Il “mio” Visalberghi

di Roberto Maragliano

Impossibilitato, perché in viaggio, a prendere parte alla giornata in memoria di Aldo Visalberghi che si terrà a RomaTre il prossimo 24 giugno, ho ipotizzato di inviare, per una lettura pubblica, qualche riga di omaggio riflessivo.
Ma, subito, ho contattato l’imbarazzo che abitualmente provo in situazioni di questo tipo, esperite direttamente o anche indirettamente. Come parlare di chi non c’è più e con il quale si hanno avuto rapporti, e come farlo senza mettersi al centro? C’è mai un ricordo che, sfidando ogni ipocrisia, possa presentarsi come oggettivo? È mai possibile una ricostruzione del passato che non coinvolga il presente? Come evitare che questi interventi altro non siano che occasioni per parlare di sé e non dell’altro, di un presente senza passato o di un passato senza presente?
Mi si obietterà: perché la fai così difficile? Si tratta solo di stendere due righe per un evento accademico.
Beh, non è così, almeno per me.
Il travaglio cui alludo è connesso alla messa in comune, in interventi simili, di questioni di scienza e di coscienza, e dunque al coinvolgimento, che può essere più o meno consapevole, di aspetti personali di sensibilità e affettività: la pelle assieme alla carne, l’animo assieme all’anima. Facendone una questione di scienza si rischia di non essere mai tranquilli, con l’altrui e la propria coscienza. Tanto vale, io penso,  accettare questa condizione di inevitabile porosità e perfino ambiguità della memoria, personale e collettiva, e comportarsi di conseguenza.
(Se avete bisogno di riferimenti seri per questo tipo di problematica, che ha a che fare con il rapporto tra assenza e presenza, vita e morte, potrei rimandarvi al Jacques Derrida di Ogni volta unica, la fine del mondo, uscito per Jaca Book nel 2005: ma lascio la cosa tra parentesi)
Si tratterebbe allora, nel mio caso, di provare a delineare i tratti di Visalberghi per come ho vissuto l’esperienza con lui e quanti erano con lui e in varie forme attorno a lui, allora. Ma anche per come la rivivo ora, quell’esperienza, nel ricordo attualizzato e attualizzante del presente. Ora che tante cose sono cambiate, nel grande e piccolo mondo, rispetto quei tempi e quei contesti.
Mi propongo dunque di raccontare qui cosa mi è capitato dopo che, così riflettendo, sono approdato alla decisione di non nascondermi dietro i codici della memorialistica ufficiale ma, al contrario, di ‘stanarmi’ davanti e dentro ad essa, sì da provare a comporre o, al limite, soltanto pensare le fatidiche due righe in una condizione di provata sincerità, soprattutto con me stesso.
Lo faccio articolando la narrazione in due fasi.

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