetto alle sgrammaticature di Valditara

di Mario Maviglia

Ha ragione il Ministro Valditara a scagliarsi contro chi ha stigmatizzato i suoi errori linguistici contenuti in un tweet in cui parlava della necessità di costituire classi con la maggioranza di italiani, allineandosi alle posizioni del suo capopartito Salvini, nonché Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture.

Questa vicenda ci fa capire tante cose interessanti:

  • Valditara dice: “Quando si detta un tweet al telefono non si compie un’operazione di rigore linguistico e si è più attenti al contenuto”. Verissimo! Però dall’altra parta del telefono ci si aspetta che chi prende la telefonata (ossia un collaboratore di Valditara, da lui stesso scelto, immaginiamo) abbia almeno la licenza di scuola media…
  • Il Ministro del Merito aggiunge che il processo di assimilazione degli alunni stranieri “avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l’italiano…”. Ecco, sarebbe opportuno che anche Valditara e l’ignoto suo collaboratore potenziassero a loro volta il loro italiano. La lingua italiana sarebbe loro grata.
  • Secondo il Valditara-pensiero (preso a prestito dal suo capopartito Salvini) questo processo di assimilazione degli studenti stranieri avverrà “se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia, la letteratura, l’arte, la musica italiana…” [Si noti la finezza sintattica di quel “si insegni”, una vera chicca e licenza poetica. Non è ancora licenza media, ma la strada è tracciata. Con il potenziamento di cui sopra ce la possiamo fare…].
    Ma qui il Valditara-pensiero denuncia qualche défaillance (tranquillo, sig. Ministro: vuol dire “debolezza”): infatti i risultati peggiori – almeno stando alle classifiche internazionali come OCSE-PISA – gli allievi delle scuole italiane li conseguono nelle scuole superiori dove la presenza degli alunni stranieri è più bassa. E allora come la mettiamo? Forse questa necessità di “approfondimento” non riguarda solo gli studenti stranieri, ma anche e soprattutto quelli italiani.

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Il principio di laicità non esclude la necessità di una “formazione religiosa”

di Antonella Mongiardo

Una domanda semplice, in apparenza, che negli anni ha attraversato correnti di pensiero diverse e, talora, contrapposte, fino a giungere, in tempi recenti, ad interpretazioni restrittive e fuorvianti che identificano la laicità con assenza di religione nelle scuole. Cos ‘è, ad ogni modo, la laicità? Qual è il suo significato nella scuola?

La risposta, nel significato letterale, la troviamo nei dizionari. Secondo la Treccani, laico è chi non fa parte del mondo clericale. Lo stato laico è quello che riconosce l’eguaglianza di tutte le confessioni religiose, senza concedere particolari privilegi o riconoscimenti ad alcuna di esse, e che riafferma la propria autonomia rispetto al potere ecclesiastico”.

Il laicismo, quindi, si identifica con una concezione più ampia e complessiva della cultura e della vita civile, basata sulla tolleranza comprensiva delle credenze altrui, sul rifiuto del dogmatismo in ogni settore della vita associata, anche al di là dell’influenza diretta dell’istituzione religiosa dominante.

In una realtà sociale come quella di oggi, dove il cedimento dei valori etici e l’affermazione di nuovi stili educativi, talvolta discutibili, interferiscono spesso con l’azione formativa della scuola, è sempre più arduo realizzare quell’auspicata corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia, che dovrebbe essere la base dello sviluppo identitario dei giovani. Le nuove generazioni stanno crescendo in un’epoca in cui si fa sempre più sfocato il confine tra i ruoli e le responsabilità, con una conseguente perdita di autorevolezza, sia della scuola sia della famiglia, che devono essere, invece, i due più importanti avamposti pedagogici della società.

E’ proprio nella prospettiva di un recupero di valori e di una più forte alleanza tra scuola e famiglia che si inserisce la dimensione sociale dell’elemento religioso nella scuola.

Condivido le acute osservazioni del matematico Piero Del Bene, quando sostiene che, se laicità significasse assenza di religione, allora nella scuola laica non dovrebbero trovare posto il cattolicesimo di Manzoni e di numerosi altri autori della letteratura italiana, non si dovrebbe studiare la divina commedia di Dante e non si dovrebbero visitare chiese, né ammirare le rappresentazioni sacre attraverso i libri di storia dell’arte o durante le gite scolastiche.

 

Invece, sappiamo bene che le discipline umanistiche traboccano di cultura cattolica; l’arte, la filosofia, la musica, sono ambiti in cui il cattolicesimo ha lasciato la sua impronta indelebile. La cultura religiosa fa parte, a pieno titolo, della formazione scolastica. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che essa permea tutta la nostra tradizione culturale, la nostra società, i nostri valori e i nostri linguaggi.

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La scuola del merito di Valditara: per gli studenti prove Invalsi difficili, per i docenti test di concorso facili e imbarazzanti

di Aluisi Tosolini

In questi giorni si stanno svolgendo le prove scritte (test computer based) dei concorsi docenti di ogni ordine e grado.
E, sempre in queste settimane, si discute moltissimo di valutazione accusando spesso la scuola di non essere abbastanza difficile, di non pretendere abbastanza dagli studenti e di essere preda di un rammollitismo ideologico le cui origini sono ritrovate dal Ministro, stando al suo ultimo libro sulla scuola, nell’ideologica sinistra e sinistroide del 1968. Insomma la scuola del merito e dei talenti deve essere più difficile, deve alzare l’asticella.
Se dunque la scuola è accusata di essere troppo facile – mi sono detto – chissà come saranno le prove scritte (test) dei concorsi per docenti. Sarà una strage.

La stessa preoccupazione è stata espressa, ad esempio, da La Repubblica che l’11 marzo 2024 così scrive:  “Concorsi al via. È la settimana delle prove a quiz per chi sogna una cattedra di ruolo. Hanno fatto domanda in 372.804 per 44.654 posti di cui 15.588 sul sostegno. Entreranno poco più di uno su dieci. Al netto della disomogeneità dei posti disponibili rispetto alle domande e soprattutto delle bocciature che nel test selettivo da 50 quesiti hanno tassi sempre molto elevati

Ma è davvero così?
Siamo andati a vedere. Ma prima di darvi l’esito della nostra ricerca facciamo il punto sulla prova scritta.

In cosa consiste la prova scritta? Continua a leggere